Bande attiviste

Musica resistente dagli anni Settanta a oggi

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Cesare Pietroiusti, Quaranta persone scelgono dove mettersi nello Studio Casoli, Milano (1991) - Foto Giacomo Marcucci.

A cavallo fra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, un importante dibattito si aprì in Italia sul ruolo dell’educazione musicale. Tale dibattito incise in maniera molto limitata sul piano istituzionale, senza tradursi in interventi legislativi di riforma del settore. Fu, però, proprio nella prassi, nelle scuole materne ed elementari, ma anche in nuove aggregazioni democratiche (quartieri, biblioteche, centri civici) fino alle scuole popolari, che si cominciò a sviluppare un tipo di insegnamento, di approccio alla musica totalmente diverso dal tradizionale, e che contiene esigenze e pratiche di nuova formazione culturale. Nel giugno 1979 nacque «Laboratorio musica. Mensile di musica e didattica musicale», una rivista musicale all’avanguardia, diretta da Luigi Nono con i contributi di importanti studiosi, accademici, giornalisti, filosofi e musicisti1. La rivista si occupò anche delle bande, diffuse anche nei più piccoli paesi su tutto il territorio nazionale, individuate come elemento fondamentale ai fini del recupero di una educazione musicale di massa.

Nel dibattito sviluppatosi sulla rivista emerse come nel primo Novecento la banda fosse stata strozzata nel suo ruolo fondamentale di diffusione della musica. Il fascismo, in particolare, non solo non ne aveva sostenuto lo sviluppo, ma aveva portato avanti un’operazione di assoggettamento, reprimendo le bande che manifestavano insubordinazione. Fra queste c’erano le bande proletarie e anarchiche, diffuse agli inizi del secolo, che avevano preso le mosse dalle bande rosse garibaldine.

Solo nel secondo dopoguerra le bande si ricostituirono, pur con grande fatica, con risorse umane ed economiche ridotte, per ripristinare, in primo luogo, il servizio tradizionale di rappresentanza nei rituali religiosi e civili delle comunità. Le bande hanno definitivamente smesso di fare musica da ballo e, ancora oggi, nei concerti in piazza, sulle casse armoniche, tra le lucine delle feste patronali, suonano un repertorio ereditato dal tempo in cui svolgevano il ruolo di cerniera tra arte colta e culturale popolare.

Nel frattempo le nuove musiche diffuse da radio, dischi e televisione hanno contribuito alla formazione e alla diffusione di un gusto nuovo. Anche gli elementi della rappresentazione rituale dal vivo di miti e generi musicali, come il palco con i microfoni, l’amplificazione e le luci potenti, hanno rimarcato un distacco netto dalla cornice simbolica bandistica. Dal dibattito sviluppatosi sulla rivista emergeva la necessità, per la banda, di un’evoluzione che poggiasse sull’assunzione delle sfide provenienti dai nuovi contesti storico-ambientali, di fronte ai quali il modello militare e quello della banda sinfonica, strutturalmente legati a repertori e funzioni del passato, si andavano rivelando sempre più inadeguati. In questa chiave, la banda avrebbe potuto rivestire il ruolo di laboratorio per la sperimentazione di modalità e repertori nuovi, con l’apertura alle sonorità e alle ritmiche della musica popolare del mondo. Così, essa avrebbe potuto percorrere quel desiderio di musica «altra», che più tardi sarebbe stato capitalizzato dai media e dall’industria discografica, che proprio a partire dal 1980 con il termine World Music avrebbe identificato artisti, gruppi e interpreti di musiche non occidentali o ibride.

Negli ultimi numeri della rivista l’entusiasmo e la spinta in senso rivoluzionario dei primi articoli si andò affievolendo. Si cominciò ad abbracciare una visione di sostanziale conservazione del modello e dei ruoli della banda tradizionale, il cui rinnovamento sarebbe consistito solo nell’estensione del «servizio» alle circoscrizioni e ai centri socio-culturali. Gli articoli sulle bande divennero progressivamente più sporadici e la rivista smise di pubblicare nei primi mesi del 1982. Le bande non furono attraversate dal rilancio rivoluzionario auspicato soprattutto nei primi articoli della rivista; quelle militari e civiche continuarono a mantenere strutture, forme e funzioni tradizionali, in un circuito culturale e in un associazionismo autoreferenziale piuttosto chiusi alle esperienze esterne. I propositi d’intervento politico sulla musica, attraverso una riforma della scuola che coinvolgesse le bande civiche in un processo di rinnovamento, sono rimasti nelle pagine dei primi numeri della breve vita della rivista diretta da Luigi Nono.

Tuttavia, quel rinnovamento a cui facevano riferimento gli autori di «Laboratorio musica», si è successivamente realizzato in maniera indipendente, «dal basso», quando lo sviluppo di una cultura musicale inedita ha coniugato la pratica di stili musicali e di vita alternativi con la lotta politica. Tali pratiche hanno segnato il reticolo per la crescita di nuove comunità, che hanno messo in comunicazione l’Europa, l’America e altre parti del mondo. In queste comunità e in rappresentanza di queste, sono nate bande alternative al modello bandistico tradizionale, attive sul piano sociale e politico, costituite da gruppi autogestiti di musicisti che suonano strumenti da banda, non hanno un capo né una divisa2.

Organizzate in senso orizzontale, indipendenti da accademie, istituzioni militari, religiose e politiche, queste bande non professioniste si autofinanziano e decidono tutto: scelgono, arrangiano, inventano musica, il modo di farla, perché, per chi, dove e con chi farla, e si occupano di tutto ciò che serve a realizzarla. Le bande attiviste di oggi si sottraggono alla determinazione omologante della musica, che la piega alle esigenze del mercato, attuando una forma di resistenza popolare e autogestita, senza finanziamenti pubblici e sostegni istituzionali. La musica diviene il momento fondamentale di composizione dei rapporti all’interno di una comunità, le cui sperimentazioni rispecchiano i desideri e valori sociali ed estetici dei componenti. La costruzione dell’identità della banda passa allora attraverso la sperimentazione musicale, una sperimentazione mai condotta nel senso della chiusura, ma radicata nello spirito popolare. Al di fuori della determinazione operata dalle grandi multinazionali e dal mercato musicale, la banda diviene un luogo aperto in cui la musica è il frutto dell’autogestione e del confronto fra i partecipanti, divenendo il momento dell’autodeterminazione e della maturazione dell’identità del gruppo. L’identità va qui intesa ovviamente in senso fluido e dinamico, nel suo radicamento nella prassi inclusiva messa in atto dalle bande, che fornisce a tutti gli strumenti per partecipare e per contribuire alla decisione sulle musiche, sugli eventi ecc.

Fondamentale diviene, quindi, proprio il momento della formazione, attraversato da un processo di democratizzazione che non solo dà alle bande un ruolo «abilitante» per tutti, ma le immerge nello spirito popolare. Nascono laboratori di musica d’insieme, scuole di musica alternativa, gratuita, lontana dai modelli seriosi e dalle «pedanterie didattiche». La musica, sin dalla formazione, viene assunta come fattore di auto-riconoscimento e di autorealizzazione, al di là della sua etero-direzione entro discipline, registri o canoni assoluti. Ciò si riflette, ad esempio, nell’assenza del palco, che mette sullo stesso piano musicisti e pubblico. Per quanto riguarda il repertorio, le bande alternative non solo hanno smesso di imitare e diffondere gratuitamente per strada i modelli alti della musica accademica e operistica, ma hanno acquisito identità individuali costruendo un proprio repertorio, riflesso dei gusti musicali e delle competenze dei suoi componenti. Moltissimi sono i generi rappresentati: Pop, Rock, Folk, Funky, Jazz, Classica, Sperimentale, Word music Latina, Africana, Indiana, Balcanica, canzone d’autore, leggera e politica. Le bande alternative sono uno straordinario luogo per musicisti creativi che possono sperimentare non solo nuovi repertori, ma anche modalità diverse di arrangiamento, conduzione, improvvisazione. Nate in un contesto culturale pacifista ed antimilitarista, le bande attiviste alternative, anche a livello simbolico e visivo, si sono allontanate, nella prassi, da quel modello paramilitare messo in discussione nel dibattito di fine anni Settanta: la divisa non è più contemplata se non in senso ironico e l’abito è costituito quasi sempre da un travestimento allegro o provocatorio. Nelle parate le bande hanno un aspetto apparentemente disordinato e non sono mai in righe e file.

Insomma, l’opposizione alla disciplina che caratterizzava le bande tradizionali non si manifesta attraverso l’assunzione di un punto di vista ritenuto giusto a priori. È nel confronto, nell’inclusione e nella sperimentazione che qualsiasi legame di subordinazione esterna viene rotto, e quella disciplina ferrea che permeava lo spirito della banda si ribalta in autodeterminazione e autogestione, che richiedono impegno e organizzazione. Le bande alternative non sono dipendenti da nessuno: andare a suonare per l’anniversario della Liberazione, per sostenere una manifestazione politica di protesta o un’iniziativa sociale in un campo rom, sono scelte fatte dal collettivo con coscienza, in completa autonomia: non una prestazione alienante ma una decisione consapevole e condivisa. «Una banda porta la festa nella politica e la politica in una festa». Sempre più numerose nelle grandi metropoli, le bande attiviste rompono, ad ogni livello, gli ordini e le discipline, aprono spazi di inclusione e di autogestione, strappano la musica al potere e la rimettono alla gioiosità della creatività collettiva. Dentro la musica si costruiscono nuovi mondi, in cui non valgono più le gerarchie, ma ogni atto è il frutto di una comunità che decide e si sviluppa insieme, aprendosi alle differenze, abbattendo i muri, facendo della banda un luogo di democrazia.

Note

Note
1Tra gli altri: Mario Baroni, Gino Stefani, Franco Fabbri, Boris Porena, Bruno Tommaso, Roberto Leydi, Gino Castaldo, Johannella Tafuri, Giorgio Gaslini, Carlo Delfrati, Febo Guizzi, Tullia Magrini, Michele Serra, Massimo Cacciari, Mauro Pagani, Ernesto Assante, Renato Nicolini, Alvise Vidolin.
2Tra le bande attiviste oggi attive, ricordiamo, solo a titolo di esempio, la Titubanda, la http://www.ottoniascoppio.org/" target="_blank" rel="noopener noreferrer">Banda degli Ottoni a scoppio, La Fanfare invisible francese e The Second Line Social Aid and Pleasure Society Brass Band americana. Fra i festival di bande attiviste, molto noto è Honk! Festival of Activist Street Bands.

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