La Casa di HER: She Loves Data

La Cura ai tempi del Coronavirus #8

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Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, Una casa per HER: She Loves (2020). Courtesy degli artisti.

Dopo 7 puntate scritte dal mio marito-compagno di vita-socio-partner Salvatore Iaconesi, la puntata n° 8 de La Cura ai tempi del Coronavirus tocca a me.

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Riprendiamo con il 2021 le fila degli appunti in cui su questo magazine stiamo raccontando HER: She Loves Data. Il viaggio è iniziato a Pozzilli, al Neuromed, fra sogni e rituali, e la ricerca di un Nuovo Abitare che ha caratterizzato per noi l’intero 2020, e che oggi ispira la nostra azione, sia come artisti sia come centro di ricerca. Un inizio avventuroso come l’Odissea, concedetemelo.

Questi appunti di ricerca non sono una trascrizione. Non sono scritti didascalici né propriamente critici per inserire dentro una cornice ciò che abbiamo fatto. Ogni “puntata” è un atto di creazione e proiezione in un futuro prossimo, scrittura dell’immaginazione più che compilazione, fiction più che reportage: i pezzi delle riunioni e della ricerca, ciò che discutiamo e pensiamo, si aggregano per generare storie di volta in volta con format differenti, in cui si è riversato il possibile e il desiderabile.

Sono arrivati lontano, questi appunti, sorprendendo anche me e Daniele (Bucci) che li leggevamo in anteprima, guardandoci come in uno specchio dal futuro prossimo: una sensazione molto peculiare. Hanno delimitato temi, concetti, parole, un intero impianto della conoscenza e, nell’ultima puntata, la descrizione di ARNA: l’Archivio dei Rituali del Nuovo Abitare, in cui il nostro particolare archivio definisce la psicologia stessa del Nuovo Abitare ospitandone la conoscenza, consentendo di osservare il modo in cui si forma e anche quello di tramandarlo. 

Ci abbiamo scoperto molte cose, negli appunti. Da come prepararsi ad un rituale datapoietico in un mondo in cui i dati sono modi per esprimersi, comunicare e catalizzare un cambiamento di stato nella società, alla geometria di questa organizzazione, che non sarà un cerchio (un centro), ma  una spirale o un attrattore strano: un attrattore di ricerca! abbiamo esclamato.

Tutto questo progettare e immaginare ha lavorato dentro di noi, e lo abbiamo condiviso come un dialogo intimo e pubblico, personale e collettivo. Siamo arrivati al punto in cui ci stiamo chiedendo: come si vive dentro questa organizzazione? Come immaginiamo di insediarci e abitarla?

Sono sgomenta davanti a questa domanda, è una battaglia con la realtà. Riguarda come un gruppo di persone si proietta materialmente nell’attività di ogni giorno: è sostenibile? Economicamente? Psicologicamente? Relazionalmente? È desiderabile questa quotidianità in cui ci si sta per imbarcare?

Lo è per chi scrive? Nessun progetto di questa portata dovrebbe esimersi dal porre e porsi domande di questo genere anche a livello personale, perché insieme al senso e alla sostenibilità c’è in ballo la vita che desideriamo, le cose e le situazioni che ognuno di noi è in grado di sostenere, per la propria indole, la storia o le competenze. Mi sono posta queste domande e ho provato a rispondere.

Insediamento

«Il Nuovo Abitare è l’adozione di una cosmologia in cui gli esseri umani non sono il centro, ma sono parte di una rete dinamica e diversificata di attori e agenti (umani e non umani, come le organizzazioni, gli agenti computazionali, le piante, gli animali, le foreste, i mari, i condomini, i mercati, le città… ). Dati e computazione possono essere un common ground – terreno comune – per unire tutta questa diversità: tutti questi attori, infatti, si possono esprimere e rappresentare generando dati. Attorno a questi dati possiamo creare i rituali delle nostre nuove quotidianità, stringendo delle nuove alleanze tra tutti gli attori, per diventare sensibili ai fenomeni complessi del nostro mondo globalizzato e iperconnesso».

Il concetto del Nuovo Abitare qui brevemente sintetizzato è il collante che ci unisce in questa ricerca, e che guida la riprogettazione di HER: She Loves Data. Cerchiamo stelle come i navigatori per traghettare un’epoca in cui, come tante volte è successo nella storia umana, l’emergere di un nuovo linguaggio genera un mondo sconosciuto, con la sua psicologia, le sue culture, le sue forme identitarie, sociali e politiche (anche spaventose come stiamo vedendo in questi giorni). La necessità di questo viaggio per scoprire cosa stiamo diventando, cosa possiamo e vogliamo essere, nasce dalla consapevolezza che ogni tecnologia, ogni linguaggio, ci rende donne e uomini differenti: le tecnologie ci inventano proprio come noi inventiamo loro, sono fenomeni esistenziali legati al sentire e al percepire prima che all’usare. La neutralità delle tecnologie, la consolatoria e moralistica convinzione che possiamo semplicemente usarle «per il bene o per il male» , è un guscio secco, fragile e pericoloso. 

Sono queste considerazioni a muovere HER: She Loves Data, la convinzione che dati e computazione siano oggi artefatti culturali e che non possiamo più permetterci di lasciarli al dominio della tecnica, del calcolo e dell’estrazione. La pandemia non è passata invano. Ha scoperchiato i dati come questione politica ed esistenziale a cui è legata la nostra stessa sopravvivenza sul pianeta. Allo stesso tempo, però, questi preziosi dati sono rimasti  «materia per gli esperti» delegata alla task force di turno per trovare soluzioni da infliggere alla popolazione. Il risultato è un anno di bollettini militari e statistiche entrate con violenza nella nostra vita, ma con una scarsissima capacità di generare senso e di consentire a noi che li subiamo di «farci delle cose» , di entrare in contatto con gli altri, l’ambiente. Dopo quasi un anno di altalene fra zone gialle, rosse e arancioni si può anzi dire il contrario: questi dati così ricchi e potenzialmente rivoluzionari non sono diventati un fenomeno espressivo che ci unisce in modi nuovi. Lasciati alla tecnica, il loro destino è progressivamente svuotarsi di senso,  essere usati come arma nei nostri confronti per esercitare dominio e controllo, invece che diventare parte della nostra storia, della nostra autobiografia e, soprattutto, della nostra auto-rappresentazione – ovvero la parte delle nostre libertà di espressione che usiamo per poter comunicare chi siamo. 

Armi, invece che gradi di libertà da estendere. Se abbiamo deciso di rifondare il nostro centro di ricerca per dare vita alla nuova entità di HER: She Loves Data, è per tutti questi motivi, considerazioni e domande. Sono così vaste che il fondo non lo vedremo mai, tanto più che lo stato di innovazione permanente e radicale in cui siamo immersi ci costringe a cambiare in modi altrettanto rapidi e continui: un bersaglio tanto mobile che non conviene affrontarlo disponendosi in battaglia con fare militare sperando di colpirlo, quanto abbandonarvisi, indossarlo, godere delle sue evoluzioni. Unirci e continuare a cercare insieme. La pandemia, dal canto suo, ha dato un senso di urgenza a questa ricerca e alle decisioni che avevamo preso: trovarsi a reinventare tutto nel bel mezzo del lockdown è stata una peculiare sensazione di tempismo: un risuonare insieme al pianeta, intercettando un cambiamento che superava i nostri sensi. A me piace pensare così, guardando indietro quando a gennaio abbiamo ricomprato le quote della società e ci siamo messi in smart working anticipato…

Dopo i tanti mesi passati a progettare siamo giunti ad una conclusione: a HER: She Loves Data serve una Casa, che sia lo spazio dell’esperienza e dell’accoglienza

Oriana e Salvatore in residenza all’Opera Barolo – Torino, gennaio 2021. Courtesy degli artisti.

A metà fra un monastero, un atelier e una spa, la Casa di HER: She Loves data è un hub, ma non solo per l’innovazione: è un centro per il benessere (lo stare bene), il senso e il godimento per persone e organizzazioni, in cui si viene a sperimentare con il corpo e la mente la Datapoiesi – il fenomeno in cui i dati portano all’esistenza e alla percezione qualcosa che prima non c’era – e i Rituali del Nuovo Abitare, per unirsi e attivarsi intorno a questi dati. Si viene qui attratti da uno stile di vita, un’estetica e una sensibilità: per interesse, curiosità, per farlo proprio perché è desiderabile, o per la convinzione che potrà aiutarci ad avere a che fare con dignità col cambiamento climatico, le migrazioni, i mercati finanziari, le pandemie, e quanto altro il mondo globalizzato ha in serbo per noi. Si viene qui per studiare, lavorare, fare una tesi o una ricerca, partecipare ad un seminario, un workshop, una summer o winter school, un anno sabbatico, per esplorare questi temi insieme a noi. Ci sono attività proposte da HER ad iscrizioni aperte, o esperienze fatte su misura per una community, un’azienda, un progetto di ricerca, o per le CoP (Community of Practice) tematiche del centro.  Ciò che differenzia la Casa è essere il luogo materiale e immateriale dell’esperienza e del godimento delle nuove alleanze possibili fra umano e non umano di cui parliamo, siano essi intelligenze artificiali, aziende o un bosco. Il tutto immerso nella quotidianità delle nostre passioni, dei nostri studi, del nostro lavoro, della nostra salute, delle nostre relazioni ed espressioni. Un luogo in cui un mondo potenziale si materializza non come speculazione teorica, ma nella concretezza dei sensi e della vita. 

Forme e legami

HER: She Loves Data ha una forma nuova: è una non profit, il cui scopo sarà mantenere, manutenere e prendersi cura della Casa, e dell’ecosistema che direttamente e indirettamente la alimenta, la amministra e ci porta dentro la vita: da quando esiste il concetto di Casa, amo chiamare questo ecosistema la famiglia non-biologica allargata del centro. 

Partiremo da alcuni blocchi fondativi: 

  • l’ossatura di ARNA, l’Archivio dei Rituali del Nuovo Abitare; 
  • gli Ubiquitous Commons, il protocollo con cui identità differenti si possono definire, stabilire relazioni, generare e condividere i dati quando entrano nell’ecosistema e iniziano a «fare cose» in HER: She Loves Data; 
  • Data Meditations, che corrisponde sia al primo rituale descritto e inserito nell’ARNA, e sia ad una stanza: il primo «modulo architettonico di esperienza datapoietica» della Casa. 

Data Meditations è nato nel 2020, ispirato all’esperienza del lockdown, come risposta all’assenza di pratiche e immaginari che interpretassero questo «distanziamento» forzato come ritiro e possibilità di elevazione. È d’altronde questa un’interpretazione che fa parte dalle nostre culture da millenni –nelle tradizioni monastiche, spirituali, religiose – ma che è stato ignorato nel corso della pandemia. Con Data Meditations abbiamo tentato di abbracciare il virus come limite ma anche come possibilità esistenziale ed espressiva, e ci è servito molto per arrivare dove siamo, rivelandosi un blocchetto solido e pieno di possibilità evolutive su cui abbiamo costruito nuovi esperimenti. È un modulo espandibile intorno al quale potranno aggregarsi diverse CoP tematiche: per i rapporti di coppia, la salute, il lavoro nei team aziendali, nei condomini, per la meditazione individuale… Stiamo lavorando sull’ambiente, le procedure, le sonorizzazioni, le visualizzazioni, l’esperienza in remoto e in presenza. E sul concetto di training, ovvero su come predisporre i meccanismi per cui altri possano a loro volta realizzare e ospitare una Data Meditations autonomamente, creando delle economie diffuse. C’è un’attività ricca e intensa intorno a questo primo rituale, che ha  molti meriti: si materializza in modo diretto e comprensibile, coinvolge il corpo, ma anche discipline, tradizioni e culture diverse dove i dati sono un ponte con pratiche antichissime. La meditazione datapoietica, inoltre, è una palestra (nel senso esatto di gymnasium) per allenarsi alla percezione di ecosistemi che includono il non-umano e nuove possibili articolazioni del sé: dalle piante ai condomini ai territori le possibilità sono infinite, e in questo modo accessibile come una sessione di yoga in palestra, esercitiamo la sensibilità di queste nuove alleanze. Sono questi i motivi principali perché, fra i tanti possibili rituali del Nuovo Abitare, partiamo da questa «nuova tecnologia del sé», per dirla con Foucault.

Data Meditation con Salvatore Iaconesi – Trento, residenza Zobele. Courtesy degli artisti.

Le attività intorno a esperienza, formazione e accoglienza – in remoto e in presenza – costituiscono l’economia che dà un’autonomia di base alla Casa. L’attività legata ai bandi e al fundraising sarà costante, ma l’obiettivo è che queste tre attività possano assicurare l’esistenza della Casa e di chi vi risiede assicurandone il funzionamento.  

Salvatore ed io avremo un ruolo particolare, soprattutto all’inizio. L’arte che abbiamo generato nel tempo è l’archetipo dei moduli di esperienza datapoietici, sia dei rituali: lo stesso concetto di Datapoiesis, così centrale nel Nuovo Abitare, lo abbiamo creato nel 2019. La Casa per statuto ospiterà le nostre opere, lasciate in comodato d’uso: una pratica comune e consolidata nel tempo che funziona molto bene. Le opere saranno disseminate in modo fluido più che in un ordine museale, diventando parte dell’arredamento. Queste opere si aggiungono ai moduli architettonici di esperienza, e sono sia storia (un archivio artistico), sia futuri potenziali (oggetti e rituali che potrebbero materializzarsi nello stesso ARNA). Le opere saranno un’attrattiva in più per la Casa, contribuendo anch’esse alla sua economia complessiva. Noi stessi per i primi tre anni ci impegneremo a scegliere un tema sul quale creare un’opera: ci faremo un percorso di ricerca e formazione, e l’evento finale ambientato nella Casa. Le opere che abbiamo realizzato nei nostri quasi 15 anni insieme si sono sempre manifestate con workshop e processi di ricerca – per non parlare delle folli, intense summer school immersive dove abbiamo vissuto insieme ai partecipanti. le abbiamo sempre definite «epiche» e quest’epica sarà parte della Casa.

Il legame esplicito fra la nostra arte e la Casa rende piena, desiderabile e psicologicamente sostenibile la nostra presenza, ma è anche una protezione. Fra poco HER: She Loves Data si aprirà agli «altri», non sarà più solo qualcosa che descriviamo in un articolo docile sotto la penna. La presenza delle nostre opere è il migliore se non l’unico modo che posso immaginare per trasmettere a questo organismo nascente un frammento essenziale di dna che può differenziarlo dagli altri: l’estetica e la sensibilità. 

C’è un’altra cosa che rende piena, desiderabile e psicologicamente sostenibile la mia presenza. La mia vita – la mia carriera, se vogliamo – è iniziata in un ambito dell’immaginazione che non è l’arte, ma la politica. Ho sempre voluto fare politica da che ho memoria. A se sette anni feci il mio primo volantino disegnato a matita per il referendum anti-caccia, organizzando una distribuzione sotto casa con i miei compagnetti. Ero ecologista allora, da bambina, e lo sono rimasta scoprendo Bateson e il pensiero cibernetico, ed evolvendo a tecnologie e linguaggio il concetto rudimentale di natura che potevo avere alle elementari. Fra il 99 e il 2000, approdando all’università, ho formulato una domanda che ancora mi accompagna: come come cambia il patto sociale in un mondo in cui esiste il software, questo nuovo linguaggio? Ci ho tirato su un’associazione in cui mi occupavo esclusivamente di questo, e che mi ha fatto incrociare Fiorello Cortiana: l’unico politico allora senatore che si muoveva in questa direzione con una prospettiva ecologista. Il mio primo approdo lavorativo è stato con lui, al gruppo Innovazione Verdi al Senato, che è collassato proprio mentre incontravo Salvatore. In quell’arte fatta di hacking, poesia e codice ho ritrovato il senso pieno della politica. Nelle opere che facevamo non dovevo convincere le persone a interrogarsi sul diritto d’autore, il software o l’intelligenza artificiale: le persone entravano in uno spazio miracoloso in cui autonomamente potevano porsi delle domande, esplorare i propri immaginari e farsene di propri. Non dovevo convincere nessuno, e quei temi che per me erano così vitali si trasmettevano naturalmente alle persone. Era così andando a spasso con nostro figlio Angel_F , una piccola ia linguistica; o con Degradazione per Sovrapposizione di Corpi, o con il REFF, pensando ai primi passi che abbiamo fatto insieme. Negli anni mi sono convinta che in un momento di cambiamento di linguaggio la politica ha bisogno dell’arte per fare il suo mestiere. Non abbiamo parole, convenzioni sociali stabilite su una realtà nuova che ha bisogno di entrare nel campo della nostra percezione. Dobbiamo percepire questa realtà in cui sono entrati i dati, il software e la computazione e, partendo da là, potremo costruirci sopra un patto sociale…  

Nella Casa e in tutta l’architettura di HER: She Loves Data – in questo processo di «farsi istituzione» anche duro e difficile che abbiamo intrapreso negli ultimi 6 anni – l’azione artistica e politica si fondono pienamente, da azioni temporanee espressione di una diade (il duo che siamo diventati) cercano una continuità e cercano di aprirsi ad una più vasta alterità: di luoghi, tempi, persone e alleanze. 

Ne vale la pena? Dopo questa indagine per me – questa persona che scrive, con la sua storia e la sua psicologia – è finalmente un sì pieno e rotondo. 

Prossimi passi

In questa puntata abbiamo scoperto che HER: She Loves Data ha bisogno di una Casa. Dove avverrà l’insediamento, nell’urbanità o nella ruralità? Qual è il modello abitativo che propone? A queste domande proveremo a rispondere nel prossimo articolo.

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