Che mille navi sboccino
Il sogno concreto di Mediterranea
No. Non possono venire con voi. Sì. Siamo consapevoli di quel che potrebbe accadere. No. Non abbiamo paura, siamo venuti qui sapendo. Sì. C’è un medico a bordo in grado di dirci se ci sono uomini o donne o bambini con malattie infettive tra questi 50 corpi che ci guardano con la paura di sperare. No. Il Viminale non ci ha contattati. Sì. È un dovere non far morire nessuno di loro. No. Non li lasceremo a voi. Le vostre carceri sono l’orrore da cui tornano. Non li rimanderemo indietro. Sì sappiamo cos’è la zona sar libica. È il prosieguo di un carcere in mare. È una condanna a morte. Sì sappiamo che la zona sar libica fa di questo nostro arrivare nelle vostre acque uno sconfinamento ma noi non pensiamo che il mare possa essere vostro o nostro. E se c’è il pericolo di morire il confine è un’arma, come gli hot spot. Il segno della violenza dello stato. Sì.
Il mare è di tutti come di tutti è il diritto di vivere. Di non essere torturato o rinchiuso se si fugge dalla guerra o dalla miseria o dalle torture. No. Non torneranno a Tripoli. No, non sono sicuri i vostri porti, sono luoghi osceni, sono scampoli di inferno, sono vergogne. Sì. Ora ci accostiamo al gommone e daremo inizio alle operazioni di sbarco. No, per favore non muovetevi così: salirete tutti, in Italia la famiglia è una cosa seria. Scusate se rido ma era per dirvi che non vi divideremo, non lasceremo indietro i padri. Sì. Abbiamo comunicato a Lampedusa che intendiamo dirigerci lì. No. Non ci hanno risposto. Sì, lo sappiamo che la tramontana comincerà il suo soffio di gelo, che le onde inizieranno la loro carriera in altezza. Sì. È bellissima questa gioia per ogni gamba che tocca la nave e poi per l’altra che la raggiunge lasciando il gommone. Sì. Ci sembra che sia questo passo la danza della vita.
No. Non ci sono le condizioni per stare a bordo per più di tre giorni. Dobbiamo sbarcare, subito. Forse anche prima. No. Il diritto insegna che ogni conflitto tra norme si risolve con un bilanciamento di interessi. Non c’è norma sull’immigrazione che possa essere più importante di quella che ci chiede di salvare questi uomini dall’annegamento, silenzioso e cimiteriale, che è stato il destino di troppi prima di loro e che sarà il destino di troppi dopo di loro se i respingimenti potranno ancora essere la scelta di un ministro. Sì. Quella è Lampedusa. Sì, ora ci avviciniamo. No. Non possiamo ancora andare.
Sì. Quella caletta così prossima al porto può ripararci dalla pioggia. Sì. Abbiamo qualcosa da mangiare e qualcosa da bere, per ora. Sì. Troveremo il modo di seguirvi anche quando sbarchiamo. No. Non vi lasceremo soli. No. Non siamo preoccupati, siamo nel giusto, non c’è forza più grande. Sì. Sono in tanti quelli che tifano per noi, sono ovunque. No. Non siamo in pochi ad aspettarvi. No. Non siamo in pochi a sapere che esiste un «diritto di fuga», che è solo un modo per provare a vivere.
Sì. I bambini facciamoli andare sottocoperta. Sì, ci stanno dicendo che possiamo andare. Sì, ce lo confermano. Sì a questi abbracci. Sì a questo granello che siamo, questo granello che è riuscito per un pugno di ore a inceppare la macchina del disonore. Sì. Questa nave malmessa, questo sogno comune, oggi è il nostro futuro.
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