The Library and the Scissors Closet

Una conversazione con Léa Katharina Meier

Lea Katharina Meier, Sforbiciata in Biblioteca, drawing, 2024
Lea Katharina Meier, Sforbiciata in Biblioteca, drawing (2024).

Lo scambio tra l’artista Léa Katharina Meier e la studiosa Serena Bassi inizia con il ridere, un proclama udibile e viscoso che emerge dalla bocca. Il riso appare sulle pagine come il segno corporeo di una complicità esistente tra le due, un clamore vocale che si esaudisce nel corpo. L’energia eruttiva del ridere, dell’ilarità e della gioia, sono le componenti chiave dei disegni, delle scritture e delle performance dell’artista svizzera. È la tattica attraverso la quale si interrogano le esperienze di vergogna e abiezione, destabilizzando gli archivi dominanti con una performatività queer.

All’Angelo Mai di Roma, Léa Katharina Meier presenta la sua ultima performance La Grande-Biblioteca-Bagnata-Umida-Lubrificata-Vergognosa, nella nuova edizione di Short Theatre, dal titolo evocativo «Viscous Porosity». Per entrare nel suo mondo, pubblichiamo in italiano la conversazione apparsa in SPEAKING NEARBY (bruno, 2024), a cura di Piersandra Di Matteo, volume pubblicato lo scorso giugno in occasione dell’evento finale del programma di residenza Roma Calling 2023/2024 dell’Istituto Svizzero a Villa Maraini di Roma.

***

[…]

Serena Bassi: AHAHAH

Léa Katharina Meier: HIHIHI

SB: Quasi sempre nei tuoi disegni tutto crolla. Il movimento è una specie di sincope isterica. Mi sembra un modo per uscire da una condizione di soffocamento. Come un ubriaco o uno che non sa camminare dritto. Questo intendo quando convoco la figura dell’isterica. Esiste una notevole differenza tra la costruzione patologica che viene fatta dell’omosessualità maschile rispetto a quella femminile. La prima si è storicamente affermata facendola vedere. Il lesbismo ha invece una storia silenziosa. La sua strategia è il silenzio. I tuoi disegni mi fanno pensare a questo perché fanno rumore, fanno casino. Quando li guardo sento il bisogno di mettermi quasi le mani sulle orecchie.

LKM: Questo disegno che tipo di rumore farebbe?

SB: Allora c’è un bicchiere che cade, libri che cadono. Ci sono presenze in bilico. Si può immaginare una sorta di scontro. La sensazione è che tutto stia collassando a terra…

LKM: E che tipo di suoni senti?

SB: C’è anche il suono dell’orgasmo. Ci sono urla!

LKM: Spesso il soggetto dei miei disegni è un atto intimo o un corpo sessualizzato. Rappresentare corpi incarnati, nudi, o colti nella loro intimità per me non ha a che fare solo con la sessualità. È piuttosto una maniera di affermare la loro soggettività, far emergere i sentimenti in gioco in qualcosa di carnale.

SB: Quale pensi sia il collegamento tra questa dimensione e la questione della malattia?

LKM: Se l’eteronormatività ci vede come soggetti “malati di lesbismo”, proiettando sui nostri corpi una sessualità deviante, è proprio attraverso conoscenze incarnate che sviluppiamo le nostre soggettività. Per me tutti questi corpi rivelano sentimenti, emozioni, soprattutto storie. Più che una dimensione esclusivamente sessuale, vorrei far emergere una forma di giubilo, di piacere. Ho letto un testo che sostiene come il semplice atto di rappresentare la performatività del corpo queer in uno stato di piacere renda l’eteronormatività meno rassicurante. Questo aspetto è per me cruciale, così come la creazione di spazi di piacere.

SB: Il contenuto sensuale esplicito dei tuoi disegni è ciò che li rende attraenti ed eccitanti per me. C’è qualcosa che permette ai corpi queer di trovare come una forma di sollievo. Lo percepisco non solo come spettatrice, ma anche come possibile soggetto rappresentato. Guardarli è un’esperienza incoraggiante, poiché vedi situazioni magiche in cui è possibile identificarsi. Se ti chiedessi come l’idea della malattia si manifesta nel tuo lavoro, cosa mi risponderesti?

LKM: All’inizio della nostra conversazione ti ho mostrato le opere artistiche di mia madre, perché lei è stata etichettata come malata psichiatrica secondo gli standard della società occidentale. Avendo vissuto le conseguenze sociali di avere una persona malata in famiglia, ho a lungo provato la sensazione di essere marginalizzata, intrappolata dentro la norma. Nel mio lavoro artistico, la malattia è un tema ricorrente e strettamente legato alla vergogna.

SB: Vedo davanti a me una foto di te bambina davanti a una pittura realizzata da tua madre. È diversa dalle tue opere ma non diversissima. Riconosco interessanti collegamenti. Questa foto è come la biografia di un’artista. Una cosa mi ha sempre colpito nei tuoi disegni, ed è che riescono a essere due cose tra loro opposte: adulti e infantili. Quando li guardo penso sempre a come questa cosa sia possibile.

Lea Katharina Meier, Prima che il cuore ci cada dal ventre, drawing, (2024).

LKM: È una mia foto al mio quarto compleanno. Sono seduta al tavolo in modo timido, guardo fissa il pavimento. Sullo sfondo c’è un dipinto di mia madre che rappresenta un corpo femminile con le gambe aperte. Sono cresciuta in una casa con molti quadri come questo, con corpi estremamente sessualizzati e questo ha generato in me sensazioni contraddittorie. Da piccola questa soggettività femminile, materna che esprimeva i propri desideri liberamente, è stata una cosa forte e bella ma al tempo stessa mi ricordo di aver provato un senso di vergogna. In modo particolare quando c’erano ospiti in casa, come nel caso del mio compleanno. È interessante constatare che anche nei miei disegni cerco di rappresentare corpi con emozioni manifeste. Sono figure con soggettività forti, che poi compaiono anche nelle favole che scrivo.

SB: Vorrei sapere di più del collegamento tra la tua pratica artistica e questo primo contatto intimo con l’arte…

LKM: Crescere in una casa così mi ha fatto rimanere molto tempo chiusa nell’armadio e, allo stesso tempo, mi ha permesso di interrogarmi presto su questioni legate alla percezione della sessualità, e alle forme di ipersessualisazione. Sentivo disagio di fronte all’arte di mia madre. È una sensazione che posso ancora trovare dentro di me. Penso sia legata a una certa genealogia della vergogna che è collegata alla “pazzia”, all’alcolismo e alle violenze nella mia famiglia. Da piccola sentivo nel mio corpo che come soggettività femminile esistevo principalmente come oggetto sessualizzato, anche all’interno della mia famiglia. Questo mi ha sempre procurato un sentimento vicino alla nausea.

SB: Nei tuoi disegni, l’infanzia non è un tema ma una presenza. È un aspetto che mette anche un po’ a disagio, ma lo dico in maniera positiva…

LKM: L’infanzia è sempre lì, forse un po’ come un fantasma ma anche come omaggio a una certa ingenuità. Mi sono interessata per molto tempo alle nozioni di pulizia e sporcizia, non solo materialmente ma anche metaforicamente. Non solo la pulizia dei corpi, degli spazi pubblici e intimi, ma anche la pulizia dei desideri e dell’immaginazione come fonte di potenza.

SB: Un tipo di igiene morale, di repressione….

LKM: Con la pratica del disegno ma anche con quella performativa in verità, ho sempre cercato di riconnettermi ai miei desideri. Penso che sia realmente stato cosi, perché – ed è una storia che a te piace moltissimo – per molti anni ho disegnato rapporti lesbici senza vivere il mio lesbismo. La pratica del disegno mi riconnette anche con uno sguardo sul mondo infantile. In un certo senso può essere intesa come una sorta di commentario sull’arte che divide tra alto e basso. E per lə spettatorə è evidente dove voglio stare.

SB: E la questione dell’armadio? Che cosa significa l’armadio per te come persona e come artista?

LKM: Vorrei raccontarti un sogno che facevo ripetutamente da bambina. Sono nel palazzo dove sono cresciuta e mi sveglio nella mia stanza. Decido di salire in soffitta e apro la porta. Invece di trovare vecchi oggetti, scatole di libri, mobili, mi ritrovo in una magnifica biblioteca, gigantesca. Il parquet brilla, le pareti sono ricoperte di libri colorati. Non ci sono finestre, ma la luce del giorno arriva nella stanza dal soffitto.

Al centro della biblioteca, c’è un tavolo ovale su cui è installato un mappamondo. È un po’ come la biblioteca della mia opera. Mi piace l’immagine dell’armadio perché spesso lo vediamo come una cosa negativa, piena di vergogna. Ma penso che la vergogna sia anche un tipo di sapere e di esperienza del mondo. Per me è collegato al sogno della magnifica biblioteca. Come se entrando nel mio armadio, potessi trovare una biblioteca con un archivio di sentimenti.

Lea Katharina Meier, Secret Garden of the Garbage of the Feelings, Installatione (2023).

SB: Mi affascina molto il sapere che sta nell’armadio. Mi chiedo che tipo di sapere sia. Se sia un sapere su di noi, sulla società.

LKM: Mi piacerebbe definirlo come un sapere magico, una forma di connessione che ognuna possiede, capace di generare mondi magici.

SB: I tuoi disegni sono quel mondo magico?

LKM: Sì, un mondo magico dove c’è sempre il tempo di fare le forbici!

SB: AHAHAH

LKM: HIHIHI Il libro di Ann Cvetkovich, An Archive of Feelings: Trauma, Sexuality, and Lesbian Public Cultures (2003), è diventato molto importante per me negli ultimi due anni. Mi piace pensare alla biblioteca come un archivio di sentimenti, nel senso che ogni libro può essere un’emozione e che leggendolo si possono percepire affetti.

SB: Quindi i tuoi disegni sono uno strumento per sentire. La cosa bella è che mi sembrano allo stesso tempo perfetti e tutti sbagliati. La contraddizione si sente moltissimo nei disegni dei libri. Non sapevo di questo sogno, però avevo già notato che ci sono i corpi-libri nel tuo lavoro. Studio letteratura e per me non c’è niente di meno corporeo della parola scritta. Quindi tutte le volte che vedo i tuoi disegni penso a questa provocazione tra corpo e parola scritta.

LKM: Ma il libro può essere corporeo e molto sensuale.

SB: Questo mi fa pensare al romanzo nel solco della storia della letteratura delle donne. C’è sempre stata una grande ansia sociale, un panico morale sul rapporto tra le donne e i libri. L’ansia è generata dall’immagine di una donna che legge in camera sola: il libro viene percepito come un’estensione del suo corpo, come uno strumento di piacere.

LKM: Nel lavoro sull’archivio e i libri sono interessata alle genealogie, alla memoria, all’eredità. Creare questo tipo di mondo è anche un gesto per scegliere la mia propria genealogia e rompere con quella della vergogna legata al mio passato familiare. A volte mi chiedo quando avvenga il passaggio alla dimensione collettiva.

SB: Ma una biblioteca è un bene pubblico, è un commons.

LKM: Si! HIHIHI

SB: AHAHAH

***

Short Theatre 2024-VISCOUS POROSITY 
Angelo Mai, 13 settembre | 21:00
Léa Katharina Meier
La grande-biblioteca-bagnata-umida-lubrificata-vergognosa
Performance

Léa Katharina Meier è artista visiva e performer. La sua ricerca artistica indaga la nozione di vergogna, facendo spazio a ambienti che contemplano vulnerabilità e mostruosità con umorismo queer. Ha presentato il suo lavoro in numerosi spazi d’arte e teatri in Svizzera (Arsenic, Tunnel Tunnel, MCBA, TU-Théâtre de l’Usine) e svolto diverse residenze in Brasile (Faap e Pivô, San Paolo). Nel 2021, ha ricevuto il Premio del Pubblico e della Giuria agli Swiss Performance Art Awards per Tous les sexes tombent du ciel. Nel 2023, ha partecipato alla mostra degli Swiss Art Awards. Nel 2023-24 è residente Roma Calling, presso l’Istituto Svizzero di Roma e ha ricevuto il Premio Irene Reymond.

Newsletter

Per essere sempre aggiornato iscriviti alla nostra newsletter

    al trattamento dei dati personali ai sensi del Dlg 196/03