La banda contro l’eroe

Wu Ming 4 rilegge la leggenda di Robin Hood

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Claire Fontaine, Untitled (Someone is getting rich), (2012).

Varcata la porta della piccola pieve, Ned sgattaiolò nell’angolo in ombra. Si segnò e raggiunse la Madonna col bambino. Depositò le bacche di sorbo e rosa canina nell’offertorio sotto l’effige. Si inginocchiò, biascicò una preghiera, in contemplazione di quel volto perfetto e sotto quello sguardo compassionevole. Ricordava quello di sua madre. Quello di tutte le madri.
Si segnò di nuovo e si rialzò. Lasciò cadere una moneta nella cassetta delle elemosine e un attimo dopo sentì una mano grave sulla spalla. Provò a divincolarsi ma la stretta aumentò fino a fargli male. L’altra mano aprì la cassetta e ripescò la moneta.
«Quella dove l’hai presa?»
«Nella foresta, signore. Sulla Vergine e i Santi…»
L’Uomo lo spinse fuori e lo trascinò dietro la chiesa. Ned si ritrovò a un passo da tre enormi bestie ringhianti, le zanne scoperte, che tiravano la catena a cui erano legate. Si raggomitolò nel fango. Mentre l’urina gli inzuppava le braghe.
Il forestale gli afferrò un braccio e praticò un’incisione sulla pelle. Il dolore arrivò in ritardo, ma non cauto il taglio era superficiale. L’uomo afferrò il lembo di pelle con le dita e lo strappò. L’urlo riecheggiò nell’aria, a ricordare a tutti che l’ordine del mondo doveva essere ristabilito e che c’era un prezzo da pagare.
Ned guardò il lembo di pelle che non gli apparteneva più pendere fra le dita del forestale e poi sparire tra le fauci dei cani.
Il forestale si chinò vicino a lui.
«Adesso che ti hanno assaggiato non vedono l’ora di avere il resto. Dipende da te.»
Soffiò nel corno producendo due suoni bassi e prolungati. Dal bosco emerse una torma di uomini armati di balestre, mazze e spade leggere, che guizzarono tra le case del villaggio e si radunarono attorno a loro.
Il forestale sollevò Ned di peso e lo spinse avanti.
«Portaci dove sono le altre monete.» (pp. 195-6)

Questo stralcio de La vera storia della banda Hood (Bompiani, 2024) ci restituisce, in una sorta di controcanto, lo stile e il tessuto narrativo utilizzati da WM4. Trama cruda, scrittura asciutta e tagliente ci proiettano in un Medioevo che è tutt’altro che leggendario e sognante. Il racconto succitato introduce il lettore nella parte del libro in cui si parla della caccia per braccare i banditi, in cerca della refurtiva, successiva all’assalto al convoglio, che traduceva un gran bel bottino, le tasse delle contee del Nord, più altri ricavati (canoni e tributi) da York alla cattedrale in costruzione di Saint Paul a Londra, la cui cripta sarebbe diventata il forziere della Corona.

Le Crociate disegnano il contesto del romanzo. In particolare, la sconfitta del 1187 dell’esercito cristiano ad opera del generale islamico Ṣalāḥ al-Dīn, mettendo sotto assedio Gerusalemme e impossessandosi del transetto della Vera Croce. Dal che papa Gregorio VIII bandì la terza crociata per riconquistare la Città Santa, cui aderirono i principali stati cristiani. Riccardo I rispose subito alla chiamata e partì nel 1190, dopo aver raccolto la somma necessaria alla missione, tramite una tassa straordinaria e vendendo le cariche politiche ai nobili. Durante la sua assenza, il fratello minore Giovanni Senzaterra congiurò con alcuni grandi nobili inglesi e con il re di Francia per destituire Riccardo e sostituirlo sul trono.

La letteratura prodotta attorno alla figura di Robin Hood, quella più nota, riprodotta in libri e film, fra cui la famosa opera curata da Alexander Dumas, ha un pregresso assai significativo: la sua leggenda ha attraversato tutto il Medioevo, senza soluzione di continuità è stata raccontata, cantata, narrata fino a noi. Indubbiamente è la leggenda più longeva. E WM4 ci mostra la potenza della leggenda. La leggenda di Robin Hood nasce probabilmente da una storia semplice, in un mondo dove la vita era tendenzialmente più brutale, dove la religione e le crociate potevano essere viste come cose sante o come l’ennesima guerra e gioco di potere, nasce da una trama dove non esistono buoni o cattivi ma dove ognuno ha le sue ragioni, e anche le sue forme di contro-potere e illegalità. Nonostante la semplicità del mondo di provenienza nasce la leggenda. Del resto le storie cantate e ricantate, passate di bocca in bocca, generano altre storie radicandosi infine nel mondo reale. Basti pensare ai santi cristiani e le loro storie popolari giunte fino a noi: sono la presa del potere cristiano nel mondo quotidiano. A dimostrazione della potenza delle storie.

In generale la letteratura sulla legenda Hood è alquanto edulcorata, per lo più ripulita dalle violenze, ed espunta da linguaggi virulenti, mentre riluce l’aura romantica dell’eroe, a tratti grottesca, eppure mai somigliante al contesto medievale ove la violenza è un fattore consustanziale. Il catalogo delle violenze medievali è qualcosa d’impressionante: un tratto caratteristico della iustitia, fra patibolo e gogna, in uno iato fra la vita e la morte. Tuttavia, l’aver sradicato Robin Hood da tale background è servito a cementare l’eroe popolare e le leggende storiche mentre, nel XX secolo, è stato adoperato per fiction e letteratura amena, quale materia per dare forma all’eroe occidentale, una precondizione dello stereotipo. Nella fattispecie, la costruzione dell’«eroe gentiluomo» che si muove nella contea per i suoi ideali: rubare ai ricchi per dare poveri. Forse in parte era così, di certo, Robin Hood incarna il senso di rivolta nei confronti del re, del potere costituito e delle ingiustizie verso i subalterni, gli ultimi della piramide.

WM4 dissipa ogni illusione, non si presta a realizzare un ulteriore surrogato di un personaggio assai poco attinente alla realtà storica, né tantomeno alla leggenda. Un campo semantico ove si muove con destrezza. La banda di Sherwood che assale la «diligenza» scortata da uomini dello sceriffo dello Yorkshire è una banda di ladri, dunque, distante dall’ideale poetico e dai toni pittoreschi. Oltremodo tanto la banda quanto i suoi componenti riflettono il periodo storico, rappresentano il rapporto fra il reame e il mondo fuorilegge, fra nobiltà fedele al re e la nobiltà decaduta, come quella ricoperta da Robin Hood. La violenza e la lotta per la sopravvivenza erano gli strumenti delle relazioni sociali, che assumevano condotte oggi impensabili. Il gradiente di violenza è difficilmente traducibile in letteratura, impossibile di restituirne il verismo della crudezza, della ferocia e della crudeltà.

Spesso nelle versioni epiche o nelle reinterpretazioni posteriori ce ne dimentichiamo, WM4 invece seguendo un’interpretazione, per certi versi storicistica, articola la sua trama con queste fosche tinte. Niente di nuovo per lui. È in Q di Luther Blisset (primo collettivo confluito poi in Wu Ming) e nella letteratura medievale di Tolkien (Salvare la Terra di mezzo, Il fabbro di Oxford) e Il Signore degli anelli, di cui è in corso la pubblicazione di una nuova traduzione, che il nostro scrittore fa il suo apprendistato a questo tipo di scrittura, infatti, nella lettura della Banda Hood, vi sono alcuni passaggi in cui sembrano riecheggiare le pagine più atroci e crude di Q, quelle in cui le battaglie ad ogni giro della storia aumentano la posta della violenza. In particolare l’eco si percepisce in Q, nell’assalto agli ebrei, così come si apre il romanzo sulla Banda Hood, ossia l’assedio degli ebrei nella torre di York del 1190: 150 ebrei locali uccisi in un pogrom nelle prigioni del castello per questione di soldi più che di fede, infatti, si bruciarono documenti e registri con le cambiali e i debiti a favore ebrei. E curiosamente si chiude anche con un assedio di Richard, re Cuor di Leone, di ritorno dalla Terra Santa; mentre i traditori del re (bretone) ridotti alla morte per fame in catene, ma allietati da acqua a volontà per prolungare «il tempo di ripensare sulle loro colpe».

Fin qui abbiamo fatto cenno a Robin Hood, eppure nel romanzo questo è un nome sullo sfondo, si parla invece della banda. La decisione di dirottare l’intero racconto non sul singolo, ma sulla banda è una prerogativa dello stesso autore, abituato a interagire più con un gruppo che con un solo leader. Per certi versi, con questa trama strutturata e compiuta WM4 dà seguito alla sua ricerca di smontare e decostruire l’ideologia dell’eroe. E Robin Hood, per quanto se n’è scritto e per com’è stato narrato, è un modello sintomatico proprio di ciò che scrive il nostro autore nella Premessa di una raccolta di saggi del 2011 L’eroe imperfetto. Letture sulla crisi e la necessità di un archetipo letterario (fra l’altro in copertina vi è proprio un disegno di Robin Hood) un testo propedeutico a rilevare l’infrastruttura del nostro libro: «il preteso monopolio di ogni approccio epico-narrativo da parte delle visioni confessionaliste e rozzamente ideologiche, le quali subordinano le storie a una prospettiva allegorica e teleologica» (p. 10).

E difatti, uno dei protagonisti della Banda Hood, colui che ritorna dalle crociate e anche colui che ha più esperienza bellica, quasi sia l’idealtipo del «guerriero» di Ernst Jünger, forgiato dalla guerra con una tempesta interiore tanto da bandire da sé stesso la società, Guy di Gisborne, fa una brutta fine, nonostante ci si aspetti, secondo il registro teleologicamente romantico, che proceda la sua vita con il bottino sottratto al Re, diviene oggetto di tradimento e di imboscata:

Quando le stelle iniziarono a sbiadire, raccolse la spada e la borsa da viaggio, spostò i sacchi dalla botola, e scese le scale al buio. Le braci erano spente, anche le candele. Dal retro proveniva il russare del birraio. Attese di abituarsi all’oscurità, quindi procedette silenzioso. La gazza dormiva rannicchiata su una panca, con addosso una coperta logora.
Gisborne tirò piano il chiavistello.
La prima cosa che notò fuori dalla porta fu che aveva cominciato a piovigginare.
La seconda furono i cappucci.
Ne contò quattro.
Notò anche le asce e i bastoni.
Fece un passo avanti, per poi rimanere per qualche istante immobile, quasi volesse dare loro l’opportunità di farsi da parte.
Non si mossero.
Allora lasciò cadere la sacca e sguainò la spada. Andarsene è sempre più difficile che arrivare. Alzò la guardia, sentendo le gocce di pioggia tintinnare sulla lama. In quel momento avvertì una fitta lancinante alla schiena. Poi subito una seconda. Si voltò e fece per rientrare, ma una terza stilettata lo trafisse al fegato. Si appoggiò allo stipite, il fiato spezzato dal dolore, e guardò la ragazza, che teneva il coltello in mano. Nel primo chiarore dell’alba il suo viso si confuse con quello di un’altra. Una donna dai capelli neri e con occhi dello stesso colore. In braccio aveva un bambino e mormorava una preghiera in arabo. Chissà non fosse per lui.
Gli incappucciati lo finirono con pochi colpi. Poi trascinarono via il corpo nel fango, sotto la pioggia (pp. 215-216).

Riprendendo per un’ultima considerazione, L’eroe imperfetto, ove troviamo altri spunti per muoverci nella struttura del romanzo. Nel Robin Hood propinatoci dal mainstream «scompare […] il senso di una narrazione comune che abbia un afflato fondativo, realmente conflittuale col dato, ovvero un principio collettivo di speranza scevro dal dogma e dall’ossessione identitaria» (p. 10). Ché è anche un archetipo della rappresentazione del mondo paradigmaticamente legata al disincanto post-moderno o sottoposta alla morale fintamente pacificata del cristianesimo occidentale. A dir il vero si ignora il messaggio di Gesù : «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a mettervi la pace, ma la spada. Perché io sono venuto a mettere disaccordo tra figlio e padre, tra figlia e madre, tra nuora e suocera» (Matteo, 10, 34-35).

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