Una buona notizia
La brutta notizia è che a scegliere la scissione sia stato Renzi. Un po’ di decoro contro l’arroganza padronale con cui il segretario (ma sarebbe meglio chiamarlo amministratore) ha sempre gestito il partito (ma sarebbe meglio chiamarlo sciagura) non avrebbe fatto male a questa storia. Non avrebbe fatto male alla dignità non vedere Veltroni sul palco che si presta al gioco perverso della riesumazione, se lui è quel che resta della sinistra del PD finalmente si può dire quello che si è sempre saputo: il PD, nel ventennio berlusconiano, è stato il più grande partito di destra.
Non avrebbe fatto male l’ex sindacalista Teresa Bellanova a non ripetere quello che ognuno con una coscienza politica che si è formata sul terreno delle lotte deve ripetersi per accettare l’ignominia di sedere accanto alla Madia in un governo, vale a dire «il sistema si cambia governando». Questo mantra odioso ha esiliato la stessa lapalissiana verità che i migliori cambiamenti sono accaduti in questo paese perché fuori dalle istituzioni una rabbia insorgente si è opposta all’addomesticamento, ha reclamato diritti, ha rovesciato il tavolo delle priorità, regalando al paese i migliori anni della sua vita.
Non sarebbe stato sbagliato, ma doveroso, che una «sinistra», anche con le scarsissime ambizioni che ne connotano la versione «parlamento», evitasse di incarnarsi nel balbettio di Michele Emiliano, ma trovasse la forza per dire, mai più smantellamento delle tutele del lavoro, mai più leggi a favore della precarietà, ci scusiamo di tutto, delle leggi Treu, dei CIE di Livia Turco e di Giorgio Napolitano, ci scusiamo soprattutto di Giorgio Napolitano, ci scusiamo di non aver ancora approvato il reddito di esistenza, di aver fatto dell’antiiberlusconismo una piaga peggiore del berlusconismo. Bersani dovrebbe scusarsi per la manifestazione del 15 ottobre quando criminalizzò il dissenso studentesco commentando le atroci immagini di una statuetta della Madonna rotta dal corteo in via Merulana, senza comprendere di quanta stanchezza fossero capaci i giovani. E indietro nel tempo, le guerre mosse nei Balcani, in Libia, la collaborazione allo sfacelo della socialdemocrazia.
Ecco questo sarebbe stato un discorso molto bello da sentire. Naturalmente non c’è stato, naturalmente nessuno l’ha pronunciato. Quello che è successo però non ci deve lasciare indifferenti. Pur non credendo in alcun modo alle capacità di questi sinistrati e dei loro compagni di Sinistra Italiana di rovesciare l’ordine del discorso liberista, c’è la possibilità di credere invece nella potenza del reale: saranno gli emarginati, i nuovi poveri, gli ormai vecchi precari, i disoccupati, le famiglie monoreddito del sud, i migranti, le donne del Non una di meno, a imporre una nuova rappresentanza. Sarà l’urgenza dei bisogni a smontare la perversione che dalla Bolognina in poi occupa le menti eccelse degli ex comunisti: «conquistare voti al centro», prendersi i voti della borghesia, dei ceti medio alti, parlare dai festival del cinema di Roma, parlare di niente, assordarci con un programma da niente.
Sarà l’incontenibile marcia dei migranti a costringerli a chiedere la fine di misure di carcerazione in assenza di reato, saranno l’Europa sociale, le città ribelli, le esperienze di mutuo soccorso, a costringerli a parlare di solidarietà e di dignità umana. Saranno costretti a guardare negli occhi dei movimenti e delle militanze, degli scioperi e delle casse integrazioni. Probabilmente non ce ne faremo niente, ma ci serve ogni passaggio, ogni squarcio, ogni buona notizia per mettere al mondo un nuovo mondo.
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