Ti racconto la crisi d’Atene
Un libro di Antonella Mancusi
Il riscatto dello sguardo. Il sentimento della crisi, l’Atene di oggi (Edizioni Mimesis, 2022) di Antonella Mancusi è un libro denso di riferimenti, trame teoriche, indirizzi di lettura, quadri di riferimento. Già nel suo precedente Presenza. Essere dinanzi al mondo, essere dinanzi al vuoto (Edizioni Mimesis, 2018) la ricchezza teorica era un solido elemento portante che si muoveva tra più ambiti disciplinari per interrogarsi sul tema della «presenza» dentro un ampio ventaglio di autori: Ludwig Binswanger, Eugenio Bornia, Martin Heidegger, Günther Anders, Maurice Merleau-Ponty, Umberto Galimberti, Michel Foucault, Maŕc Augé, Gilles Lipovetsky. E logicamente Ernesto De Martino che in questo nuovo volume torna decisamente come nodale punto di riferimento. Dal grande antropologo napoletano Antonella Mancusi recupera una serie di parametri concettuali: il tema della presenza minacciata nel mondo primitivo, la crisi come necessario ripensamento dei valori, le nostre presenze come processi in formazione, il rapporto collettivo e altre tematiche demartiniane «utili» per analizzare la crisi della Grecia contemporanea.
Altra chiave di lettura è il cinema del regista Yorgos Lanthimos. Artefice di un cinema freddo, disturbante, con uno sguardo che sa essere grottesco e surreale Lanthimos è un importante capitolo espressivo che la Mancusi «indaga» per raccontarci la crisi. Un regista che, nel recuperare alcuni canoni centrali della Grecia classica, realizza lavori (soprattutto all’inizio della sua carriera) d’impatto fortemente sociale tra sperimentazione e azzardo (e con uno stile decisamente personale) per realizzare un lavoro di notevole forza espressiva ed eversiva. La Mancusi affronta i suoi film, soprattutto nella valenza antropologica, cogliendone gli elementi totalmente dentro il tessuto complesso della crisi. E qui una serie di echi sembrano delle costanti per capire fino in fondo la complessità della Grecia degli ultimi anni. E i temi sono davvero importanti: sicuramente il nucleo familiare (Doogtouth, 2009), la dimensione della tecnologia (Kinetta, 2005), la sfida tra vita e morte (Il sacrificio del cervo sacro, 2017), il futuro distopico (The Lobster, 2015 che farà conoscere al mondo l’opera cinematografica di Lanthimos). Il tutto dentro una grande varietà di generi cinematografici, e con un’attenzione specifica alla dialettica cinema-antropologia (che, come detto prima, in particolar modo è l’interesse portante dell’autrice).
Inoltre, accanto all’antropologia di Ernesto De Martino e al cinema Yorgos Lanthimos, Antonella Mancusi utilizza altri «strumenti» di indagine, altri saperi, altri «dispositivi» teorici tra antropologia, sociologia, filosofia e immaginari per capire la crisi: le interviste, la fotografia e soprattutto la dimensione dell’autobiografia. E proprio l’utilizzo dell’autobiografia, come strumento d’indagine, è un punto di forza di questo libro. L’autobiografia, seguendo gli studi sociologici di Paolo Jedlowski (penso in particolare a Storie comuni, Mesogea, 2022), è sempre un’azione comunicativa che tramuta la «vita quotidiana» in narrazione e quando l’autobiografia diventa scrittura non si tratta più soltanto di un lavoro di «introspezione», ma ci troviamo di fronte ad un’autentica «esigenza di verità» (come sottolinea Philippe Jeunne nel suo Il patto autobiografico, Il Mulino, 1986). E dentro questa «esigenza» si muove la Mancusi che nel parlare di sé miscela assieme critica, teoria, analisi e vissuto il tutto a partire da un viaggio che l’autrice ha svolto nel 2017 in Grecia grazie ad una borsa di studio presso l’Istituto Italiano di Cultura.
Tutto questo rendendo Il riscatto dello sguardo un saggio analitico, ma al contempo un profondo scandaglio personale in grado di affrontare, a piene mani, il periodo della crisi in Grecia che l’autrice ha, appunto, vissuto durante il periodo di tirocinio greco. Leggiamo l’autrice: che ci spiega come è nato questo libro: «un’esperienza intermedia tra un effettivo percorso di lavoro all’estero, una ricerca antropologica sul campo in un contesto in crisi e una lunga vacanza vissuta con lo stupore del viaggio difficile e affascinante, insieme a colleghe, oggi carissime amiche, con le quali ho condiviso momenti spensierati e profondi in cui abbiamo potuto misurarci con le nostre paure e le nostre risorse alla ricerca dell’anima del luogo». Tutto poi si è sedimentato ed esploso come necessità di racconto-saggio durante l’incubo della Pandemia. Quello che, inoltre, troviamo nel libro è una vera e propria filosofia del luogo (che sembra avere due punti apicali nel «non luogo» di Marc Augé e nelle «eterotopie» di Michel Foucault).
Un libro abitato da consapevolezza forte, di natura decisamente immersiva (il concetto caro al Marshall McLuhan «io non studio i media, io mi immergo nei media»). Un libro che lavora su diverse sensazioni, alle volte anche contrastanti e come la potenza delle idee («potenza dell’idea fissa» scrive Baudelaire) riscrivono e reinventano gli spazi. Un libro da leggere come una «geografia dei sentimenti» con una continua dialettica tra ideale e concretezza. Un viaggio negli spazi nascosti al turismo con un girovagare antropologico, sociale e sentimentale in continuo alternarsi. «Si tratta – leggiamo ancora Antonella Mancusi – di una sopravvivenza non solo fisica ma sociale e culturale, che implica il senso di appartenenza a un luogo che deve divenire fonte di godimento dei propri bisogni». Cogliere i volti della crisi, riannodare le motivazioni, tornare alla «crisi della presenza» (ancora Ernesto De Martino), soffermarsi sul rischio sociale, sui drammi collettivi che si rispecchiano in quelli individuali. E continuando a camminare raccontare la crisi tra sguardi fotografici, dentro le strade ateniesi, nel vissuto degli homeless ateniesi, nelle taverne, durante la notte, verso il mare, tra le isole, tra l’Acropoli e i colli. In un continuo cammino. Tra sacro e profano, verrebbe da dire.
Un libro che analizza i contrasti, le possibilità, le linee di fuga. Con uno sguardo sempre complice e amico di un popolo angosciato, ma dentro un caos calmo. «Atene – sintetizza l’autrice ‒ mi ha insegnato ad andare fino in fondo, a non smettere mai di cercare declinazioni e traiettorie diverse ovunque io mi trovi, soprattutto in un’epoca in cui la crisi è ormai assunta come inevitabile patologia del tempo a causa dell’unidirezionalità imposta al pensiero e al sentimento, del resto ogni giorno c’è chi sembra scegliere per noi anche la tragedia tra le tante, di cui dobbiamo farci carico».
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