Memoria necessaria
A proposito di monumenti
Lavorando al mio film Asmara, Eritrea (2007) mi sono trovata spesso a riflettere sulla poca informazione che gli italiani hanno del proprio passato coloniale. Mi stupivo di come, anche in Eritrea, ci fosse un divario molto profondo tra il ricordo dei discendenti dei coloni e il racconto del passato che mi facevano gli eritrei. Il mito degli «italiani brava gente» continuava a offuscare quello che invece raccontavano le testimonianze dei «colonizzati»: leggi razziali, impossibilità di studiare e di un lavoro (due le scelte per i maschi: o soldato o contadino), concubinaggio forzato, figli abbandonati… una realtà molto diversa.
Oggi siamo testimoni della stessa amnesia di fronte all’arrivo degli emigranti eritrei. È come se gli italiani non riconoscessero il legame che la storia della nostra colonizzazione ha creato con questa nazione, quella che fino al fascismo chiamavamo «la colonia primigenia». E mi immagino la situazione sia simile anche per i somali e i libici, ma penso non per gli etiopi forse perché, nonostante l’invasione sia stata brutale, soprattutto per l’uso di gas e armi chimiche proibite dalla Convenzione di Ginevra del 1928, in quel paese la dominazione italiana durò dal 1936 fino alla primavera-estate del 1941.
Una volta tornata a vivere a Roma dopo trenta anni all’estero, e con una capacità di osservazione diversa, ho riscoperto i richiami al passato coloniale che sono disseminati nella città. Monumenti, carte geografiche, nomi di strade, piazze e quartieri che ci circondano senza che ne riconosciamo le implicazioni: Roma è costellata dal mito coloniale. Per non parlare dei musei dove, da quelli di antropologia a quelli delle forze armate, abbondiamo di reperti che spaziano dall’oggetto etnografico a bottini di guerra come gli abiti cerimoniali indossati dai Ras abissini che si trovano al museo dei granatieri.
Questa è l’origine di «Memoria rimossa – Memoria necessaria» a cui ho iniziato a lavorare nella primavera del 2019. Il progetto si articola in tre parti: l’aggiunta di lapidi in ciascun sito con un testo che ne permetta una rilettura; una guida (in pubblicazione con Viaindustriae Publishing) con i dodici luoghi scelti, la loro localizzazione nella città e il contributo di testi di dodici esperte/i (urbaniste, storiche dell’arte, antropologhe, scrittrici, storiche, mediatrici culturali…) che diano la propria lettura da punti di vista di discipline diverse; e un evento che consiste in una visita guidata dei dodici luoghi. I posti che ho scelto sono solo alcuni dei molti che si trovano nella capitale e per ciascuno ho messo a fuoco uno degli aspetti che mi sembrava rilevante: la responsabilità individuale e le sue conseguenze; l’uso di armi chimiche; l’uso delle popolazioni locali; l’omissione; il ruolo del commercio; la mitizzazione degli eventi; l’uso della città come strumento di propaganda; la presenza delle colonie nel linguaggio e nella vita.
Negli ultimi anni abbiamo visto nascere dei dibattiti molto accesi sui luoghi pubblici che mettono in questione soprattutto monumenti, anche se estenderei il dibattito alla nomenclatura (di strade, piazze e quartieri). È diventato evidente che in molte società ci sia la necessità da parte di settori della popolazione di fare una lettura critica di alcuni momenti del proprio passato, soprattutto quando si tratta d’imprese coloniali e di questioni di discriminazione razziale. Il primo elemento che si mette in questione è l’inamovibilità, la staticità dello stato delle cose nel contesto urbano, mentre sappiamo che la città non è un corpo statico, ma un essere vivo in continuo cambiamento. E come tale le tracce lasciate dal passato sono da considerare come un palinsesto. I monumenti, gli edifici e i luoghi non mantengono il significato fisso che è stato loro assegnato nel momento della costruzione: il significato cambia secondo l’uso che noi cittadini ne facciamo. Il movimento è continuo.
Lo Stadio dei Marmi, costruito durante il fascismo con l’iconografia di glorificazione della mascolinità tanto cara al Fascismo, nei miei ricordi di bambina degli anni Settanta quando andavo ad allenarmi in piscina, era un luogo di promiscuità dove gli omosessuali s’incontravano. E sono sicura che i tifosi di calcio non identifichino lo stadio dello stesso Foro Italico come un luogo «fascista», come io non ho mai identificato l’edificio della FAO come il Ministero delle Colonie per cui è stato costruito.
Non credo sia utile eliminare i monumenti che ricordano momenti e personaggi storici le cui azioni non condividiamo più. Credo però sia necessario offrire una contestualizzazione degli eventi che ne attualizzi e faciliti la rilettura, sia essa fatta con gesti simbolici (come la pittura in rosa del monumento a Montanelli a Milano fatto da femministe; o la frase di Hannah Arendt sovrapposta dagli artisti Arnold Holzknecht e Michele Bernardi al bassorilievo che sovrasta l’entrata dell’ex Casa del Fascio di Bolzano), o con testi informativi che facilitino la ricontestualizzatone storica. Per «Memoria necessaria» ho scelto quest’ultimo metodo.
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