Inserirsi nei vuoti
Loreto Martínez Troncoso
L’artista spagnola Loreto Martínez Troncoso inaugura Short Theatre 2021, alla Reale Accademia di Spagna a Roma, con «breathe in, breathe out», azione vocale che indaga l’atto corporeo del linguaggio e istituisce la relazione tra corpi. Partecipa inoltre con la performance [é-cri-tures]: Alma (primi tentativi) a WEGIL, nello storico edificio di Trastevere sede dell’organizzazione fascista Gioventù Italiana del Littorio, nel flusso di CRATERE, spazio concepito per praticare la coabitazione di un flusso collettivo di voci, bisbiglii e pronunce poetiche capaci di transitare di bocca in bocca, riflessione teorica nutrita di istanze decoloniali, punte avanzate degli studi sulla performance ed epistemologie transfemministe.
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Per Michel de Certeau la presa di parola «consiste nel dire: Io non sono una cosa. La violenza è il gesto di chi rifiuta qualsiasi identificazione: Io esisto» (1994, 41).
La ricerca di Loreto Martínez Troncoso è un’affermazione ostinata di esistenza che si manifesta attraverso la presenza, la voce e la parola. Prendere la parola, agire, essere qui ed ora. Oppure delegare quest’affermazione di presenza ad altri dispositivi: testi, registrazioni sonore, film. O ancora, aprire degli spazi per una presa di parola plurale e collettiva; rimanere in silenzio, in ascolto, lasciando emergere altre voci.
Loreto parla (o non parla) dal 1999. Prende parola di fronte a un pubblico per la prima volta in seguito a un invito del regista Michel Schweizer per il suo spettacolo Kings. Già allora è fuori formato: entra con gli attori durante gli applausi e, invece di uscire, resta lì, seduta su una sedia, mentre il pubblico si alza in piedi, e, quando nulla dovrebbe accadere, lei parla. Durante una tournée in Africa comincia a domandarsi che cosa stia facendo lì sopra, su quel palcoscenico, fino a che non manda un’amica al suo posto in occasione dell’ultima replica dello spettacolo al quale partecipa al Centre National de la danse di Pantin. Da quel momento, si inserirà nei vuoti, nelle brecce, come dice lei. Pur intervenendo sempre in contesti artistici, Loreto sceglie di farlo là dove il discorso non è destinato agli artisti, dove non è atteso: per esempio, dopo i discorsi dei rappresentanti politici all’inaugurazione di Bétonsalon a Parigi (2007); durante la conferenza stampa di una mostra al MARCO di Vigo (2008); o presentandosi il sabato prima di una sua performance al festival 100dessusdessous alla Villette (2005).
In un’investigazione dei limiti della presa di parola, si propone sempre fuori contesto, da sola, in piedi, stringendo il suo microfono, parlando in prima persona e rivolgendosi direttamente al pubblico che ha di fronte; delle prese di parola che mettono in gioco la situazione dell’enunciazione e le sue frontiere, interrogando l’asimmetria presente tra performer e pubblico, tra chi parla e chi ascolta. Durante queste incursioni nello spazio dell’apparenza, si concede la parola esponendosi al pubblico, allo sguardo-ascolto degli altri, in un gioco di equilibri tra la fragilità della sua presenza fuori luogo e la sua autorità in quanto autrice. Ben presto, la sua critica istituzionale viene riassorbita dalle istituzioni e così Loreto decide di restare in silenzio; o meglio, tra finzione e realtà, lascia la scena, scompare, sperimentando nella vita ciò che aveva annunciato durante la sua performance ai Laboratoires d’Aubervilliers (Sans titre, pour l’instant, 2006).
Al ritorno sulla scena artistica, il suo lavoro diventa più proteiforme, anche se ancora assolutamente contestuale e dialogico. Delega la sua presenza a drammaturgie sonore e a dispositivi di ascolto in cuffia. La sua reazione con il pubblico diventa più intima, incarnata, prossima: dei bisbigli che accarezzano il corpo dell’ascoltatore. Il silenzio assume un posto centrale in quanto manifestazione dell’impossibilità di parlare, come espressione di volere semplicemente essere qui (Battements, Palais de Tokyo, 2015), come sintomo dell’assenza, come apertura all’ascolto dell’altro. A volte, la voce rifiuta la struttura, rifiuta di articolarsi in linguaggio, per lasciarsi andare nelle sue emanazioni pre-simboliche o post-simboliche: il soffio, la respirazione, il canto… Alla fine, questo desiderio di presenza, di relazione, di dirottare i contesti della presa di parola o di interrogare lo statuto di voci differenti nella società converge nei progetti collettivi dell’artista, come Opereta A~Mar (2014) o El eco de tu voz – l’écho de ta voix (2018). Qui si tratta di comporre dei quadri di enunciazione comune, degli spazi di espressione condivisa attraverso un lavoro di lunga durata con gli e le abitanti di un quartiere di Lisbona o le e i pazienti di un ospedale psichiatrico di Aix-en-Provence. La presa di parola si apre e questo dialogo – rimasto così a lungo in sospeso – prendendo corpo nella pluralità delle voci, nell’ascolto e nella risonanza tra le voci, ovvero nella relazione primaria tra gli esseri umani.
Negli ultimissimi progetti la parola di Loreto diventa sempre più situata, in maniere sempre diverse. Souffle(s)! [delirios de (un) jardín] (2020) è una performance costruita a partire dal luogo fisico del giardino del Museo Reina Sofía di Madrid, dal suo statuto in bilico fra pubblico e privato, dalla sua vegetazione e dall’interazione con un’altra artista e con un suo progetto per questo spazio. La nostra ricerca comune – una serie di lecture-performance intitolata Para empezar ¡no me contradigas! (2021) – è un’esplorazione dei limiti, dei quadri istituzionali e dei dispositivi del discorso. Le questioni al centro del nostro primo dialogo ventriloquo (Biserna e Martínez Troncoso 2019) vengono affrontate a partire da un posizionamento preciso: ci situiamo come donne all’interno di una società patriarcale basata, fra le altre cose, sulla violenza epistemologica, sul monologo del master-subject uomo, cis, bianco e sulla riduzione al silenzio delle altre soggettività.
Abbiamo quindi deciso di chiudere in un armadio i libri dei filosofi e degli scrittori che ci hanno abitato tanto a lungo per cercare altri riferimenti e sfuggire all’ordine del discorso patriarcale. Le nostre domande sono sempre le stesse: cosa significa prendere la parola? Chi ha il diritto di prenderla? Come, dove e quando «Ma che c’è dunque di tanto pericoloso nel fatto che la gente le donne parlano e che i loro discorsi proliferano indefinitamente? Dov’è dunque il pericolo?» (Foucault, 2004).
Il lavoro di Loreto è un’esplorazione continua del visibile e dell’udibile, delle loro forme, dei loro dispositivi e delle loro condizioni. Per questa ragione, pur svolgendosi in contesti diversi, ha sempre a che fare con lo spazio pubblico; uno spazio pubblico immaginato, come «spazio dell’apparenza», dove la pluralità umana si rivela nella parola e nell’azione, «dove la libertà può diventare una realtà tangibile» (Arendt, 2013). Uno spazio, quindi, sempre eminentemente politico.
Scritto nel settembre 2019 per wi watt’heure, rimaneggiato nell’agosto 2021 – Traduzione di Edoardo Lazzari.
Riferimenti
H. Arendt, Sulla rivoluzione, Einaudi (2009)
Biserna, Elena e Loreto Martínez Troncoso, Prendre la parole. Un dialogue ventriloque – wi watt’heure #29, Revue & Corrigée, 2019 https://www.revue-et-corrigee.net/?v=wwh&a=2019
M. de Certeau, La presa della parola e altri scritti politici, Meltemi (2007)
M. Foucault, L’ordine del discorso e altri interventi, Einaudi (2004)
D. Haraway, Situated Knowledges: The Science Question in Feminism and the Privilege of Partial Perspective, «Feminist Studies», vol. 14 n. 3, 1988, p. 575-599.
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