Il come
Che cos'è un'OperaViva?
È difficile definire che cos’è un’«opera viva». È facile infatti che il suo senso sia determinato dal concetto di opera e che quindi la vita ne risulti in qualche modo qualificata e quindi catturata. Si finirebbe, volenti o nolenti e nonostante le diverse accezioni che pur si possono dare, per assecondare l’idea di poter fare della vita – propria o di altri – un’opera o l’idea di poter produrre un’opera che abbia a proprio contenuto o che rappresenti la vita.
La vita non può essere certo il prodotto di un agire, di un’attività a cui il concetto di «opera» inevitabilmente riconduce. È infatti fatica sprecata attribuire a «opera» un senso diverso da quello che, da sempre, l’accompagna: un’attività diretta a un fine. Un’opera – anche quella qualificata come «viva» – finisce per compiersi in un certo modo, per tendere a un certo risultato, per esaurire la sua produzione in un prodotto.
È questa la condizione perché sopravviva in quanto opera. E ciò è fondamentale perché quella stessa vita che è stata impegnata nella sua produzione non si confonda con il prodotto – comunque singolare, per quanto comune e collettiva possa esserne stata la produzione – che ne è scaturito: la vita deve eccedere l’opera.
Sembra quindi che «opera viva» sia un ossimoro, che tiene insieme due termini che si escludono a vicenda. E nemmeno ci toglierebbe d’impaccio ricorrere alla formulazione «forma di vita», come se questa fosse un passepartout buono per ogni occasione. Certo, un’opera viva potrebbe essere quella che, di volta in volta, dà forma alla vita – ma a quale scopo, a quale fine? È questa infatti la domanda che l’opera farebbe risuonare nelle «forme di vita» – ed è proprio a questa domanda che forme di vita indisponibili per il mercato non dovrebbero rispondere.
E allora, quale vita rende viva un’opera e al contempo le sopravvive? Credo si tratti della vita che si mette in comune, che non si può non condividere nel momento in cui ci si mette all’opera. Niente di geniale, nessuna ispirazione eccezionale, tutt’altro che il soffio vitale che il creatore infonde nella sua opera; la vita in comune è piuttosto la condivisione delle forme di vita che si mettono all’opera.
Credo allora che un’opera sia viva per come essa si produce, per come si partecipa alla sua produzione con tutto ciò che, soltanto mettendosi all’opera, le singole forme di vita scoprono di avere in comune; non solo quindi saperi e competenze, ma anche esperienze e condotte concrete, materiali, pure quotidiane.
Non si tratta dunque del know how, della propria specifica competenza che ognuno/a può metterci per contribuire alla produzione di opere; si tratta piuttosto della vita che si genera in comune – relazioni, affetti, conflitti – nel momento in cui si agisce in vista di un certo fine. Certo, di prodotti – di opere – tale opera viva ne produrrà, più o meno tanti, più o meno buoni; e tali prodotti porteranno anche la firma di questa autrice o di quell’autore. Ma come queste opere andranno a prodursi – questa è opera viva.
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