La nascita della biopolitica e l’uomo artificiale
Dal cyborg al postumano
Pubblichiamo un estratto dal libro di Antonio Caronia, Dal cyborg al postumano. Biopolitica del corpo artificiale, pubblicato da Meltemi nella collana Culture radicali diretta da Gruppo Ippolita. Il libro è a cura di Loretta Borrelli e Fabio Malagnini, con una Prefazione di Alberto Abruzzese e una Postfazione di Un’Ambigua Utopia n. 10. Quello che segue, in particolare, è il testo di una lezione del corso di Sociologia dei processi culturali, tenuta all’Accademia di Belle arti di Brera il 6 giugno 2010. Insieme a questo testo di Caronia pubblichiamo anche la recensione di Peppe Allegri all’antologia di questo maestro del pensiero radicale.
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Delineando la prospettiva del passaggio che, in certi momenti, Foucault chiama “dalla sovranità alla biopolitica”, ci sono due frammenti di testo che ci interessano. Nel corso del ’76, che troviamo in Il faut défendre la société, la questione della biopolitica e del biopotere emerge soltanto nell’ultima lezione:
Mi sembra che uno dei fenomeni fondamentali del XIX secolo sia stato ciò che si potrebbe chiamare la presa in carico della vita da parte del potere. Si tratta, per così dire, di una presa di potere sull’uomo in quanto essere vivente, di una sorta di statalizzazione del biologico, o almeno di una tendenza che condurrà verso ciò che si potrebbe chiamare la statalizzazione del biologico. (…) Verranno allora presi in esame gli effetti elementari dell’ambiente geografico, climatico, idrografico, e i problemi ad essi connessi. Quelli delle paludi, ad esempio, o – per tutta la prima metà del xix secolo – quelli delle epidemie legate all’esistenza delle paludi. Verrà inoltre suscitato il problema dello stesso ambiente, ma non in quanto ambiente naturale, bensì come ambiente che in qualche modo ha degli effetti di ritorno sulla popolazione, come ambiente che è stato da essa creato1.
Cominciamo a notare che in questo, come nel corso successivo, esce fuori un concetto nuovo per Foucault che non aveva mai usato prima, quello di ambiente: c’è un ambiente come insieme di elementi naturali nei quali si svolge la vita dell’uomo, un ambiente che non dipendente da lui, dove si trova ad operare, e c’è un ambiente invece che viene creato dagli uomini in quanto popolazione, cioè in quanto aggregati di esseri umani. È interessante il commento che fa lui stesso:
Si tratta, per l’essenziale, di quello che diventerà il problema della città2.
Quindi la città è l’esempio più tipico di un ambiente artificiale creato dall’uomo.
Io credo che in tutto ciò vi sia un certo numero di cose abbastanza rilevanti.
La prima è questa: l’apparizione di un elemento – stavo per dire di un personaggio – nuovo, che né la teoria del diritto, né la pratica disciplinare, conoscono. La teoria del diritto, in fondo, non conosceva altro che l’individuo e la società: l’individuo contraente e il corpo sociale costituito attraverso il contratto volontario o implicito degli individui. Da parte loro, le discipline avevano a che fare praticamente solo con l’individuo e con il suo corpo. In questa nuova tecnologia di potere, invece, non si ha propriamente a che fare con la società (o comunque con il corpo sociale definito dai giuristi), e neppure con l’individuo-corpo3.
Capite che Foucault per “popolazione” non intende la società. La società è già un aggregato, è già un corpo sociale in quanto tale, formato da individui ma che si può leggere come un tutto unitario. Una popolazione invece non si può leggere come un tutto unitario. Gli effetti sulla popolazione quando si tratta di un discorso statistico – misurare quante persone muoiono in una certa classe di età in un certo periodo di tempo; misurare che relazione c’è tra l’insorgere di certe malattie e la morte; misurare la relazione che c’è tra certe condizioni ambientali e lo stato di salute – si esplicano su singoli corpi, sui singoli individui ma si misurano in maniera ampia. Quindi popolazione è un termine intermedio tra quello di individuo e di società, non è la società che è un tutto unico e non è l’individuo che è solo. Foucault dice è un corpo molteplice, un corpo con una quantità.
In Sécurité, territoire, population, di due anni dopo, invece, Foucault scrive:
Diciamo allora, per riassumere, che la sovranità “capitalizza” un territorio4;
Nella sovranità abbiamo a che fare con un territorio. La popolazione non è ancora emersa, non è presente quando si fa il discorso della sovranità e Foucault pone come problema decisivo la sede del governo. Dove sta il governo di questo territorio? Nel luogo in cui ha sede il sovrano, da quel luogo egli esercita il suo potere e la sua preoccupazione principale è mantenere integro quel territorio. Gli interessa poco di quello che succede alla popolazione che ci sta dentro. La sovranità capitalizza un territorio e la disciplina cosa fa?
la disciplina dà forma architettonica a uno spazio e pone come problema essenziale una distribuzione gerarchica e funzionale degli elementi5;
Per fare della disciplina bisogna avere a disposizione uno spazio chiuso antropizzato e umanizzato: una stanza con delle sedie in cui far sedere gli studenti e tenerli lì per cinque giorni la settimana; una chiesa dove far pregare le persone, l’inginocchiatoio per tenerli in ginocchio o farli alzare o sedere a seconda di quello che fa il prete nella messa. La disciplina senza un’architettura non si riesce ad esplicare. Non basta più per la disciplina che ci sia il sovrano e il suddito, tra il sovrano e il suddito ci sono le figure intermedie: c’è il maestro, c’è il direttore della scuola, l’impiegato comunale, il prete, il carceriere, il medico, l’infermiere. Ci sono delle gerarchie. È molto più articolata una dimensione disciplinare da una dimensione puramente sovrana.
Nella sovranità ci sono solo sovrano e suddito, nella disciplina c’è una forma architettonica e una gerarchia di personaggi.
la sicurezza cerca invece di strutturare un ambiente in funzione di serie di eventi o elementi possibili che occorre regolare in un quadro polivalente e trasformabile6.
La sicurezza cerca di strutturare un ambiente, è un ambiente. Mentre la sovranità ha a che fare con un territorio e la disciplina ha a che fare con un’architettura, la sicurezza e il controllo hanno a che fare con l’ambiente. Strutturato in funzione di che cosa? Di una serie di eventi o di elementi possibili. La sicurezza lavora sugli eventi, fa succedere qualcosa. Anche la disciplina fa succedere qualcosa ma soltanto come risultato finale di una lunga serie di addestramenti: io ti addestro a stare fermo ad ascoltare, dopo un po’ ti ho trasformato in una macchina, in un robot ma non c’è nessun evento. I meccanismi di sicurezza e di controllo invece generano eventi. C’è un’epidemia, un’endemia? Io ti sottraggo a questa endemia, assicuro il tuo corpo contro la scarlattina, contro la difterite, ti convinco a farti visitare regolarmente in funzione di una certa patologia. Sono degli eventi che accadono in continuazione, strutturati, collegati tra loro.
La dimensione della sicurezza rinvia perciò a eventi possibili, a ciò che è temporaneo e aleatorio, e che bisogna iscrivere in uno spazio dato. Lo spazio in cui si svolgono serie di eventi aleatori corrisponde, credo, a ciò che è definito ambiente. Nella nozione di ambiente il problema fondamentale riguarda la circolazione e la causalità7.
Che cos’è l’ambiente in fisica? È ciò che serve a spiegare l’azione a distanza di un corpo su un altro. È il supporto e l’elemento di circolazione di un’azione. L’ambiente è lo spazio in cui il sole esercita l’attrazione gravitazionale sulla terra, questo è l’ambiente in fisica. I corpi possono circolare nell’ambiente ed esercitano un influsso su altri corpi facendo in modo che a certe cause corrispondono certi effetti.
I dispositivi di sicurezza elaborano, fabbricano, organizzano, pianificano un ambiente ancor prima che la nozione si sia formata e definita. L’ambiente sarà esattamente ciò in cui avviene la circolazione8.
Il problema della circolazione è esattamente lo stesso presupposto dai Fisiocrati quando dicevano di lasciare circolare le merci se c’era una carestia. Per Foucault non sono solo le merci che circolano ma anche gli effetti sociali. È a questo livello che operano i dispositivi di controllo e di sicurezza. Per poter controllare, le cose devono comunque succedere, se io le blocco prima perché ho messo in atto un blocco disciplinare non posso controllare nulla. È diverso il modo in cui controllo un carcerato dal modo in cui controllo un libero cittadino:
L’ambiente è un insieme di elementi naturali come fiumi, paludi, colline; è un insieme di elementi artificiali, come agglomerazioni di individui, di abitazioni ecc. Consiste in un certo numero di effetti di massa che coinvolgono tutti coloro che vi risiedono. Esso rappresenta l’elemento al cui interno si realizza una sorta di cortocircuito tra gli effetti e le cause, perché ciò che è effetto da un lato diverrà causa dall’altro. Per esempio, più c’è addensamento, più ci saranno miasmi e quindi malati9.
C’è una catena di cause che diventano effetti, questi effetti a loro volta diventano cause di altre cose. Una catena causale. Questo avviene sempre dentro a un ambiente.
L’ambiente perciò rende conto del fenomeno di circolazione delle causa e degli effetti10.
Poi certo si possono chiamare merci, popolazioni, persone, idee ma sono sempre cose che causano eventi o elementi che causano altri eventi. Quindi quello che circola in uno stato sociale sono sicuramente le cause e gli effetti.
e si delinea infine come un campo di intervento in cui, anziché trattare gli individui come insieme di soggetti di diritto capaci di azioni volontarie, come nel caso della sovranità, o come molteplicità di organismi, come corpi pronti a eseguire le prestazioni richieste, come nel caso della disciplina, occorrerà trattarli invece come una popolazione, cioè come un complesso di individui profondamente, essenzialmente, biologicamente legati alla materialità in cui esistono. L’ambiente designa quella zona di interferenza tra gli eventi prodotti da individui, popolazioni e gruppi, e gli eventi quasi naturali che accadono attorno a essi11.
Gli eventi prodotti da individui, popolazioni e gruppi interferiscono con gli eventi quasi naturali che avvengono intorno a loro. L’evento malattia che si produce in certi settori di popolazione genera l’evento morte. L’evento morte con l’apparizione di un cadavere genera l’evento putrefazione che ha come effetto la produzione di miasmi, esalazioni che sono cause di nuovi effetti, di nuove malattie. Quindi c’è un’interferenza tra gli elementi naturali e quelli artificiali dell’ambiente.
Il problema tecnico posto dalla città mostra l’irruzione del problema della naturalità della specie umana all’interno di un ambiente artificiale12.
C’è un ambiente artificiale, cioè uno spazio strutturato dagli esseri umani con edifici, funzioni, densità di abitanti e dentro a questo ambiente artificiale c’è la natura degli esseri umani, cioè la predisposizione del corpo degli uomini a fare certe cose che interferisce con gli elementi artificiali che ha creato l’essere umano.
Foucault cita, “quello che è stato senza dubbio il primo grande teorico di ciò che potremmo chiamare la biopolitica o il biopotere”13, cioè Mobeau, da Recherches et considérations sur la population de la France (Ricerche e considerazioni sulla popolazione della Francia, 1778):
“Dipende dal governo se cambia la temperatura dell’aria e il clima migliora; le acque stagnanti che defluiscono, le foreste piantate o bruciate, le montagne distrutte dal tempo o dalla cultura intensiva formano un suolo e un clima nuovi. […] Se il principio sconosciuto che forma il carattere e gli spiriti dipende dal clima, dai principi alimentari, dagli usi, dalle abitudini a certe azioni, si può dire che i sovrani attraverso menti salde e istituzioni utili, la soppressione delle imposte che moltiplicano le capacità umane e infine attraverso l’esempio che si stessi danno governano l’esistenza fisica e morale dei loro sudditi”.
Come potete vedere, ritroviamo qui il problema del sovrano, che però non è più colui che esercita il potere su un territorio a partire da una localizzazione geografica della sua sovranità politica. Il sovrano ora è un’entità inseparabile dalla natura, si situa al punto di interferenza, di implicazione perpetua tra un ambiente geografico, climatico, fisico ecc. e la specie umana, dotata di un corpo e di un’anima, di un’esistenza fisica e morale. Il sovrano è chiamato a esercitare il proprio potere nel punto di articolazione in cui la natura, intesa come elementi fisici, interferisce con la natura intesa come specie umana14;
La natura nel senso dell’ambiente in cui noi siamo immersi è una cosa e la natura umana è una cosa totalmente diversa, potremmo sempre chiamarla natura ma la natura umana consiste in quell’insieme di potenzialità, di attitudini al cambiamento, all’interferenza, alla rappresentazione, alla simbolizzazione e alla costruzione di doppi di questa cosiddetta “natura” che poi influiscono anche sulla natura stessa. È proprio a tale snodo che il sovrano è chiamato ad intervenire, se vuole cambiare la specie umana come dice Foucault deve agire sull’ambiente.
Proviamo a dire cose simili con un linguaggio diverso. Come potremmo definire la biopolitica in un altro modo? Potremmo dire che da un lato la sovranità, la legge e la disciplina danno per scontata l’esistenza della natura e non intendono cambiarla, non intendono interferire con i meccanismi più profondi di questa natura, ivi compresa la natura umana. Danno per scontato che l’uomo sia cattivo, che l’uomo sia malvagio, che qualunque individuo voglia prendere il posto del sovrano, e quindi proteggeranno il sovrano. Non si mettono in testa di cambiare la natura dell’assassino, del maniaco sessuale o del bestemmiatore, si limitano a rinchiuderlo in una galera e semmai a dargli un addestramento fisico per cui il suo comportamento esteriore si conformi a certe regole e a certi modelli, ma non intendono interferire nella natura perché giudicano fondamentalmente la natura un dato, qualcosa di esterno, di immodificabile, a cui l’uomo deve adeguarsi. Sovranità, legge, disciplina rappresentano semplicemente dei meccanismi di adeguamento, di obbedienza dell’uomo a una dimensione naturale esterna data per immodificabile.
Il punto di vista della biopolitica è fondamentalmente diverso. Quando io vacino una popolazione è perché sono convinto che posso sconfiggere il vaiolo. Posso cambiare il vaiolo, posso cambiare la natura. Posso determinare la scomparsa di qualcosa che la natura mi ha portato. Ho elaborato delle tecniche che sono insieme mediche, sociali e politiche, tecniche specialistiche. Ho elaborato un sapere.
Attenzione a questo sapere però! ll fatto che io sappia che esiste una cosa che si chiama vaccino con cui posso vaccinare il vaiolo non serve a nulla se io non ho dei meccanismi che inducono o costringono o convincono la popolazione a farsi vaccinare.
Allora ecco qui due cose fondamentali. Il primo elemento è che un atteggiamento biopolitico ha come presupposto un’ipotesi di modificabilità della natura. Si può agire sui dispositivi, sui meccanismi della natura. La natura non è più come nel pensiero pre-biopolitico sovranista, giuridico, disciplinare, la natura non è più qualcosa di dato una volta per tutte, di non modificabile. La natura è qualcosa che può essere modificata dall’azione dell’uomo. Ecco il senso in cui l’ambiguità del termine diventa ricca. La natura umana è qualcosa che può modificare la natura. Cosa importa a questo livello che si riconosca la natura umana come un segmento della natura in generale in senso materialista o che la si definisca in senso cartesiano come la spiritualità o la res cogitans? Poco importa, sta di fatto che sono tutti e due meccanismi naturali, ma una di queste due nature può influire sull’altra, e influendo sull’altra modifica il comportamento dell’uomo stesso, in modo ben più profondo di quanto facevano i dispositivi precedenti, perché dà luogo a comportamenti. È la prima conseguenza di una visione foucaultiana della biopolitica che può essere utile per uno studio sugli esseri umani, sulle repliche degli esseri umani o sulla loro artificializzazione.
Il secondo elemento fondamentale è che i dispositivi biopolitici presuppongono un’implicazione reciproca e un intreccio di sapere e di potere quale mai si era visto nelle società precedenti. Il sapere che non diventa potere è inefficace, è come se non si sapesse nulla: non mi importa di sapere che è un certo microrganismo genera la difterite o il morbillo se non sono in grado di agire su quello; e non mi importa di avere trovato il meccanismo astratto attraverso il quale una certa azione, una certa sostanza opera su un’altra se non ho il potere di fare in modo che la popolazione mi segua. Attenzione, il dispositivo “sapere/potere” è abbastanza elastico da poter tollerare entro certi limiti delle diserzioni. È tollerabile che ci siano i Testimoni di Geova che non vogliano fare le trasfusioni o che non vogliono vaccinare i propri bambini o anche che ci sia – è già più pericoloso – un’opposizione di élite culturale che non voglia vaccinarsi, che ha altre idee sulla medicina, purché questo non mi influenzi i grandi numeri, purché il 90% della popolazione si vaccini comunque.
Quindi c’è permeabilità, influenzabilità dei processi naturali, detto in altri termini, c’è artificializzazione della vita; dai primi vaccini di Pasteur alle biotecnologie, c’è stato un cambiamento quantitativo di grande importanza ma c’era già allora l’idea che la natura fosse modificabile. È una cosa che durante le pesti fino al Seicento nessuno avrebbe pensato. Si potevano solo contenere gli effetti, mettere in un Lazzaretto i malati ma il meccanismo in quanto tale dell’epidemia era immodificabile.
Questo è di importanza fondamentale. Non c’è una vera possibilità di replica degli esseri umani, né di costruzione di esseri umani artificiali, né la possibilità di tecnologizzare il corpo, e quindi di ottenere il cyborg, senza questo atteggiamento di fondo. L’insistenza di Foucault della copia naturale/artificiale indicano che il tema della artificializzazione del corpo è un tema implicitamente foucaultiano: l’irruzione della naturalità della specie umana all’interno dell’ambiente artificiale.
La conclusione è che credo sia possibile utilizzare delle categorie foucaultiane nello studio degli uomini artificiali come elementi dell’immaginario, come elementi della quotidianità o della contemporaneità tecnoscientifica, in primo luogo perché le condizioni di apparizione di queste figure sono esattamente le stesse o molto simili a quelle che ripetutamente Foucault enumera per la nascita della biopolitica. Quindi possiamo interpretare l’androide e il robot come delle nascenti figure di biopolitica, come potenziali personaggi biopolitici.
Ma c’è un secondo elemento: le figure del robot, dell’androide, del cyborg in realtà sono elementi biopolitici anche perché sono essenzialmente figure di interferenza tra il sapere e il potere, a partire dagli automi di Hoffman e da Frankenstein, per non parlare di tutte le altre successive fino ai romanzi di Dick e di Gibson. Gli uomini artificiali, replicati o invasi, sono l’effetto di un dispositivo di sapere, sono l’effetto di un certo insieme di conoscenze tecno-scientifiche che sono diventate tali o perché erano all’interno di meccanismi di potere, o perché qualcuno aveva autorizzato la replica di quei corpi, la trasformazione di un corpo umano in un cyborg. O hanno un’autorizzazione, fanno già parte di una zona protetta della società, di un circuito di potere, oppure sono dei fuorilegge, e quindi hanno infranto un quadro normativo di potere precedente, per appropriarsi di qualche cosa che non sarebbe loro spettato e, in questo modo, hanno interferito con gli usuali meccanismi di potere. In maniera ufficiale, legittima, autorizzata o in maniera ufficiosa, non ufficiale, illegittima, illegale hanno fruito di questo intreccio tra il sapere e il potere; cioè si sono situati a un certo livello di potere, utilizzando un certo livello di sapere e determinando a questo punto nuove configurazioni dei livelli di potere all’interno della società. Potete leggere qualsiasi romanzo di Gibson o di Dick o di Asimov sugli automi e sui cyborg in questo modo, se volete. Sia che il cyborg o il robot entri in scena come tale, sia che assistiamo alla sua creazione, otterremo l’effetto di un dispositivo biopolitico e avremo la predisposizione potenziale di certi effetti della sua comparsa sugli stessi dispositivi biopolitici.
Quindi, per entrambe queste ragioni, si potrebbe fare uno studio biopolitico dell’uomo artificiale inteso come effetto o figura privilegiata di un processo di artificializzazione della natura di cui la biopolitica è una delle componenti. Secondariamente, non perché sia meno importante, si potrebbe fare questo studio perché all’interno di queste figure si esprime un’articolazione degli effetti di potere dei dispositivi conoscitivi, quindi del sapere di una certa società, e reciprocamente degli effetti degli aumenti di sapere che certe pratiche di potere portano con sé.
Entro certi limiti potremmo anche sostenere che ogni personaggio di un romanzo di fantascienza, anche se è un essere umano, è in qualche modo un robot o un cyborg; potremmo sostenere che la figura dell’uomo artificiale in realtà una figura paradigmatica e dal momento in cui Olympia o Frankenstein sono entrati sulla scena dell’immaginario hanno robotizzato o cyborgizzato tendenzialmente anche tutti gli altri personaggi, umani compresi.
Nel momento in cui è possibile alterare il genoma di un altro essere umano noi diventiamo tutti cyborg genetici anche se nessuno ha alterato il nostro DNA, come l’apparizione della scrittura ha reso tutti letterati anche gli analfabeti. Quando è apparsa la scrittura non era importante quante persone scrivevano, bastava una minoranza di persone capaci di leggere e di scrivere perché quel dispositivo sociale diventasse un dispositivo centrale, creando condizioni nuove nei termini di tutta la società, sia per chi era letterato e sia per chi non lo era. Analogamente, potremmo dire che, da un certo punto di vista, non ci sono più uomini naturali una volta che è comparso l’artificio all’orizzonte della specie umana.
La formulazione che Foucault usa all’inizio di Sécurité, Territoire, Population – l’irruzione della naturalità della specie umana all’interno dell’ambiente artificiale – potrebbe essere completata o corretta in questo modo: “l’irruzione della naturalità della specie umana all’interno dell’ambiente artificiale determina l’artificialità della stessa natura umana, la trasformazione artificiale della stessa natura umana”.
Nel momento in cui la natura umana si dichiara capace della creazione, della interazione tra sé stessa e un ambiente naturale automaticamente dimostra che non è più natura nel senso di un dato immodificabile. Possiamo pure continuare a chiamarla natura ma dobbiamo definirla come natura manipolabile e modificabile, come è diventato modificabile il nostro Dna oggi. Possiamo pure continuare a chiamarla natura ma è una natura che è diversa dalla natura quale è stata fino alla soglia della sua modificabilità.
Il merito di Foucault è stato probabilmente quello di retrodatare questa soglia e di farci capire che i prodromi e le precondizioni per l’esplosione tecnologica del XX secolo erano stati già posti nel corso del XVIII e all’inizio del XIX con la nascita della biopolitica, cioè con l’apparizione di un insieme di tecniche di governo della popolazione che non davano più per immodificabile il dato naturale, che già configuravano opzioni e possibilità di intervento sul comportamento biologico, sulla biologia delle popolazioni. Ciò che era, o che appariva, in linea di definizione ingovernabile a un certo punto diventa governabile. Questo vuol dire la biopolitica: vuol dire che è stato reso governabile l’ingovernabile.
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