Tre figure per resistere

Misura, Desiderio, Arte nella società della prestazione

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Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello Spirito, 2017 - veduta dell'installazione, Museo Madre (Napoli) - Courtesy l'artista e Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee. Foto: Amedeo Benestante.

Pubblichiamo un’anticipazione del nuovo saggio di Federico Chicchi e Anna Simone «La società della prestazione» in uscita per la collana Fondamenti di Ediesse, dal 1 giugno in libreria.

Le differenti variabili in gioco nel definirsi del nuovo scenario prestazionale hanno come comune denominatore alcuni elementi fondativi: il neoliberismo che si precisa non solo come governo politico del capitalismo, ma come una sorta di nuova antropologia che mira a forgiare i soggetti impressionando la loro trama psichica dentro una matrice competitiva e iperegoica, con tutto quello che ne consegue: nuove sintomatologie, depressione, ansia, erosione progressiva dei legami di solidarietà, cinismo, nuove segregazioni, ecc..; una ri-organizzazione sociale che, attraversata dai nuovi dispositivi prestazionali, trasforma tutte le istituzioni su cui il progetto sociale moderno si era realizzato; la torsione paradossale della norma sociale che perde la sua funzione per lo più prescrittiva per assumere una qualità per lo più sollecitativa e orientativa, torsione che coinvolge anche la norma giuridica e le sue fonti fondamentali (un esempio tra tutti potrebbe essere l’avvento del governo del management e delle sue logiche operative in seno a tutte le istituzioni, pubbliche e private che siano, o la ratifica in Costituzione dell’obbligo di pareggio di bilancio); l’erodersi progressivo, nel bene e nel male, dello spazio dialettico che aveva costituito la trama sociale del moderno: il rapporto capitale/lavoro, pubblico/privato, produzione/riproduzione (Giardini, Simone, 2015) ecc. e il disfarsi delle forme classiche del conflitto così come le abbiamo conosciute e studiate nel Novecento; la rottura della linea di demarcazione tra ciò che era produzione e tempo libero, a favore di una messa a valore generalizzata, anche al di fuori del rapporto salariato, della soggettività e delle relazioni sociali (Chicchi, Leonardi, Lucarelli, 2016).

In questo quadro dettato dal neoliberismo, inteso come nuova ragione del mondo, che mira a restringere il compito del governo alla protezione del mercato e del suo libero funzionamento, la società si ricostruisce o tenta di ricostruirsi a partire da alcune aree di incurabilità o, se vogliamo, di resistenza dinanzi alla dimensione fagocitante del mercato e della società della prestazione che si va delineando. Aree dove la traduzione della vita in oggetti prestazionali si inceppa e non si realizza come ci si poteva aspettare, o ancora non riesce a stabilizzarsi nel modo atteso (…). Negli anni della prozac economy imperante, del capitalismo reputazionale e del neurocapitalismo si è al contempo chiarito sempre di più che il paradigma economico non è in grado di definire una razionalità sostenibile e che il cervello sociale è prossimo al crollo, ma proprio per questo oppone resistenza. Per generare nuovi legami sociali, per ripensare spazi di felicità e di rigenerazione della stessa trama psichica degli attori sociali, per invertire i processi di miseria simbolica del presente, per toglierci dalla posizione dell’io-centrismo o dell’io-crazia competitiva, per de-capitalizzarci al fine di re-immaginare il «sentire» del corpo abbiamo provato a pensare quali potessero essere le parole da ri-significare utili a costruire una nuova cultura del limite. Le troverete qui di seguito.

Misura

Le modalità attraverso cui si va delineando la società della prestazione ci parlano di un paradosso: essa si manifesta attraverso la dismisura del mercato dinanzi a tutte le altre forme di organizzazione sociale e istituzionale, nonché sulle forme di produzione e taratura degli attori sociali che vuole forgiare, ma al contempo la sua razionalità si avvale di strumenti e di standard di misurazione, principalmente quantitativi, da applicare ovunque. Dismisura e misurazione, però, non sono sinonimi del portato significante della parola misura, ovvero non sono una nuova dimensione regolativa in grado di contenere la dismisura e di fornire, al contempo, strumenti di restituzione, sia nei termini di nuovi diritti, sia nei termini di una riappropriazione del desiderio e della vita al di là della prestazione. Se nelle società costruite attorno al fordismo la misura era il welfare attraverso l’erogazione dei diritti sociali, se nelle società del rischio la misura auspicata consisteva nel ripensare nuovi standard di sicurezza, la società della prestazione tende a collocarsi in un vuoto di misura e in un pieno di misurazioni (Giardini, 2016) (…).

Ri-significare la misura oggi potrebbe condurci nella direzione di riaprire su un’idea di giustizia e di giudizio al di là dei diritti positivi; di considerare centrale la dimensione del corpo così come si vuole forgiare attraverso i dispositivi della prestazione, anche a partire dalle forme manifeste della sintomatologia che mostra; di ripensare la cura di sé e degli altri, nonchè il legame sociale, come condotte di resistenza «in vista della guarigione». Altrove, ad esempio, avevamo posto la questione del come ripensare oggi la misura attraverso la giustizia sociale al di là del mero paradigma del riconoscimento delle differenze di genere, colore, orientamento sessuale e del classico paradigma legato al principio di eguaglianza su base redistributiva sostenendo la tesi secondo cui oggi ogni pratica di conflitto o di resistenza andrebbe collocata su base «restitutiva» proprio in virtù dell’onnipervasività del mercato e del principio selettivo e di distinzione basato sull’inclusione differenziale, nonché in virtù delle forme di accumulazione capitalistica contemporanee (Simone, 2016). Per «restituzione» si possono intendere tante cose, sia sotto il profilo materiale e monetario, sia sotto il profilo della necessità di ricostruire una trama affettiva e sociale, non monetizzabile, in grado di generare nuove forme di solidarietà informale e nuove misure del vivere in comune oltre l’io-centrismo e i processi di individualizzazione. Il reddito di base, ad esempio, è uno strumento restitutivo che non sostituisce, né può essere paragonabile ai vecchi diritti sociali su base distributiva perché si colloca all’interno di un ragionamento sulle nuove forme di regolazione della società della prestazione che si danno al di là del lavoro e della cittadinanza, ovvero dei due status che hanno caratterizzato la cultura dei diritti sociali nel Novecento (Bin Italia, 2016). (…)

Desiderio

Il desiderio non è solo una energetica, è un campo di battaglia, un fronte, dove si gioca la partita della società che viene. (…) La società della prestazione, in fondo, non è altro che un paradigma fondato sullo sfruttamento del desiderio. Un modo di trattare, condurre il desiderio e di renderlo commerciabile. (…)

La psicoanalisi, ma non solo, ha da qualche anno incominciato a mostrare come le patologie del contemporaneo siano in sostanza patologie del desiderio. Certo è che le psicopatie che si diffondono «nell’era connettiva non sono in alcun modo comprensibili dal punto di vista del paradigma repressivo e disciplinare. Non si tratta infatti di patologie della rimozione, ma si tratta di patologie del just do it» (Berardi, 2016). In altre parole di tratta di tradurre il desiderio dentro uno spazio di riconoscibilità caratterizzato dalla contabilità e dalla commerciabilità del suo maniacale godimento. Desiderare, per la società della prestazione, deve poter significare non assumere mai scarti, non incepparsi mai, non sbagliare il proprio agire performativo orientato al successo, una sorta di desiderio de-erotizzato perché privo di spazi vuoti, tempi di pensiero, sguardo, tatto, connessione gratuita con il proprio sentire. (…)

Lacan, in un suo celebre seminario tenuto tra il 1972 e il 1973 ci dice che solo l’incontro del godimento con il desiderio può produrre amore, ovvero quel segno incontrovertibile di un’immaginazione del corpo che chiede Ancora (Lacan, 1975). Il simbolico è ciò che permette di articolare desiderio e godimento, di non mettere l’uno contro l’altro. Il simbolico definisce lo spazio tensivo della relazione sociale, lo spazio politico dell’individuo sociale. Il limite che il simbolico pone come irrinunciabile per la fondazione della società diventa allora non un vincolo meramente interdittorio, ma un punto per lo sviluppo della potenza dei corpi. Il godimento assoluto è infatti mortifero e mortificante perché non vuole riconoscere l’esperienza del limite, della relazione inevitabile con l’altro da sé. Il desiderio interpreta invece questo limite, lo sa riconoscere, ma rischia a sua volta di degenerare nevroticamente in una vocazione sacrificale, di porre il soggetto al servizio del desiderio dell’Altro. (…). «Solo l’amore permette al godimento di accondiscendere al godimento» scrive Lacan nel seminario X, l’amore è infatti un nodo che unisce il desiderio al godimento e questo nodo è una possibilità della sublimazione. (…)

L’amore come base della relazione è allora per noi il rilancio del desiderio, ovvero la fuoriuscita dalle dimensioni schizofreniche delle relazioni senza rapporto e dei rapporti senza relazioni. (…)

Arte

La scommessa è allora quella di aprire un cantiere sociale per la costruzione di un nuovo spazio simbolico del non-Tutto. Uno spazio simbolico che abbia la vocazione a (il desiderio di) non portare a compimento. Il concetto di performance, al contrario, ha proprio questo significato etimologico: par fournir, completare; la misurazione è un modo del compimento. Ciò che dovrebbe essere mobilitato è, invece, un pensiero che da un lato rinunci al simbolico come ordine, fondato sulla verticalità dell’ideale e sull’Uno dell’eccezione che governa l’insieme, e dall’altro rinunci a un progetto di inciviltà, tutto orizzontale, basato su di un cinico e narcisistico godimento generalizzato, inteso come nuovo paradiso realizzato della io-crazia. (…) Il non-Tutto di cui dicevamo poc’anzi è esattamente quello spazio che permette l’articolazione tra il già saputo e l’ancora da sapere. Ogni invenzione si situa nell’articolazione di questa tensione che non può mai essere chiusa. L’arte e l’amore rispetto a questa invenzione possibile hanno un vantaggio straordinario: esse sono in grado di mettere intimamente in connessione la solitudine del soggetto (la sua differenza assoluta) e il nostro vivere in comune, di far collassare l’una nell’altro (…).

Lo spazio che si crea tra il soggetto e il reale è lo spazio su cui insiste l’arte; l’invenzione. L’arte è una invenzione, un atto che muove senza garanzie e a partire dalla contingenza assoluta dell’aperto che lo interroga. (…)

Indicazioni bibliografiche

Berardi Bifo F. (2016), L’anima al lavoro. Alienazione, estraneità, autonomia, DeriveApprodi.
Bin Italia, a cura di (2016), QR2- Tempi di crisi, il reddito come opportunità ed alternativa, Associazione Basic Income Network Italia.
Chicchi F., Leonardi E. e Lucarelli S. (2016), Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale, ombre corte.
Giardini F. (2016), La giusta misura. Breve contro-storia di una relazione senza rapporto, in Simone A., Zappino F., a cura di, Fare Giustizia. Neoliberismo e diseguaglianze, Mimesis.
Lacan J. (1975), Encore. Seminario XX, du Seuil.
Simone A. (2016), Per una giustizia «restitutiva». Figure del simbolico, del sociale e del giuridico dinanzi all’ordine economico, in Simone A., Zappino F., a cura di, Fare Giustizia. Neoliberismo e diseguaglianze, Mimesis.

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