La posta in gioco
Che cos'è un'OperaViva?
Non c’è opera che non ci esponga, dall’inizio alla fine, ad un orizzonte storico. Ogni opera è implicata in una dialettica tragica, in cui il desiderio di creazione e di apertura all’altro è già sempre confinato in un’identità definita, che ci lega ad un orizzonte storico destinale. La libertà è sempre entro i confini dell’identità.
Creiamo adoperando gli strumenti che la storia ci consegna, e la nostra opera diviene irrimediabilmente situata entro i confini del nostro mondo materiale.Creo la mia opera all’interno di una rete di significati che ritrovo in un mondo che si costruisce nella relazione, e in cui mi comprendo insieme agli altri. La mia opera è esposta a questa rete di significati, è intreccio di relazioni, è fascio di progetti situati in una comunità storicamente determinata.
Solo assumendo la storicità dell’orizzonte in cui mi progetto e delle categorie che esso mi offre, possiamo aprire, all’interno stesso di esso, nuovi spazi costituenti. Non sfuggendo ai rapporti materiali in cui tale orizzonte consiste, nella pretesa di recuperare una qualche naturalità perduta, corrotta dalle brutture dell’attuale modello di produzione.
Solo assumendo tali rapporti come terreno di conflitto e di immaginazione costituente è possibile sfuggire alla determinazione unilaterale delle proprie possibilità e riaprire la partita con la storia. È solo tenendo aperta tale tensione dialettica che è possibile trasformare il mondo in un’opera viva, continuamente rimessa al desiderio e alla decisione. L’opera viva è nell’apertura permanente del rapporto, che trasforma la realtà nella ricchezza del possibile.
Oggi che l’astrazione totale è compiuta, che tutto è rimesso al mercato e forme di vita e forme di produzione tendono a coincidere sempre più compiutamente, nessuna fuga dalla realtà è consentita, e l’eterno tentativo di ipostatizzare il rapporto dialettico fra soggettività e storia cozza contro la già totale sussunzione della vita ai rapporti di produzione, in cui si incrociano forme di vita e dispositivi di accumulazione. È in questi rapporti, infatti, che si determina l’assoggettamento dell’individuo alle condizioni imposte dall’accumulazione capitalistica, innanzitutto per mezzo del ricatto della sopravvivenza.
Ma, laddove tutto è sussunto entro i rapporti capitalistici, ogni rimodulazione del possibile è già immediatamente conflittuale. Le forme di vita sono già totalmente immerse all’interno di quella dialettica di sfruttamento su cui si regge l’accumulazione capitalistica. Dunque, entro lo spazio sociale di relazione si gioca una partita immediatamente politica, già portata al punto più alto del conflitto. Siamo già in condizione di giocarci tutto, perché il capitale è già di fronte a noi, senza che ce ne siamo accorti.
Questo scenario non ha nulla di consolatorio. Lo spazio della vita sociale, immediatamente produttivo, non è un orizzonte di riconciliazione in cui possiamo dirci finalmente emancipati dal comando capitalista. L’accumulazione capitalista sfrutta le nuove forme di cooperazione e condivisione, che hanno favorito, al contempo, una ristrutturazione complessiva del capitale oltre la crisi del capitalismo industriale.
Piuttosto, le nuove forme di produzione riscrivono lo spazio del nostro agire conflittuale. Riappropriarsi del possibile, al tempo della sussunzione reale, significa già immediatamente porsi su un terreno complanare al capitale. Ma su questo terreno è necessario immaginare forme di conflittualità contro-egemonica che oppongano all’accumulazione privatistica e alla determinazione capitalista forme di auto-gestione e auto-valorizzazione della cooperazione sociale.
Non esiste opera che sia viva per grazia di natura. L’opera diviene viva quando rompe ogni fissità, quando fa della natura una sfida, in cui siamo tutti implicati, in ogni momento. L’opera viva è un’opera in lotta, che prende tutto ciò che ci costringe a scegliere e lo rimette in discussione, per farne la posta in gioco nella sfida con il possibile.
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