Per un’arte della cooperazione inoperosa

A partire da «Inappropriabili» di Annalisa Sacchi

7_sudd_LaRinga Giacomo (6)
Leo de Berardinis sulla scena di «Sudd» , sullo sfondo, Francesco Capasso seduto. Teatro Tenda Spaziozero, Roma (1974). Courtesy InCommon.

«Inappropriabili. Relazioni, opere e lotte nelle arti performative in Italia (1959-1979)», di Annalisa Sacchi, è un libro che ne contiene infiniti altri, affollato da una moltitudine di soggetti singolari e collettivi, protagonisti di eventi, azioni, pratiche, relazioni, movimenti: in una parola un’esistenza in comune artistico-performativa lungo gli anni Sessanta-Settanta italiani e cosmopoliti, attraversati da conflitti, lotte e progetti utopici e sovversivi, ripensati al presente e al futuro.

Diffusi archivi minori e sguardo transdisciplinare

Un libro che si legge come un romanzo, a tratti epico, ironico, grottesco, furioso, malinconico, ma sempre poetico e rivoluzionario, negli intenti e nel suo dispiegarsi, pagina dopo pagina. E poi si rimane emotivamente immersi, e quasi fisicamente avvinghiati, nella stratificata profondità di una ricerca sociale, artistica, scientifica che affonda in una miriade di archivi minori, marginali e periferici, quindi dispersi, sparpagliati, sommersi, dimenticati, che Annalisa Sacchi illumina di una scintillante luce insurrezionale in favore di queste esistenze inappropriabili, intese come «forme di vita che danno se stesse al cambiamento senza indugiare nelle conseguenze» per il proprio, individuale, futuro. Una generosità senza condizioni.

Si tratta quindi di uno studio che rivendica attitudine e sguardo transdisciplinare su una storia collettiva, quella del sorgere delle arti performative – teatrali, cinematografiche, poetiche, vocali, musicali, spettacolari – che ruota intorno a una pluralità di artiste/i immersi nello spazio di relazioni collettive capaci di generare quella «energia sociale» innescata dalle diverse forme di «intimità amicale, erotica, complicità creative, solidarietà produttive, militanze politiche comuni». L’intento è quello di indagare la potenza in comune di esistenze singolari immerse nel flusso di movimenti sociali trasformativi dell’esistente, in un periodo di alto protagonismo collettivo di giovani generazioni che immaginavano e praticavano un presente dentro e contro le sclerosi di un perdurante passato autoritario, patriarcale, familista, sciovinista, reazionario. Quasi ribaltando uno degli eserghi contenuti nel libro – creare il presente è correggere il passato – in: reimmaginare il passato è correggere e trasformare il presente.

Insorgenti biografie collettive

Così ecco alcune delle biografie collettive che troverete nel libro, che partono da singolarità per irradiarsi in irriproducibili reticolati di amicizie e sodalizi. Si parte con il nume tutelare dell’esule salentino Carmelo Bene a Venezia nel luglio 1959 che insieme ad Alberto Ruggiero riesce a ottenere il sì, forse meglio oui, di Albert Camus, per mettere in scena il suo Caligola, sullo sfondo di una comune passione artaudiana, altro spettro vitale e vocale che infesta l’intera scena e ricerca (Pour en finir avec le jugement de Dieu!).

Il primo capitolo parte dalla brechtiana passione per la classe operaia di Luigi Nono tra La fabbrica illuminata e il progetto abortito di Tecnically Sweet con Emilio Jona, per arrivare all’innovativo rapporto tra arte, politica e tecnologia nel teatro, che potremmo definire autonomo e operaista, di Giuliano Scabia «nello spazio degli scontri» (di Corso Traiano, il 3 luglio 1969), alla luce di quell’operoso intelletto generale – general intellect – che Marx aveva indagato nel celebre Frammento sulle macchine, tradotto in quegli stessi anni (1964) da Renato Solmi su richiesta di Raniero Panzieri per i “Quaderni Rossi”, e che Scabia sembra mettere all’opera nei suoi progetti.

Ecco la volta dell’incandescente coppia Leo de Berardinis, un altro esule pugliese, da Foggia questa volta, e Perla Peragallo, con il loro teatro contro i propri spettatori, quel «ci fate talmente schifo» che porta fino alle estreme conseguenze il negativo assoluto di un’attitudine artistica votata a «un isolamento orgoglioso e indolenzito» che Annalisa Sacchi giustamente rintraccia nel coevo No Manifesto di Yvonne Rainer (1964). Mentre mi ha fatto tornare in mente, grazie all’imperdibile esposizione veneziana di questi mesi Life with the Dead, l’arte furiosamente isolata e violentemente indisciplinata di Boris Lurie (1934-2008) da Leningrado, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, dopo l’assassinio della sua famiglia, e poi esule a New York e co-fondatore nel 1959 (con Sam Goodman e Stanley Fisher) di una sorta di sotto-movimento pittorico underground, fatto di collage, stencil e tempera, autonominatosi NO!art per contestare rabbiosamente il sorgere di quell’economia capitalistica delle arti che lo porterà a lottare contro tutte le tendenze artistiche egemoni, fino a schierarsi anche contro la pop art, con la sua esplicita invettiva Anti-pop. È un’effervescenza che nelle sue marginalità estreme attraversa le forme più radicali delle arti visivo-performative, al di qua e al di là dell’Atlantico, in quella vocazione all’isolamento che precipita nel rifiutare l’appartenenza anche ai circuiti off e underground.

Il terzo capitolo ci porta in compagnia di quella immensa comunità aperta che gravita intorno al «videoteppista» Alberto Grifi, vero e proprio magico artigiano delle arti cinematografiche e «progenitore della contro-informazione antagonista», che in compagnia di Gianfranco Baruchello aveva realizzato quel capolavoro di estetica del fallimento che è Verifica incerta (1964), sostenuto tra gli altri da Umberto Eco e Marcel Duchamp, lavorando su 150mila metri di pellicola cinematografica hollywoodiana di scarto, facendo «letteralmente a pezzi Hollywood», insorgendo gioiosamente «contro i suoi miti razzisti, omofobi, nazionalisti, guerrafondai, eternamente vittoriosi»: «un’arte del fallimento come resistenza al sistema dello spettacolo».

Grifi e il suo caleidoscopico mondo è anche il passaggio per gli ultimi due capitoli del libro, i più irriducibili e dolenti, forse. Il primo costruito intorno a Patrizia Vicinelli, per un periodo sua compagna, la precaria, effimera, potentissima performance di una voce poetica che si disperde nel suo farsi happening e attraversa il suo essere condannata al carcere di Rebibbia (1977-78), dopo un decennio di fughe e latitanza, allestendo Cenerentola, un’opera teatrale di emancipazione collettiva per circa ottanta detenute. Per finire con il pensiero e la pratica ecopolitica del mirmecologo Aldo Braibanti, altro perseguitato dalla parte più violentemente reazionaria della società e dell’amministrazione della giustizia, che riesce però a immaginare un futuro progetto ecologico fantascientifico, contaminando Spinoza, con Darwin e Marx e fondato sull’idea e le pratiche di alleanze e interdipendenze tra umano, non umano, animali, piante, ecosistemi, a partire dal formicaio inteso come «relazionalità cooperante, brulicante, affollata».

Cattivi lavoratori (in-)operosi

In mezzo a questa già affollata e lucente moltitudine (la nostra più lucente corona di angeli in cielo), Annalisa Sacchi convoca altre decine di «cattivi lavoratori», queste/i spettacolari artiste/i della performance, immersi nella loro attività senza opera, se non quella istantanea che si consuma nel qui e ora dell’evento, e che vanno a braccetto con tutto quel (sotto-)mondo di (in-)operosi disertori dall’ottuso comando capitalistico del lavora-produci-consuma-inquina-crepa. Si tratta di una intermittente collettività intergenerazionale di spettrali soggettività che in parte ancora agitano l’Europa, attraversando quelle notti in cui, pur continuando a essere consumati dal fuoco (in girum imus nocte et consumimur igni), inventano e praticano alleanze e consorterie, temporanee, inedite e impreviste. Anche disseppellendo immaginari sociali, visioni politiche e poetiche relazionali che la (ri)lettura e discussione collettiva di questo meraviglioso libro di Annalisa Sacchi non potrà che favorire e alimentare ulteriormente.

***

Il libro di Annalisa Sacchi «Inappropriabili. Relazioni, opere e lotte nelle arti performative in Italia (1959-1979)» , Marsilio (2024), verrà presentato oggi 6 Settembre nell’ambito di Short Theatre. L’appuntamento è alle ore 18.00 al Mattatoio

Newsletter

Per essere sempre aggiornato iscriviti alla nostra newsletter

    al trattamento dei dati personali ai sensi del Dlg 196/03