Abbiamo una nave
Il kairos contro la speranza
Il kairos dei greci non era il tempo dei latini. Mentre il secondo annegava gli eventi nel fluire delle cose, depotenziandone il significato, il concetto di kairos era il momento giusto, era il presente usato come si deve, come è necessario.
È partita una nostra nave nell’ora della barbarie dei porti chiusi, nei giorni dell’anniversario del naufragio di Lampedusa, nei mesi di circolari per rinchiudere l’umanità nel dettaglio meschino della burocrazia, nei giorni delle procure che interpretano le norme a svantaggio dell’articolo più importante di tutti, quello del dovere alla solidarietà.
Mesi di lavoro, una rete di associazioni e ong (Sea Watch), il collettivo Ya basta di Bologna, alcuni parlamentari, l’impresa sociale Millevolti di Palermo, il magazine I Diavoli, per varare la nave del futuro che si costruisce dall’ora, la nave del progetto che non delega più alla speranza il necessario esserci nel mediterraneo in questo momento, in questo preciso momento.
La nave si chiama Mediterranea, monitorerà, testimonierà e denuncerà l’orrore delle attuali politiche in materia di migrazione. Sarà lo sguardo che arriva nel deserto del mare dove troppe imbarcazioni, da Aquarius alla Diciotti, che hanno effettuato soccorso per tutte le estati hanno dovuto affrontare pericoli di avaria, respingimenti per disposizioni del Viminale, la paura delle vedette libiche. In breve la paurosa e titanica violenza degli stati contro la solidarietà.
Siamo qui per costituirci, intanto. Questa nave, per la quale tutti quelli che ci hanno lavorato vanno ringraziati per la capacità di intercettare il kairos, il momento opportuno, e tutti noi che la sosteniamo siamo colpevoli di favoreggiamento alla solidarietà. Perché il kairos non è il destino che subiamo ma quello che creiamo.
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