Riformare o sovvertire le arti?

A proposito della cosiddetta Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica

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Cesare Pietroiusti, Scuola Quadri - Laboratorio intensivo di formazione per uomini e donne che intendono fare, o che stanno facendo, attività politica professionale. CCCS Strozzina, Firenze, ottobre-dicembre 2011.

Pubblichiamo qui una prima recensione al libro di Antonio Bisaccia sul processo di riforma delle Accademie di Belle Arti, Conservatori di Musica, Istituti Superiori per le Industrie Artistiche, Accademia Nazionale di Danza e Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Sulla stessa questione, che ci sembra di grande interesse, seguiranno altri interventi.
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Burocrazzismo e arte di Antonio Bisaccia – appena arrivato in libreria per Castelvecchi con prefazione di Tomaso Montanari (2020) – potrebbe sembrare un libro dai toni, qui e lì lungo le sue pagine, polemici, se non fosse che, a leggero con attenzione, quest’ipotesi si dilegua immediatamente. Si tratta, infatti, di un testo molto ben argomentato sul piano della costruzione logica delle sue tesi, che risultano oltretutto supportate da tantissime esemplificazioni legislative. Sì, perché il riferimento alla normativa è sempre segno di grande civiltà e senso istituzionale, in quanto è proprio di uno Stato civile avere cittadini consapevoli dei propri diritti e doveri, il che equivale a dire consapevoli delle norme che regolano la vita comune. L’alternativa, ovvero l’ignoranza della legge, è quello a cui troppo spesso assistiamo: degrado civile e morale, trionfo della clientela.

E Antonio Bisaccia è un uomo delle istituzioni: direttore dell’Accademia di Belle Arti Mario Sironi di Sassari; presidente della Conferenza nazionale dei direttori delle Accademie di Belle Arti italiane. Ma, a differenza di moltissimi individui (pseudo)istituzionali, che pensano che il loro ruolo debba coincidere con una assoluta acquiescenza ai diktat ministeriali, interpretando l’azione del proprio servizio come miserabile servitù, Bisaccia invece nel suo libro, pur riuscendo sempre a tenere il tono di un registro stilistico elevato, dice tutto ciò che occorre dire: come rileva pure in maniera lapidaria ma impeccabile Tomaso Montanari nella sua bella premessa al libro, per denunciare l’inadeguatezza di un ceto politico che da decenni sembra essere impegnato nell’unico obiettivo di mortificare un Paese, piuttosto che sostenere, dare ossigeno e rilanciare i suoi apparati più validi, a cominciare da quelli appartenenti al sistema della formazione.

Nel caso specifico di Burocrazzismo e arte, la riflessione si concentra sul settore della cosiddetta Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM). Ebbi modo di rilevare, circa due decenni fa, che la Legge di riforma (la 508/99), che istituì questo settore, di fatto, non aveva riformato alcunché, lasciando sostanzialmente immutato l’impianto strutturale delle istituzioni AFAM rispetto alla riforma gentiliana degli anni venti del secolo scorso. Ovviamente, allora non potevo sapere cosa sarebbe accaduto nei due decenni successivi alla riforma. Da un lato, come ben rileva Bisaccia, non è accaduto nulla. Dal 1999, infatti, questo settore attende una serie di decreti attuativi, di cui la legge 508 prescriveva il varo entro sei mesi dalla sua entrata in vigore. E basterebbe già solo questo per valutare l’operato (e si fa per dire) dei ministri e funzionari vari (che si sono occupati in maniera specifica del settore AFAM) che negli anni si sono succeduti all’interno dei ministeri dell’Università e dell’Istruzione. Dall’altro, l’AFAM risulta preda di una normativa contraddittoria, pasticciata, carente.

Insomma, siamo in presenza del solito disastro all’italiana. E dire, come al solito, che siamo stati i primi in Europa a fondare le Accademie di Belle Arti. Poi, in tutto il mondo, queste sono state realmente riconosciute come istituzioni di grado universitario, tranne che da noi. Del resto, si sa, i processi di trasformazione nel nostro Paese sono particolarmente lenti, quando non del tutto inesistenti. E pensare che quello della formazione artistica e musicale potrebbe davvero essere, come giustamente rileva Bisaccia, un settore su cui investire seriamente, per il futuro del cosiddetto made in Italy, che è una delle autentiche caratteristiche (si pensi a tutto l’ambito manufatturiero) per cui il nostro Paese è tenuto internazionalmente in alta considerazione. In chiusura, viene da rilevare che lungo il testo compare spesso il nome dell’attuale Ministro Gaetano Manfredi, come di un politico nei confronti del quale poter nutrire delle ponderate speranze.

In effetti, rispetto ad altri suoi predecessori, si deve registrare, un’inversione di tendenza da parte dell’attuale titolare del dicastero dell’Università e della ricerca. Manfredi, infatti, si è contraddistinto per essere stato il ministro dell’università che per primo ha speso dichiarazioni a favore dell’importanza strategica del settore AFAM, che, per esempio, all’interno del panorama dell’alta formazione, è quello in cui si registra la più alta presenza di studenti stranieri – e proprio in ragione di quel riconoscimento, a cui si faceva riferimento prima, tributato internazionalmente all’Italia, che certo è visto come un Paese in cui l’arte, la musica, la cultura in generale sono fiorenti (a dispetto, verrebbe da dire, delle pubbliche istituzioni che non le supportano come invece occorrerebbe fare). E ancora a Manfredi si deve il progetto di una legge delega che finalmente dovrebbe riformare il settore. Non ci resta che essere fiduciosi, in ragione anche dei trascorsi dell’attuale ministro come uomo che ha presieduto importanti istituzioni universitarie (la Federico II, la CRUI) e che, quindi, concretamente, è stato ed è consapevole di quali azioni effettivamente occorra compiere per il bene dell’alta formazione italiana.

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