Sogni e nuovi rituali

La Cura ai tempi del Coronavirus #1

Iaconesi
Salvatore Iaconesi, La cura (2020).

La necessità di riposizionare la malattia nella nostra società torna ad essere un fatto di primaria importanza come mai in questi giorni in cui il pianeta è colpito da un’epidemia di portata globale. Ce ne dà l’occasione di nuovo, dopo 7 anni, Salvatore Iaconesi. La performance de La Cura continua con una tragica e peculiare sincronia, nel momento in cui tutti quanti possiamo trarne più beneficio e coglierne l’opportunità, insieme:

Non è mai il Paziente ad essere il solo malato: è l’intera società che si ammala, in solidarietà tra tutti. Questo è ancora più vero sulla pelle della nostra società iperconnessa in cui tutto dipende inestricabilmente da tutto il resto. È questo il limite – la tragedia – ma anche la grande opportunità dei nostri tempi: quando i dati e la computazione cessano di essere «tecnica» assumono carattere esistenziale per la loro capacità di consentirci l’esperienza di fenomeni complessi, globali e interconnessi. Questo richiede un’enorme trasformazione: dei nostri valori, del nostro senso di solidarietà, di come percepiamo l’ecosistema in cui viviamo. In una parola: della nostra cultura.

In questa serie di articoli l’autore pone le basi per una nuova Cultura Ecosistemica che trova il luogo materiale e immateriale per sperimentare le forme di un «abitare iperconnesso» in HER she Loves Data: il centro di ricerca di nuova generazione dedicato alla cultura dei dati che Salvatore Iaconesi e Oriana Persico stanno per inaugurare a Roma, come annunciato nel video.

Salvatore Iaconesi, Sogni e nuovi rituali (2020).

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Se c’è una cosa a cui ci ha praticamente obbligato il Cov19, è la ricerca sperimentale dei nuovi modi di abitare i nostri spazi digitali. Attualmente in preda agli anestetici e ai traumi chirurgici che derivano dall’operazione chirurgica di questi giorni, questa attività per me si traduce talvolta in sogni bellissimi. Ve ne mostro sopra un diagramma (in cui si vedono anche alcune difficoltà che ho a scrivere e disegnare: passeranno tutte entro alcuni giorni). Ve lo disegno meglio qui sotto:

Nei miei sogni di questi giorni, la ricerca dei nuovi rituali dell’abitare gli spazi digitali si svolgono lungo traiettorie che mi portano ad attraversare la città. In questo caso si tratta della città di Roma, in cui vengo accompagnato da un mix di compagn* e personagg* reali / irreali, passando attraverso i luoghi che maggiormente caratterizzano le infrastrutture digitali della città, e loro usi più innovativi: Ostiense/Testaccio e Roma Est.

Qui, come nei sogni, cose che esistono si mischiano con cose che non esistono, tra architetture, spazi interni ed esterni, e quel che vi avviene. Tra gli estremi delle nuove forme di adunanza digitale e i neo-rituali dell’intimità, le persone cessano di intendere il loro rapporto con Dati e Computazione in forma tecnica, e iniziano a concepirlo in forma esistenziale: «Dobbiamo comprendere come abitarlo prima che diventi spazio di polizia, burocrazia, colonizzazione delle corporation. È necessario. È quel che dobbiamo fare». C’è un processo in atto nella città, che io ho chiamato di Ballardizzazione / De-ballardizzazione: dal giorno alla notte le modalità secondo cui ciò avviene, cambiano radicalmente per stili, scopi e tipologie.

Nel corso del giorno e della notte le persone esplorano i nuovi ritmi, tempi, scansioni, riti, pratiche dello stare insieme e dello stare da soli. Perché e in quali modi i corpi riescono a essere ancora superiori? Per il fatto di poterli percorrere e percepire anche solo con l’attenzione? Per i tantissimi livelli di interazione che non riusciamo ancora a replicare, e che rendono tutt’ora la comunicazione in presenza enormemente più capace di complessità accessibile? Per l’innata incompletezza e incertezze della comunicazione, che tanto ci permette di fare fill in the blanks quando comunichiamo? E/o per quali degli altri possibili migliaia di motivi?

Nel corso del giorno e della notte, nella Ballardizzazione / De-ballardizzazione della città, le persone, sole o insieme, sperimentano ciò per tutti gli aspetti della vita: la comunicazione interpersonale; il lavoro; lo svago; le opportunità di espressione e rappresentazione; la moda; il sesso; lo stare insieme e da soli; il potersi appropriare di spazi e usarli; l’arte; la partecipazione alla vita culturale; la violenza; l’amore; e così via, dalle situazioni più ordinarie, a quelle più estreme.

Vengono sistematicamente esplorati tutti gli scenari. Dalle nuove disposizioni possibili che consentono nuove ambientazioni e nuove organizzazioni di dati, suoni, interazioni, visualizzazioni e materializzazioni negli spazi e sui corpi. Fino ad arrivare alle soluzioni più estreme, in cui si vedono nuovi corpi con nuove forme, che consentono differenti scansioni, ritmi, intimità, comunicazioni, interazioni, rappresentazioni, sensibilità, tempi e significati nelle città.

Ecco, in un momento come questo, in cui è ben evidente la nostra caratteristica di essere sostanzialmente impreparati ad abitare il mondo iperconnesso in cui ci siamo ficcati, aspirare a riuscire a posizionare pratiche come queste in cima alle priorità della nostra società è di fondamentale importanza: per evitare che il lasciarle alla tecnica le esponga a diventare il prossimo spazio di polizia, o il territorio della nostra colonizzazione mentale e culturale delle prossime corporation. Arte, design, moda e cultura possono trasformare questa situazione nel nostro nuovo spazio esistenziale.

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