Liquid Thought
Una personale di Donato Piccolo
La Galleria Seno di Milano ospita, fino al 21 giugno, Liquid Thought, la mostra personale di Donato Piccolo curata da Mike Watson e prodotta in collaborazione con la Galleria Bibo’s Place di Todi. L’esposizione, come suggerito dal titolo, prende spunto dal pensiero della modernità liquida teorizzata dal filosofo e sociologo polacco Zygmunt Bauman secondo cui, alla caduta delle certezze politiche, sociali, economiche e culturali presenti nel modernismo, è seguita una contemporaneità in cui tutti questi aspetti sono caratterizzati dalla fragilità, dalla vulnerabilità e soprattutto dalla costante inclinazione al cambiamento. La velocità con cui esso si manifesta, determina una instabilità perpetua e che ci porta a una condizione in cui non esistono solidi appigli per interpretare e comprendere il presente a livello individuale e collettivo.
Tra i vari elementi che hanno determinato questo stato c’è sicuramente lo sviluppo tecnologico che ha condotto all’avvento del mondo digitale, fenomeno che ha cambiato radicalmente la nostra percezione del mondo e il nostro rapporto con la natura e con gli altri esseri umani. La virtualità offre infatti un’idea semplificata e semplicistica della realtà che ci circonda e delle relazioni sociali che intratteniamo rendendoci quasi incapaci di affrontare la il mondo reale, come Bauman ha sostenuto nella prefazione di Amore liquido: «A differenza delle relazioni vere, le relazioni virtuali sono facili da instaurare e altrettanto facili da troncare. Appaiono frizzanti, allegre e leggere rispetto all’inerzia e alla pesantezza di quelle vere»1.
Da queste considerazioni si evince lo stretto legame fra il pensiero di Bauman e quello dell’artista, puntualizzati da Watson nel testo del catalogo. Secondo il curatore, infatti, la velocità e la semplicità di interazione virtuale influenzano anche il modo in cui ci rapportiamo alla natura. La facilità con cui possiamo attraversare il mondo o vederlo digitalmente, fa si che la nostra percezione a riguardo risulti disimpegnata e superficiale.
Il percorso espositivo di Liquid Thought è stato pensato in modo da portare lo spettatore a riflettere sulla scienza e sulla sua pretesa oggettività, sulle varie possibilità di interazione che si possono generare tra l’essere umano e la tecnologia e sugli effetti che esse sviluppano. L’eterogeneità formale, stilistica e concettuale delle opere esposte appare bilanciata dalla chiarezza del filo rosso che le unisce e che possiamo rintracciare sia nel senso di precarietà e incertezza che trasmettono, sia nel loro essere quasi dei work in progress soggetti a continui mutamenti e modifiche. Un’opera come The liquid state of my mind (2017), in cui una frase di Bauman sul fascino che siamo spinti a provare nei confronti del nuovo rispetto al vecchio è integrata all’immagine delle carcasse di due auto dismesse, non può non farci pensare alla società capitalista e alle sue dinamiche consumistiche radicali tra cui l’obsolescenza programmata. Altre opere su carta mostrano invece elementi insoliti come un tavolo volante semovente e una struttura che sorregge una nuvola.
Questo gruppo di disegni, esposti senza cornice e direttamente inchiodati al muro, si presentano, a livello estetico e formale, come schizzi di progetti prodotti in un luogo a metà fra l’atelier di un artista e il laboratorio di uno scienziato visionario. Butterfly Effect 5 (2015) e Nuvola solida (2013) appaiono come appunti, annotazioni di idee per oggetti non realizzati perché momentaneamente non realizzabili. Neanche l’artista sembra poterci dire se si tratti di opere autonome e complete o se siano il primo passo verso una serie di passaggi che porteranno alla realizzazione di ciò che rappresentano. Piccolo sembra invitarci a riflettere sul progresso scientifico e sul suo potenziale, indicandoci come i limiti che possiamo porre alla scienza non sono tecnici ma etici: fino a che punto vogliamo spingerci? Quali sono i principi a cui dobbiamo affidarci per guidare lo sviluppo tecnologico? Sicuramente non quelli che tendono al profitto e al controllo dell’individuo. Nonostante le aberrazioni tecnologiche oggi esistenti, l’artista ritiene che la scienza possa avere un ruolo positivo nello sviluppo della società perché la intende come uno strumento in grado di sottrarci allo sfruttamento, magari anche attraverso la liberazione dalle dinamiche oppressive del lavoro.
L’opera che risulta sicuramente più attraente e ipnotica è Immateriale II (2016), una delle sue celebri sculture in movimento. Si tratta di un grande parallelepipedo di vetro in cui viene vaporizzata dell’acqua che, attraverso un’elica, dà vita a un tornado in miniatura. Benché racchiuso all’interno di una struttura, il vortice subisce l’influenza del mondo esterno poiché il meccanismo che muove l’elica è collegato a uno strumento che registra i suoni emessi nei pressi della teca e al variare della loro intensità, varia il movimento. La scultura appare come un tentativo di ri-costruire non solo l’evento naturale ma anche la sua condizione di precarietà e mutevolezza dovuta a fattori esterni. Il pensiero di Piccolo, da sempre politicamente impegnato, ci guida nell’interpretazione dell’opera che possiamo vedere come metafora della contemporaneità. Se sostituiamo all’evento naturale mostrato i fenomeni umani che caratterizzano la nostra epoca, ci rendiamo conto che Immateriale II riflette sulla miopia con cui essi vengono studiati, una miopia dovuta alla volontà di affrontarli in maniera così specifica e settoriale da non riuscire a permettere la visione d’insieme.
Note
↩1 | Z. Bauman, Amore liquido, Laterza, 2007 |
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