Canto d’amore per il Palazzo
Che una amministrazione rivendichi in piena pandemia come un successo lo sgombero di un posto che creava incontro, cultura, mutuo aiuto, di un posto che era l’anima di un quartiere organizzando sport a prezzi popolari, doposcuola, corsi di educazione ambientale, è una di quelle vicende che confina con l’orrore di questo tempo. Che lo faccia in piena pandemia precipita la cosa nell’osceno.
Lo Stato si incarna in un volto ottuso e feroce. Che mette la proprietà privata tra le sue indiscusse priorità e afferma questa gerarchia di valori, mentre il diritto alla salute è funestato dallo scempio dei tagli alla sanità traducendosi, per un numero impronunciabile di morti da Covid, nel diniego del diritto di esistenza. Mentre una crisi sociale lancia il suo grido di dolore nelle attività che chiudono, nella didattica a distanza che toglie valore, nello stesso tempo, agli altri diritti costituzionali, istruzione e lavoro.
Ci si chiede come possono essere le energie degli amministratori essere convogliate in questa attività nell’anno 2020. Come può lo sgombero di un posto che sosteneva anche socialmente le esigenze di un quartiere essere all’ordine del giorno di una agenda dei politici. Come possono questi amministratori declinare un concetto di legalità in questa maniera miope: togliendo sostegno ad interi nuclei mentre non hanno risorse da investire nel sostegno ai ragazzi che non hanno la scuola, agli universitari che non hanno le università, agli anziani che non possono sedere al bar perché non hanno nemmeno i soldi per un caffè.
Ma se la natura demoniaca del potere sta spesso nel suo essere ingiusto come ci dice Antigone e Stefano Cucchi, noi non possiamo esimerci dal domandarci quale ruolo abbiamo nel disastro che lamentiamo. Perché non sappiamo parlare a quelli che la crisi la subiscono, perché le intelligenze dei nuovi poveri, dei sempre sfruttati, dei precari, degli studenti non sono messe al lavoro per mettere al mondo il mondo? A chi non sappiamo parlare se uno sgombero di questo tipo è moralmente accettabile per larga parte della società?
Questa amministrazione chiudendo questi spazi interpreta una specifica visione politica: fare delle città un deserto. Lo dimostrano i tanti posti sgomberati che sono diventati niente. Come l’angelo Mai a Monti, che era una ciclofficina, un cinema, un posto di incontro, un parco per bambini, un luogo di teatro e ora è niente. Come dimostra il Teatro Valle che era diventata la casa per intere scolaresche la domenica pomeriggio, e dibattiti ed il meglio della scena artistica non ghettizzata e che adesso è un cartellone di ovvietà e miseria.
Se la natura demoniaca del potere è evidente, lo è anche la nostra insufficienza. Dobbiamo riorganizzare i nostri sogni e poi la nostra realtà.
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