L’arte come progetto

Un'inchiesta sulla cultura contemporanea a Lecce

Claire Fontaine, Untitled (tennis ball sculpture) 2008 - palle da tennis riempite con vari oggetti non visibili, dimensioni variaibli
Claire Fontaine, Untitled (tennis ball sculpture), 2008.

Il lavoro di Tommaso Ariemma e Giulia Netti, Il sistema dell’arte Contemporanea e l’industria culturale a Lecce (Milella, 2024), entrambi docenti presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, si presenta come una prima indagine socio-economica in presa diretta, a partire anche da una serie di interviste a operatori del settore, intorno al sistema dell’arte contemporanea e dell’industria culturale e creativa nella città di Lecce, partendo dagli anni più recenti a cavallo della pandemia, con l’obiettivo di indagare le possibilità di una rete composta da artisti, curatori, critici, gallerie, collezionisti e quindi istituzioni pubbliche e private, per contribuire a orientare al meglio future azioni di intervento intorno a Lecce.

Lecce capitale artistico-sociale del Salento, dagli anni Novanta

Quella splendida città di Lecce e provincia, con tutto il Salento, che nell’ultimo trentennio abbondante ha avuto un ruolo seminale nell’ambito socio-culturale e artistico, a partire da quello musicale e visivo, come ricorda la mia generazione che nei primissimi anni Novanta partecipò attivamente al germogliare di quel movimento fatto di party, feste gioiose e impreviste, rave interminabili, dancehall improvvisate sulle spiagge e nei campi, veri e propri comizi d’amore sociale e passione politica, contaminando hip-hop e taranta, pizzica e reggae, elettronica e tamburelli, l’arte dei graffiti e l’oralità poetico-politica del rap, le posse degli spazi sociali e il riverbero infinito del dub, in quel ragamuffin salentino nato con il Sud Sound System. Tutto ciò anche grazie alla contaminazione con studiosi e ricercatori sociali che accompagnarono quella vera e propria rivoluzione culturale fatta di seminari, incontri, happening, studi e ricerche di quei visionari che abbiamo avuto la fortuna di incontrare intorno al movimento della Pantera del 1990, come Georges Lapassade (per ricordarlo nei giorni del centenario della nascita, 10 maggio 1924, e a un quindicennio dalla sua morte) e Pietro Fumarola (1943-2018), a partire dal seminario itinerante Lecce-Tirana-Bologna-Rimini-Roma (raccolto in Rap Copy, 1992), quindi con l’Inchiesta sull’hip-hop (1993).

Reti informali di mutua cooperazione artistica e cittadina

E il passaggio dei Novanta è ricordato dall’intervento di Ariemma qui raccolto, e che si è già interessato del decennio precedente (con il divertente Filosofia degli anni ‘80, il melangolo, 2019), come fase in cui l’arte contemporanea viene associata alla speculazione finanziaria, mentre lo stesso Ariemma osserva come negli ultimi decenni, soprattutto in Italia, si sia affermato un movimento di arte contemporanea più orientata a un’industriosità diffusa, ad alta intensità di manodopera e a basso impiego di capitale, con la città di Lecce che si inserisce in questa tendenza alla progettualità artistico-culturale nel ripensamento degli spazi pubblici e nella capacità di valorizzare l’operosità informale del lavoro artistico e creativo.

Qui le riflessioni di Ariemma e quindi anche quelle contenute nell’intervento di Netti valorizzano la dimensione dei legami sociali informali, nella creazione di alleanze occasionali che diventano durature, nel mutuo supporto tra artisti e spazi ospitanti, spesso autogestiti e informali, nella capacità di fare rete anche in rapporto con curatori, critici, collezionisti, attraversando e ricombinando le istituzioni culturali esistenti.

Sembra serpeggiare quell’effervescente forza collettiva che sempre caratterizza i grandi momenti di emersione di nuovi movimenti culturali: quelle inaspettate coalizioni che qui potremmo chiamare di meta-artisti, individuali e collettivi, e quindi curatori e critici attivisti, in una sorta di nuova sorellanza cooperativa di intrapresa sociale e artistica che, sempre per innescare analogie e differenze musicali, trovammo nell’impresa comune di un altro decennio ancora, intorno al 1976/77 del post-punk, tra Manchester e dintorni.

E quindi di nuovo il nesso tra immaginari artistico-culturali e città intesa come sodalizio civico, metropolitano, spazio pubblico non statale, aperto e inclusivo di relazioni di reciprocità e mutualità, di innovazione artistica, sociale e istituzionale, andando ancora una volta oltre le riduttive gabbie normative del pubblico (statuale) e del privato (del mercato capitalistico), per accumulare una forza che permetta a queste reti sociali artistiche di non rimanere ostaggio delle condizioni di precarietà, intermittenza retributiva, scarsa protezione e promozione sociale che attraversano tutte le attuali insicure condizioni di lavoro e di fare impresa intellettuale, immateriale e materiale, artistico e relazionale, di cura e assistenza, ecc.

I politecnici delle arti come nuove istituzioni

In questo senso, questo volume ci racconta come la locale Accademia di Belle Arti abbia svolto un’attività encomiabile di formazione, discussione, presenza e promozione attiva nella città, per sostenere e strutturare il circuito dell’arte contemporanea e delle industrie culturali e creative leccesi, tenendo workshop, mostre, seminari, laboratori didattici in relazione con scuole, spazi culturali e musei, quindi in un dialogo intergenerazionale.

Qui torna utile l’intuizione e la scommessa di ripensare le Accademie come politecnici delle arti, vere e proprie nuove istituzioni dei molteplici saperi e pratiche artistico-culturali, luoghi di nuovi percorsi formativi ibridi e connessi a diversi immaginari estetici del sensibile, della cooperazione interdisciplinare, in cui poter immaginare rigenerazione culturale, artistica, sociale, civica, fuori dai compartimenti stagni, usurati e usuranti che sembrano bloccare qualsiasi processo trasformativo territoriale e collettivo di nuova arte pubblica e sociale.

Così il passaggio successivo, anche questo in parte evocato nei testi qui raccolti, riguarda la capacità di inventare nuove imprese sociali, capaci di promuovere e sostenere (strategicamente, programmaticamente, economicamente) possibili distretti artistico-culturali accoglienti e affluenti, in cui valorizzare la cooperazione territoriale tra diversi con l’immaginazione creativa che permette di connettersi al mondo, facendo della peculiarità meridiana e levantina leccese un valore aggiunto di un buon saper vivere in comune, artistico, sociale, culturale, esistenziale.

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