Sbandamenti
La Deleuziana tra chaos e ritmo
Nel suo breve e celebre Les temps musical (1978), Gilles Deleuze, nostro fratello maggiore di remix ante-litteram, permanenze soniche e assemblaggi postumi, interrogava perché noi, non musicisti? Evocando paesaggi sonori, colori ascoltabili, personaggi ritmici come forze di quel tempo non pulsato, quel «tempo fluttuante che corrisponde un po’ a quello che Proust chiamava un po’ di tempo allo stato puro». Perché, consapevoli che «non esiste l’orecchio assoluto, il problema è avere un orecchio impossibile – rendere udibili forze che non sono udibili in sé stesse».
Rendere udibile l’inudibile
Ecco quello che mi è accaduto surfando sulle oltre 500 pagine del numero 10 de La Deleuziana – Una rivista che desidera, titolato Ritmo, Caos e uomo non pulsato per una filosofia caosmotica, a cura di Obsolete Capitalism e Stefano Oliva, che non a caso nella loro introduzione evocano alcuni dei passaggi non pulsati di Deleuze.
Si tratta di un magma incandescente di vertiginosa immersione in uno spazio-tempo altro, dove tutto è possibile, soprattutto l’impossibile. Citerò a caso, neanche più ricordando chi abbia scritto cosa, chi abbia pensato qualcosa, chi abbia letto qualcuno o qualcuna, chi abbia ascoltato quali suoni. È un de-pensamento collettivo, potremmo dire, evocando in controcanto Carmelo Bene, Maestro di tutti noi, con la sua voce, postura, scrittura, macchina attoriale e molto altro, anche in dialogo e Sovrapposizioni proprio con Deleuze (quel tu sai, da ballerino e da filosofo, in Ebbene sì, Gilles Deleuze!). Ma forse, più semplicemente, si tratta di uno scomparire dell’Io, non più solo, e tanto, moltitudine, ma diafana spora di un immemore memento in comune, perdendo sé stessi per ritrovarsi altrove, in una sorta di spregiudicatezza panica, acefala, deterritorializzante (l’universo è l’infinito della mia disattenzione, non so più chi l’abbia detto, ancora CB in dialogo con GD, p. 123).
In ogni caso sempre saldamente sbarellati e sbandati dal chaos e dal ritmo del pensiero stratificato di Gilles Deleuze e Félix Guattari, i nostri D&G. Ne La Deleuziana compulsata da una brillante schiera di studiose e autori: da Daniela Angelucci a Edmund Berger, da Ronald Bogue a Edward Campbell, da Sara Baranzoni e Paolo Vignola, a Claudio Kulesko e Giuseppe Molica, da Pascale Criton a Paulo De Assis, per citarne solo alcuni.
Goethe spinozista nietzschano e Kant geografo deleuziano
Ed ecco allora che Goethe (muore, per dirla con il formidabile racconto di Thomas Bernhard), notoriamente spinozista impenitente, esplicita il suo essere nietzschano ante-litteram, nella dottrina di una potenza immanente che attraversa i tempi. Mentre irrompe la forza sonica che attraversa quel principio di anni Ottanta del Novecento nati nel 1976 di Anarchy in the UK di Sex Pistols e nel 1979 di We are all prostitutes di The Pop Group, di quell’incandescente invasato di Mark Stewart, scardinando il nostro udito, producendo il crash tra noise e dub, con quei bassi profondissimi e viscerali, tellurici e siderali, che evocano, anticipano, sentono il suono indelebile che Martin Zero Hannett assegnerà per sempre a Joy Division (che per il nuovo anno verranno degnamente ricordati con il libro collettivo a cura di Alfonso Amendola e Linda Barone, Fenomenologia dei Joy Division, Edizioni FDA). Intanto si staglia un Immanuel Kant geografo deleuziano che rompe il ritmo terragno per immolarsi nel caos del sublime disordine. Quindi un corpo sound-system espanso tra ritmi infratemporali e ritornelli cosmici. Una ricerca di poliritmi e curvature temporali, multiversi frattali che divengono regni di biforcazioni, divergenze e disaccordi per farci planare in autostrade interrotte, devastate, crollate, collassate, implose, al cui confronto i sentieri (che non sempre sono stati) interrotti appaiono come cangianti viatici per un’illuminazione infernale.
Il tutto letteralmente incartato in un pregevole Leporello che è una vera e propria opera d’arte pitto-grafica chaosmotica realizzata dal poliedrico, multimediale, arci-immaginifico artista Roberto Paci Dalò, da noi incontrato anche nella veste sonica duratura diffusa in rete di Usmaradio.
Danzando ancora al Maffia, malgrado tutto e tutti
Si danza con le parole, i concetti, le immagini e certo anche con i suoni. Ci sono anche quelli, ne La Deleuziana. E non solo scritti con l’inchiostro sulle pagine, ma suonati nelle orecchie tramite una USB che si acquista con la rivista. Così entriamo definitivamente in universi paralleli, per perderci e ritrovarci nell’ascolto di ben 25 produzioni dei nostri eterni Maestri sonici, a partire da Adi Newton/The Anti Group, NicoNote, lo stesso Roberto Paci Dalò, quindi il già ricordato Mark Stewart, che, con il dub e il basso slabbrato di Paradise Underground, insieme con le manipolazioni soniche di Howie B, ci catapulta nel cuore dei passati anni Novanta e dei Venti a venire. Come del resto avviene da tempo nelle mirabolanti pubblicazioni musicali Chaos Variation di Rizosfera-Obsolete Capitalism.
Si tratta di reminiscenze tuttora pulsanti delle nottate passate al Maffia Illicit Music Club di Reggio Emilia, tempio acefalo, è proprio il termine giusto in questo caso, come non mai, dell’elettronica tutta – jungle, drum’n’bass, breakbeat, scurissima e cangiante, jazzy e noisy, acceleratissima e profondamente dub – che attraversava l’Italia, l’Europa, il mondo tra il 1995 e il 2009. In quello spicchio di Emilia che, per noi provenienti da altre, invisibili, provincie, ci appariva come il mondo a venire. Anticipazioni di futuro, retro-futurismi, passati a venire, futuri a mancare. Dalle pagine libertine, euro-adriatiche, videomusicali di Pier Vittorio Tondelli, alle performance e dischi dei CCCP – Fedeli alla linea, fino a quel posto nuovo dell’Arci che era il Maffia, dove si sperimentava un modo di fare ricerca differente, di fare cultura, aggregazione alternativa ed espressione intellettuale non canonica, per dirla con Luca Roccatagliati aka DJ Rocca, protagonista di quella stagione e sodale di Obsolete Capitalism, eredi del Maffia e curatori di questo formidabile numero de La Deleuziana.
E così la bass culture perdurante e squassante continua a battere il suo e il nostro tempo, spezzato, frammentato, sospeso, cupo, dissonante, gioioso, tra le pagine e le vibrazioni di una rivista chaosmotica come i tempi che ci toccano in sorte.
Evocando ancora una volta il motto che Félix Guattari, nel suo Chaosmose (1992), riprende da Marcel Duchamp: l’arte è un cammino in direzione di regioni che non reggono né il tempo, né lo spazio (come ci è capitato di fare in È solo l’inizio. Rifiuto, affetti, creatività nel lungo ’68, a cura di I. Bussoni, N. Martino).
Sussurrava ancora: le cose progrediscono e i segni proliferano per sbandamenti [G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani].
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