Apparizioni

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Marta Roberti, There is an elephant in the room (2013).

Martedì 20 ottobre, alla Fondazione Pastificio Cerere, si inaugura There Is an Elephant in the Room, mostra personale di Marta Roberti, a cura di Manuela Pacella. La mostra sarà allestita presso lo Spazio Molini, ricavato dal recupero dell’antico mulino del Pastificio Cerere, e resterà aperta al pubblico dal 20 fino al 30 novembre 2020. Pubblichiamo qui il testo scritto per l’occasione dal filosofo Felice Cimatti.

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Queste righe sono scritte domenica 8 marzo 2020, poche ore dopo il governo ha dichiarato che l’intera Lombardia e altre province del nord Italia da quest’oggi sono zone rosse, cioè zone da cui non si può uscire e in cui non si può entrare. L’epidemia provocata dal virus chiamato SARS-CoV-2 sta progressivamente estendendosi, e agli umani non rimane che rinchiudersi in casa per provare ad arrestarne l’espansione. L’umano è il vivente delle gabbie e dei confini; mentre l’animale è animale proprio perché non conosce frontiere e confini. In questo senso There is an elephant in the room mostra quello che è sotto gli occhi e nessuno osa vedere, gli animali ci sono, fanno quello che vogliono, quando si muovono il mondo trema. In effetti tutto il dilagante e stucchevole amore per gli animali non coglie il punto essenziale: gli animali, anche quelli industriali e dei laboratori scientifici, non sanno che farsene del nostro amore. L’animale non è mai una vittima. L’animale è tremendo.

Il fatto che all’origine di tutto questo ci sia un virus, cioè un’entità di cui gli stessi biologi non sanno se possa dirsi viva o no (senza che per questo possa neanche essere detta morta), ci offre un modo per avvicinarci ai lavori animaleschi di Marta Roberti. Se c’è qualcosa che Marta Roberti mostra ai nostri sguardi è proprio l’animale come pura apparizione straniante. L’animale è ciò che appare, quando decide lui, come decide lui. Come appunto ha fatto il SARS-CoV-2, il virus (dal latino virus, veleno, l’animale è sempre velenoso semplicemente perché è animale, cioè inumano), che è apparso (forse, ma non è importante dove sia successo realmente) in un mercato del pesce in una sperduta e sterminata città cinese. Ecco, l’animale appare. L’animale è quell’entità che appare, cioè si mostra, senza essere stata invitata. In questo senso l’animale è per definizione l’inatteso.

Di fronte all’animale siamo sempre in difetto, proprio perché non sappiamo mai nulla dell’animale, anche se crediamo di saperne tutto: Homo sapiens è infatti quel vivente che ritiene di sapere tutto degli altri animali e del resto del mondo. In realtà sa molte cose degli animali, ma non sa quella essenziale, che l’animale, come il licaone che ci osserva impenetrabile e distante, è il miracolo del mondo. Qui miracolo va inteso come suggerisce Wittgenstein, non come qualcosa di eccezionale e incomprensibile, al contrario il miracolo accade quando si permette al mondo di mostrarsi nella sua assoluta e insopportabile presenza. L’animale, il licaone come il pavone, non mostra nulla se non la sua presenza miracolosa. Pensiamo alla coda del pavone, alle tante spiegazioni che abbiamo sentito ripetere del perché questo fantastico animale sfoggerebbe questa coda eccessiva e ingombrante: spiegazioni sicuramente vere e corrette, che tuttavia distolgono l’attenzione dal fatto sconcertante di questo puro evento visivo, di questa presenza che ci lascia senza parole. Ecco, Marta Roberti ci riporta al miracolo di questa apparizione. Non vuole aggiungere un’altra spiegazione, non ha niente da dirci, ci mette davanti all’evento dell’animalità. In realtà il pavone dai mille occhi che ci fissano misteriosi non è più l’animale di cui conosciamo il nome, il pavone.

L’aspetto più interessante del lavoro di Marta Roberti è proprio questo: ci mostra un animale, ma ce lo mostra in un modo che ci costringe a dimenticarne il nome. O meglio, il nome lo ricordiamo ancora, ma è evidente che quel nome non aderisce più al vivente a cui è stato assegnato. L’animale – attraverso la peculiare tecnica grafica di Marta Roberti – è diventato diafano e sfuggente, inafferrabile proprio perché troppo leggero. Ecco, gli animali di Marta Roberti mostrano la crisi del nostro linguaggio, la sua incapacità di delimitare il mondo, di attribuire agli enti che nomina un posto e una funzione.

E così torniamo al SARS-CoV-2, alla sua brutale e spietata semplicità, che in realtà è la pura semplicità dell’animale. Come quella dell’elefante che vediamo nella breve clip There’s an elephant in the room che dà il titolo all’intera mostra. È un elefante, si riconosce distintamente, e tuttavia non è propriamente un elefante. La clip ci mostra un animale che è allo stesso tempo quasi immobile (si muovono solo la coda e la proboscide), e tuttavia scosso da un fremito minaccioso; un fremito che sembra quasi farlo dissolvere.

L’animale è questa continua oscillazione fra movimento e quiete, sempre sul punto di muoversi anche quando è fermo, sempre pronto a fermarsi quando si muove. L’animale è questa imprevedibilità. In questo senso c’è un elefante nella nostra stanza, quella stanza che vogliamo sicura e impenetrabile, mentre l’elefante era già qui, era già dentro. L’elefante sta nella stanza da molto prima di noi. Ecco, noi siamo quella stanza, quel confine e quella paura. L’elefante, come il SARS-CoV-2, non sa che cosa sia una stanza: essere un animale non vuol dire altro, in fondo, che le stanze, cioè i recinti e le gabbie, non esistono. Le apparizioni di Marta Roberti ci costringono ad aprire porte e finestre. C’è del licaone, c’è del pavone, c’è dell’elefante. C’è del SARS-CoV-2. C’è del mondo, il miracolo del mondo: «Nel cortile splende bianca la luna autunnale. / Dall’orlo del tetto cadono fantastiche ombre. / Silenzio dimora in vuote finestre; / ed ecco affiorano sommessi i ratti»1.

Note

Note
1Georg Trakl, «I ratti», in Le poesie, Garzanti, Milano 1983, p. 57.

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