La logica neoliberale del there is no alternative e l’idea della «fine della Storia» hanno costituito, in questi decenni, una cappa ideologica de-politicizzante. Per uscire da questo blocco, è forse utile riflettere >…
Temporalità plurali
La tradizione marxista a contropelo
Carlo Rovelli nel suo libro L’ordine del tempo, un libro divulgativo sulla fisica relativistica e quantistica, scrive a proposito del tempo definito da Einstein:
[Vi è] un tempo diverso per ogni punto dello spazio. Non c’è un solo tempo. Ce ne sono tantissimi. Il tempo indicato da un particolare orologio misurato da un particolare fenomeno, in fisica si chiama tempo proprio. Ogni orologio ha il suo tempo proprio. Ogni fenomeno che accade ha il suo tempo proprio1.
Il tempo della relatività generale di Einstein non descrive «come il mondo evolve nel tempo» ma descrive «le cose evolvere in tempi locali e i tempi locali evolvere uno rispetto all’altro». In definitiva, conclude Rovelli, «il mondo non è come un plotone che avanza al ritmo di un comandante», ma «una rete di eventi che si influenzano l’un l’altro»2. Non posso negare che il concetto di temporalità plurale a cui faccio cenno nel titolo sia ispirato da un orizzonte di questo genere. Certo, non va sottovalutata la difficoltà del passaggio dal piano della fisica relativistica a quello della storia.
Facciamo allora un passo indietro e prendiamo in considerazione i due grandi modelli attraverso cui la tradizione occidentale ha pensato il tempo: il circolo e la linea. Il primo modello, con estrema generalizzazione, è quello greco, il secondo è quello che si apre con il cristianesimo. Cristo è il punto che stabilisce la doppia direzione del tempo storico, il passato come prefigurazione ed il futuro come giudizio universale. Löwith ha insistito giustamente sulle origini della filosofia della storia settecentesca e ottocentesca dal modello fornito da Gioacchino da Fiore – nel Libro della concordia tra antico e nuovo testamento3 – che aggiunge alla linea tempo ascendente una precisa epocalizzazione, che sarà ripresa dall’illuminismo al positivismo, dall’hegelismo al marxismo, sotto forma di sviluppo di fasi, gradi, stadi. Le epoche in questo contesto sono grandi aree di contemporaneità.
Ora mi sembra di estremo interesse rilevare il fatto che la costruzione di questi due modelli, quello del circolo e quello della linea, è stata possibile solo con l’esclusione dell’ipotesi di una molteplicità di tempi. Si potrebbero fare numerosi esempi nella storia del pensiero. Mi limiterò qui a citarne due che mi sembrano paradigmatici: Aristotele e Kant. All’inizio della trattazione sul tempo, laddove prende in considerazione la teoria del tempo formulate prima di lui per mostrane utilità e limiti, Aristotele scrive:
Taluni affermano che il tempo è il movimento del tutto, mentre altri sostengono che esso è la stessa sfera celeste. [Ma] – aggiunge Aristotele – se esistessero più cieli [οὐρανοί], allora il movimento di ciascuno di essi sarebbe tempo, cosicché esisterebbero più tempi simultaneamente [πολλοὶ χρόνοι ἅμα]4.
Qui Aristotele lascia già indovinare quelle che saranno le conclusioni della sua trattazione. Se il tempo è il numero del movimento secondo il prima e il poi, non lo sarà di ogni movimento, ma del movimento della sfera. L’esclusione della molteplicità dei tempi è l’effetto, come dice giustamente Wieland, della sovradeterminazione cosmologica del tempo fisico. La problematica esclusa è evidentemente quella dell’atomismo. Veniamo ora a Kant ed in particolare alla sua «Estetica trascendentale», in cui fissa i principi della conoscenza a priori delle due forme dell’intuizione sensibile: lo spazio e il tempo.
Nell’esposizione metafisica del concetto di tempo, cioè la rappresentazione chiara di ciò che appartiene al concetto come dato a priori, troviamo una serie di verità apodittiche tratte dalla sua necessità a priori, cioè assiomi del tempo in generale:
1) il tempo non ha che una dimensione: «tempi differenti non sono simultanei ma successivi [verschiedene Zeiten sind nicht zugleich, sondern nach einander]»5;
2) tempi differenti sono parti di un unico tempo;
3) ogni grandezza determinata di tempo non è possibile se non come limitazione di un «unico tempo che sta alla base»6.
Diviene allora chiaro perché Kant proponga la linea come metafora della successione temporale da cui è possibile dedurre tutte le proprietà del tempo, con l’unica differenza che le parti della linea sono simultanee, mentre quelle del tempo sono successive. L’unità del tempo è qui garantita sulla base di una fondazione trascendentale, la temporalità plurale è esclusa. Su questa esclusione si costituisce la teoria della temporalità storica hegeliana e marxista i cui caratteri, fatte le debite differenze, sono l’unicità, la linearità, la stadialità. I testi a cui si potrebbe fare riferimento sono numerosi, basti qui citarne due tra i più celebri: il Manifesto e la Prefazione del 59. Nel Manifesto Marx ed Engels designano un cammino lineare e ascendente della storia che dal feudalesimo conduce al comunismo. Il tempo fondamentale è quello dell’espansione delle forze produttive. Nella Prefazione del 59 il medesimo modello di contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione sta alla base di una concezione della storia come successione di modi di produzione: asiatico, schiavistico, feudale, capitalistico.
Ora, il punto chiave di questo modello di temporalità storica è costituito dal concetto di rivoluzione. Posto che la lotta di classe è il terreno costitutivo della storia, la rivoluzione si dà nel Manifesto sotto forma di «collisione tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione e di scambio che incatenano questo sviluppo»7, nella Prefazione come «contraddizione»8. Così come la società capitalistica nasce nel seno della società feudale, così la società comunista nasce nel seno di quella capitalistica: in questo senso nel capitolo 24 del Capitale Marx dirà che la «violenza è la levatrice della storia», nella misura in cui essa non crea ma aiuta la nascita di una nuova società già presente nel seno della vecchia.
Ora, quando evoco il concetto di temporalità plurale rispetto alla tradizione marxista, quale operazione sto effettivamente facendo? Quali caratteri della temporalità marxista intendo discutere o mettere in tensione? In primo luogo va detto che il termine temporalità plurale non si trova in modo aperto ed esplicito nella tradizione marxista. Potremmo dire che il concetto, o meglio, il problema che esso indica si trova ad essere segnalato da una serie di termini di cui faccio un primo breve elenco incompleto: Anachronismus, Ungleichzeitigkeit, multiversum, stratificazione, temporalité differentielle.
L’ipotesi che vorrei formulare in prima istanza è la seguente: questi termini appaiono come sintomi dell’insufficienza di un modello lineare e stadiale di sviluppo storico. Mi limiterò qui a prendere in considerazione qualche caso di utilizzo cercando di mostrare in che modo questi facciano segno alla temporalità plurale e all’interno di quali limiti. Il testo seminale in questo senso è senza dubbio l’«Introduzione» alla Critica del diritto statuale hegeliano. Si tratta di un testo giovanile, uno dei testi del passaggio al comunismo. Ora, per giustificare il fatto che la critica non prenda in considerazione la realtà tedesca, lo Stato prussiano, ma i Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel, Marx adduce come argomento che la filosofia è il solo campo in cui i tedeschi sono Zeitgenossen del presente (Gegenwart). La realtà tedesca, lo Stato tedesco, è non contemporaneo, è un Anachronismus. Qui è interessante notare che l’anacronismo da figura del discorso, errore di attribuzione storica, un errore contro la cronologia9, diventa in Marx una realtà ontologica. La società tedesca è un anacronismo, la sua esistenza è un sintomo della sfasatura dei tempi storici.
Ma rispetto a quale tempo la realtà tedesca è un anacronismo? Marx dice: Le condizioni tedesche stanno sotto il livello della storia10. Rispetto a quale storia? La storia che costituisce l’unità di misura dell’anacronismo tedesco è la storia di Francia e Inghilterra. Vi è dunque una marcia della storia rispetto a cui la Germania costituisce un anacronismo. E tuttavia la società tedesca non è permeata da un solo tempo, quello che Marx definisce il passato dei popoli moderni. In un aspetto essa è contemporanea dei popoli moderni: nella filosofia. La filosofia tedesca del diritto e dello Stato è contemporanea della storia moderna. Che posizione temporale occupa allora la critica di Marx? La rivoluzione cui questa critica darà luogo in alleanza con il proletariato tedesco non pone semplicemente la Germania all’altezza di Francia e Inghilterra, ma oltre: essa costituisce il futuro prossimo – dice Marx – dei popoli moderni.
Il discorso di Marx – una banalità dirlo – è eurocentrico. La sfasatura dei tempi è rilevata in quella piccola porzione di mondo che è l’Europa del nord; inoltre questa sfasatura è tale rispetto ad una serie di fasi dello sviluppo storico il cui succedersi è ineluttabile. Tuttavia costituisce un primo tentativo di messa in discussione dell’idea di tempo unico e di omogeneità temporale sia di un’epoca storica, sia di una singola società.
Farò ora un grande salto dal Marx del ’43 al vecchio Marx. In realtà altri testi meriterebbero di essere analizzati in questa prospettiva, dagli scritti storici del 50-52, in cui viene messa in tensione la linea evolutiva e stadiale del Manifesto attraverso una complessa analisi dell’intreccio dei tempi della società francese11, sino al capitolo 24 sull’accumulazione originaria ed all’analisi delle differenti temporalità economiche, politiche e religiose che presiedono ad essa. Mi limiterò a prendere in considerazione due testi celebri del vecchio Marx, a proposito dell’Obscina, la comunità rurale russa, che hanno una ricaduta fondamentale anche sull’interpretazione del capitolo sull’accumulazione originaria.
Il primo testo è una lettera alla redazione della «Ote estvennye Zapiski» dove è affrontata la questione dell’ineluttabilità delle fasi dello sviluppo storico a partire da quelle descritte da Marx nel capitolo 24 del Capitale. La domanda fondamentale è se la Russia «debba cominciare col distruggere la comune agricola per passare da qui al regime capitalistico»12. Il presupposto della questione è la non contemporaneità della società russa rispetto a quella europea: la Russia in un certo senso costituisce il passato dell’Europa. Dato questo presupposto la domanda verte sull’ineluttabilità delle fasi attarverso cui questo passato deve svilupparsi. Questa la risposta di Marx:
E sono giunto alla conclusione che segue: se la Russia continua a battere il sentiero sul quale dal 1861 ha camminato, perderà la più bella occasione [chance] che la storia abbia mai offerto a un popolo, e subirà tutte le peripezie del regime capitalistico13.
Maffi traduce «chance» con «occasione» cogliendo l’eco machiavelliano del passaggio di Marx: nel momento in cui Marx polemizza con un’idea di storia stadiale usare la terminologia machiavelliana significa rifiutare l’idea di un tempo unico su cui marciano tutti i popoli con differenti ritardi. Il capitolo 24 offre uno schizzo della genesi del capitalismo in Europa e non una «teoria storico-filosofica [théorie historico-philosophique]»14 della marcia generale fatalmente imposta a tutti i popoli. E aggiunge: «In qualsiasi situazione storica [circonstances historiques] si trovino»15.
Il termine «circostanza» (per di più al plurale) articola spazio e tempo, storia e geografia, permette di decostruire l’idea di una marcia generale. Così, dopo aver fatto il celebre esempio dell’antica Roma e dell’esproprio delle terre contadine che non condusse ad un modo di produzione capitalistico ma schiavistico, Marx introduce un’altra coppia concettuale chiave, quello di ambiente storico/evento:
Dunque, eventi [événements] di un’analogia sorprendente, ma verificatisi in ambienti storici [milieux historiques] affatto diversi, produssero risultati del tutto differenti16.
Qui il rapporto ambiente/evento, usato per rifiutare una filosofia della storia «la cui virtù suprema è di essere soprastorica» non sembra semplicemente alludere a possibili biforcazioni, ma anche ad una stratificazione del tempo storico. Questa idea è ripresa negli abbozzi della lettera a Vera Zasuli in cui Marx parla di «combinazione di circostanze uniche» che porterebbero l’obščina a divenire «elemento della produzione collettiva su scala nazionale»17. Il concetto di combinazione di circostanze costituisce la precisa decostruzione di fasi successive che si generano le une dalle altre.
In questo contesto Marx utilizza il concetto geologico di formazioni primarie, secondarie etc. (si potrebbe d’altra parte formulare l’ipotesi che il concetto di ambiente sia di ascendenza dawiniana). Il passaggio dalla formazione primaria (di cui la comune agricola costituisce la fase ultima) alla formazione secondaria (che abbraccia tutta la serie delle società poggianti sulla schiavitù e sul servaggio) non è inevitabile. La comune russa è attraversata da un dualismo che ammette un’alternativa. Tutto dipende, scrive di nuovo Marx, dall’ambiente storico, in questo caso costitituito dalla «contemporaneità» con lo sviluppo tecnico-industriale Occidentale.
Il secondo autore che chiamo qui come testimone dell’esistenza di una tradizione sotterranea della temporalità plurale è Ernst Bloch, che ha sviluppato il tema in due testi fondamentali: Eredità di questo tempo e Differenziazioni sul concetto di progresso. Il primo testo è composto da una serie di articoli usciti tra il 1924 e il 1934, pubblicati come volume nel 1935. L’oggetto del libro è l’ascesa al potere di Hitler e l’impossibilità di dar ragione di questo fenomeno storico attraverso lo schema della contraddizione capitale-lavoro. Il cuore del libro è il capitolo del 1932, «La non contemporaneità e il dovere di renderla dialettica». L’incipit di Bloch è folgorante:
Nich alles sind in selben Jetz da18.
Coesistenza e contemporaneità non sono sovrapponibili, in altre parole coesistono una molteplicità di tempi. Vi sono forze provenienti dal passato che innervano il potere di Hitler. Il tempo dei giovani di estrazione borghese, il tempo dei contadini, il tempo del ceto medio impoverito, sono altrettanti tempi non contemporanei. Questi tempi non sono semplicemente tempi soggettivi, differenti modi di fare esperienza di una medesima contemporaneità: essi affondano le radici in una non contemporaneità oggettiva della società tedesca. In altre parole, la società tedesca non è uno spazio omogeneo permeato da un unico tempo che costituisce il campo di gioco della contraddizione semplice: la Germania è la «klassische Land der Ungleichzeitigkeit»19, in Germania convivono con il presente capitalistico delle strutture precapitalistiche ed è proprio la presenza oggettiva di queste strutture che favorisce il radicarsi soggettivo di un immaginario nazista:
In Germania presso il contadino disperato, il piccolo borghese fallito, la natura e […] i fantasmi della storia risorgono con particolare facilità20.
Qual è il rapporto tra contemporaneità e non contemporaneità, tra contraddizione contemporanea e non contemporanea. La contraddizione non contemporanea, dice Bloch, si mette di traverso rispetto allo svolgersi della contraddizione contemporanea che vede la forza motrice nel proletariato. Per pensare la società tedesca è necessario, dice Bloch, rendere «più ampio il tempo attuale»21, è necessario dotarsi di una dialettica a molteplici livelli, una dialettica plurispaziale e pluritemporale, capace di ereditare questi tempi in una prospettiva politica comunista. Il secondo testo, Differenziazioni sul concetto di progresso, appartiene ad una congiuntura completamente differente, il dopoguerra, ed è una conferenza del 1955 all’Accademia delle scienze della DDR. L’obiettivo polemico è la filosofia della storia eurocentrica come ideologia del colonialismo, ma sottotraccia anche il marxismo ortodosso, l’Histomat, con la sua idea di progresso lineare e stadiale.
L’attacco che Bloch porta a questa concezione è complesso è articolato. Proverò a sintetizzarlo in alcuni punti:
1) critica all’identificazione di successione e progresso;
2) critica dell’omogeneità temporale di struttura e sovrastruttura;
3) critica alla concezione di un ordine progressivo delle fasi della sovrastruttura;
4) insufficienza della partizione della storia in epoche e stadi;
5) critica del vettore natura-storia.
Per pensare il progresso, concetto a cui Bloch non rinuncia, è necessario una concezione del tempo storico come multiversum (termine coniato da Novalis). Di nuovo non si tratta di un tempo soggettivo, di una molteplicità di modi di immaginare il tempo. Si tratta anche di questo, ma non solo. Multiversum significa una molteplicità di tempi su un piano ontologico, molteplicità che si dà primariamente nell’intreccio e nell’interazione, ma che non presuppone la continuità, semmai la analizza come effetto dell’intreccio stesso, così come la discontinuità del resto.
Lascio da parte Gramsci, che sarebbe un testimone altrettanto interessante, per concentrarmi sul concetto di temporalité differentielle in Althusser. Il marxismo con cui polemizza Althusser non è molto diverso da quello contro cui polemizzava, implicitamente, Bloch nel testo del 1955. Il testo chiave in questo senso è l’«Abbozzo del concetto di tempo storico», in cui Althusser sviluppa sul piano di una esplicita teoria del tempo una serie di premesse implicite nel concetto di suderterminazione e di contraddizione surdeterminata.
Se la contraddizione hegeliana, la contraddizione semplice, si gioca in una totalità sociale temporalmente omogenea, la contraddizione surdeterminata si sviluppa in un tutto sociale complesso e strutturato secondo una gerarchia di contraddizioni. In Leggere il Capitale Althusser critica esplicitamente la concezione hegeliana o hegelo-marxista del tempo basato su continuità omogenea del tempo e contemporaneità. In particolare la critica all’idea di contemporaneità è fondamentale per la costruzione della teoria della temporalità di quello che Althusser chiama il tutto complesso marxista. La mossa chiave consiste, come in Bloch, ma in un altro contesto teorico, nello svincolare i concetti di coesistenza e contemporaneità. Ogni livello del tutto sociale marxista ha un tempo proprio che deve essere costruito teoricamente, con i suoi ritmi, le sue continuità, le sue torsioni e le sue discontinuità. Tuttavia ciascuno di questi tempi non procede nel vuoto, ma è articolato agli altri, è intrecciato agli altri tempi, in altre parole la specificità di questi tempi è differenziale. Tutta la difficoltà dell’impresa teorica di Althusser sta nel pensare da una parte l’autonomia di questi tempi, dall’altra la loro articolazione nel tutto, da una parte la determinazione in ultima istanza dell’economico, dall’altra la strutturale surdeterminazione di questa istanza la cui ora solitaria non suona mai.
Per concludere vorrei sottolineare ciò che c’è in gioco nell’operazione che ho provato a fare, spazzolando, per così dire, la tradizione marxista contropelo, nel tentativo di far emergere quella che potremmo chiamare, facendo eco all’ultimo Althusser, corrente sotterranea della temporalità plurale. L’appello ad una pluralità di tempi è fatto ogni volta in nome di una critica ad un modello lineare, stadiale e progressivo dello sviluppo storico. Ogni volta ciò che viene colpita è una teoria della rivoluzione come esito necessario di una contraddizione fondamentale che scandisce il tempo della storia. Ma in nome di quale alternativa questa critica è condotta? Mi sembra chiaro che se il determinismo economicista è rifiutato, non lo è in nome di un qualche indeterminismo, di un volontarismo o di una teoria astratta della decisione o della libertà. Così come la filosofia della storia con il suo continuismo è una secolarizzazione di un modello cristiano, anche la filosofia della discontinuità radicale lo è, del modello paolino secondo cui «Dio viene come un ladro nella notte». Interruzione improvvisa e imprevista della linea tempo, linea tempo che è tuttavia presupposta. Lo sforzo da fare attraverso questa tradizione consiste nel pensare la continuità stessa, che fornisce il modello di questa storia stadiale e progressiva, nella sua complessità e nella sua contingenza, non quindi come una misura universale del particolare, ma come particolare stesso tra altri, di cui ogni volta si deve pensare lo specifico intreccio di tempi per poter pensare al suo interno lo spazio di un’azione politica emancipativa.
Note
↩1 | C. Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi, 2017, p. 24. |
---|---|
↩2 | Ivi, p. 25. |
↩3 | K. Löwith, Meaning in History. The Theological Implications of the Philosophy of History, The University of Chicago Press, 1949, tr. it. di F. Tedeschi Negri Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, Milano, Il Saggiatore, 1989. |
↩4 | Arist. Phys. IV 218b. |
↩5 | I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, in Kant Werke, Unveränderter photomechanischer Abdruck des Textes der von Preußischen Akademie der Wissenschaften 1902 begonnenen Ausgabe von Kants gesammelten Schriften, de Gruyter & Co., 1968, Bd. 3, p. 58, tr. it. a cura di G. Colli, Milano, Bompiani, 1987, p. 87. |
↩6 | Ibidem, tr. it. cit., pp. 87-88. |
↩7 | K. Marx, F. Engels, Manifest der Kommunistischen Partei, in Marx Engels Werke, Bd. 4, Dietz, 1959, p. 467, tr. it. in Marx Engels Opere, vol. 6, Editori Riuniti, 1973, p. 491. |
↩8 | K. Marx, «Vorwort» a Zur Kritik der politischen Oekonomie, in Marx Engels Werke, Bd. 13, Dietz, 1974, pp. 8-9, tr. it. a cura di N. Merker, in La concezione materialitica della storia, Editori Riuniti, 19982, pp. 130-131. |
↩9 | Cfr. Su questo punto J. Rancière, «Le concept d’anachronisme et la vérité de l’historien», in L’inactuel, 6 (1996), pp. 53-68. Ringrazio Elia Zaru di avermi segnalato questo testo. |
↩10 | K. Marx, «Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung», in Marx Engels ,Werke, Bd. 1, Dietz Verlag, 1956, p. 380, tr. it. in Marx Engels, Opere, vol. III, Editori Riuniti, 1976, p. 192. |
↩11 | Su questo punto vedi il mio «Storia e rivoluzione: dal Manifesto al Diciotto Brumaio», in S. Petrucciani (a cura di), Il pensiero di Karl Marx. Filosofia, politica, economia, Carocci, 2018, pp. 143-176. |
↩12 | K. Marx à la rédaction de l’«Otečestvennye Zapiski», in Marx Engels, Gesamtausgabe, Erste Abteilung, Bd. 25, Dietz, 1985, p. 116, tr. it. a cura di B. Maffi, K. Marx, F. Engels, India Cina Russia, il Saggiatore, 2002, p. 244. |
↩13 | Ibidem. |
↩14 | Ibidem. |
↩15 | Ibidem. |
↩16 | Ivi, p. 117, tr. it. cit., p. 246. |
↩17 | K. Marx à Vera Zasulič, in Marx Engels, Gesamtausgabe, Erste Abteilung, Bd. 25, pp. 219-220. |
↩18 | E. Bloch, Erbschaft dieser Zeit, in Werkausgabe, Bd. 4, Suhrkamp, 1962, p. 104. |
↩19 | Ivi, pp. 113-114. |
↩20 | Ivi, p. 114, tr. it. a cura di L. Boella, Il Saggiatore, 1992, p. 91. |
↩21 | Ivi, p. 122, tr. it. cit., p. 98. |
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