Un’intelligenza indisponente
L'insegnamento di Benedetto Vecchi
Quando qualcuno di significativo per noi se ne va, cominciano ad arrivare alla parola le domande che non sei riuscito a fare o le cose che non sei riuscito a dire. A Benedetto avrei voluto dire che, negli ultimi due anni, ha scritto pezzi bellissimi. Che quei pezzi ci hanno fatto comprendere di più, ma soprattutto ci hanno fatto amare di più il mondo. Avrei voluto insinuare, nel mio dialogo con lui, che la sua intelligenza arrivava come un’atmosfera, non nella forma logico-analitica che lui assegnava all’architettura del pensiero.
Perché la sua profonda dolcezza irrorava concetti difficilissimi e li scioglieva per volerne fare qualcosa che poteva essere «davvero» usato. E così, assieme a questa sensibilità, ti entrava nel cuore il titolo più bello che si potesse immaginare. Qualcosa può «davvero» cambiare. Lui ci credeva. Io l’ho conosciuto così. Come un uomo di fede che mantiene la fede e scarta l’ottusità.
Non ha mai taciuto una indisponenza rispetto allo svolgersi delle cose, non ha mai mistificato un evento, non ha mai ceduto alla tentazione di essere niente di meno che onesto. Ma nella sua verità c’era scritto che insieme agli altri le macchine, le reti, le lotte, potevano essere usate per costruire una vita più degna.
E cosa è un giornale, innanzitutto, se non un insieme? Anche nel Manifesto Benedetto ha sempre creduto. Lo ha sempre difeso, come si fa con le idee, che restano alte e rispettabili anche se non le incarniamo sempre come vorremmo. E anche questo ci ha insegnato, a raccordarci con l’imperfezione delle nostre azioni, a misurarci con intelligenza coi nostri fallimenti, senza bruciare le strade che non abbiamo ancora saputo percorrere. Ora su queste strade ci stiamo senza di lui. Ma averlo conosciuto è diventato, ora, l’imperativo ad andare avanti. Più insieme.
L’appuntamento per chi vuole salutare Benedetto Vecchi è a Esc (Via dei Volsci 159, Roma), domani 8 gennaio alle 11.30.
condividi