Lo strappo sonoro

paesaggi2
Nanni Balestrini, Poesie-Action – Paesaggi verbali, 2002

Nanni era uno stronzo! Questo mi suona come l’unico incipit adeguato a queste righe, necessario per segnare una distanza rispetto a quel clima di incensamento che sempre si diffonde come un’epidemia tra quelli che restano, quando qualcuno ci lascia. Quella vedovanza contrita, del come faremo senza di lui, che Nanni aborriva, come detestava i necrologi e le lacrime.

Nanni l’ho conosciuto quando lavoravo per la casa editrice DeriveApprodi, e poi, dal 2011 e fino al 2015, ho lavorato insieme a lui ad alfabeta2, l’ultima sua creatura. Nanni aveva capito che la rivista cartacea, che pure continuò a uscire ancora per qualche tempo, aveva i giorni contati. Facciamo una bella rivista online, mi e ci disse, un sito di informazione culturale veloce, brillante e aggressivo. Provammo, e funzionò: articoli brevi e nervosi, e immagini belle e significative, tutti i giorni, online e nella casella di posta dei nostri iscritti. Era alfapiù. Ci misi del mio, coinvolgendo una serie di collaboratori imprevisti della mia generazione, soprattutto su temi politici e filosofici, e il cortocircuito diede buoni risultati. A un certo punto mi accorsi che serviva qualcos’altro, che c’era bisogno di uno spazio di approfondimento, e mi inventai alfadomenica: uno spazio domenicale per gli articoli più lunghi, un inserto settimanale sul modello di quello dei quotidiani cartacei. A Nanni l’idea piacque, e funzionò anche alfadomenica, che esiste ancora adesso. Il rapporto con Nanni divenne sempre più stretto, fino a farsi quotidiano nel corso dei mesi e degli anni. Ti chiamava al mattino presto, per organizzare il lavoro, sentire le tue proposte, fare programmi: a volte non rispondevo, perché Nanni era molto mattiniero. Ci vedevamo, insieme a tanti altri in riunione affollate e confuse, nella sede di DeriveApprodi, insieme ad Andrea e Maria Teresa a Monteverde, a volte io e lui da soli ai tavolini del bar Pasticiaccio di via Merulana, o in pranzi domenicali da Litro. Era sempre gentile, elegante (gli ho sempre invidiato le giacche), sornione.

Eppure Nanni era uno stronzo! Era un uomo difficile, per dirla meglio, un uomo silenzioso dal quale sembravano non trasparire emozioni e sentimenti, freddo, indifferente, distante, finanche cinico. Eppure questi tratti caratteriali, così spigolosi, erano gli stessi della sua poetica. Che erano suoi, ma condivideva con altri artisti della sua generazione, una generazione così diversa dalla nostra cresciuta nel cuore di panna degli anni Ottanta: l’antisentimentalismo e l’imperturbabilità di Nanni si potrebbero accostare all’astinenza espressiva di cui ha parlato Sergio Lombardo, o a quella passione dell’indifferenza, titolo del bel saggio che Riccardo Venturi ha dedicato a Francesco Lo Savio. Un tratto generazionale comune, dicevo, di una generazione fatta di macchine. E un dispositivo macchinico era Nanni. Una macchina funziona e produce, non esprime. In Nanni questa poetica era, a differenza degli altri, particolarmente vicina ai principi dell’operaismo, a partire da un antipopulismo strutturale che aveva preso le distanze da Pasolini, Moravia e tanti altri che nei primi anni Sessanta ancora imperversavano nell’Ytalya che era già quella di Emilio Villa e non più quella del melodramma. Vogliamo tutto, insieme a Scrittori e popolo di Asor Rosa e Operai e capitale di Tronti, rimane un testo seminale di un’estetica operaista e anti-hegeliana. Fu in effetti Nanni, con i Novissimi e il Gruppo 63, a sprovincializzare definitivamente l’Italia e la sua industria culturale, un po’ sul modello del Gruppo 47 in Germania, e del Nouveau Roman in Francia. Sulla sua poetica ha scritto molto bene Franco Berardi Bifo, su DeriveApprodi, interrogando L’enigma Balestrini:

La parola è un oggetto verbale, non un sintomo psicologico: questa è la premessa da cui parte Balestrini. Quello che facciamo con le parole non racconta nulla che preesista al montaggio e allo smontaggio.

Ma Franco aveva già lavorato sulla poetica di Nanni nella sua Tesi di laurea, poi pubblicata con il titolo Scrittura e movimento da Marsilio nel 74. Nanni era il poeta dell’operaismo secondo Bifo, e aveva ragione. Probabilmente esistono due declinazioni artistiche, in ambito operaista: quella negriana di Nanni, diciamo così, e quella trontiana di Francesco Matarrese (che insieme a Nanni partecipo alla dOCUMENTA di Kassel nel 2012). Sulle qualità di organizzatore culturale è invece intervenuto Toni Negri sul «manifesto», chiamandolo, giustamente, un imprenditore della moltitudine:

Abbiamo girato l’Italia per contattare amici intellettuali dispersi e mezz’Europa alla ricerca di un Osvaldo furioso, abbiamo lavorato insieme (un nuovo «meccano» balestriniano) a costruire AR&A – una piattaforma logistica, oggi si direbbe, per le mille imprese editoriali della moltitudine autonoma. Alfabeta nascerà anch’essa di lì.

Del resto Negri è sempre stato uno straordinario critico letterario, Nanni lo diceva spesso. E proprio a Nanni, quando scrisse Arte e multitudo, Negri dedicò una bellissima lettera sul costruire, che qui riproduciamo. Sugli sviluppi della poetica di Nanni ha scritto, invece, Ilaria Bussoni, accostando il suo lavoro a quello di Jacques Ranciere:

Così Balestrini, lo scrittore che ha raccontato l’epica delle insorgenze italiane tra anni Sessanta e Settanta, era solito liquidare il problema del rapporto tra arte e politica: la letteratura è affare di forma, non di contenuti.

Quando Nanni mi chiese di lavorare ad ab2 fu grande l’entusiasmo: la prima alfabeta, quella degli anni Ottanta, era stata per me un’esperienza formativa, come le pagine di Flash Art, e le puntate di Drive In. Ed entusiasmante fu quel dispositivo, quella macchinetta che eravamo riusciti a mettere su, fin quando durò. A un certo punto con Nanni non andammo più d’accordo e l’unica strada fu quella della rottura. Io e altri da una parte, Nanni e altri da un’altra parte: forza contro forza. Ne sentimmo lo strappo sonoro. Le cose sono andate così, Nanni poi non l’ho più sentito la mattina presto, né il pomeriggio tardi, per alcuni anni, fino a quando venne a leggere una sua poesia in un incontro sul ’68 alla Galleria Nazionale. Poi, quando la notte di domenica 19 maggio arriva un sms, Nanni è tornato, e si è fatto sentire: senza melodrammi, come sempre. Con tutta la durezza di un colpo ben assestato, e del rimorso che rimane. Ma il rimorso è una passione triste, e noi non sentiamo niente, nevvero Nanni? Ci pentiamo solo di non averlo fatto abbastanza.

Eppure quella sua impassibilità glaciale in un paio di occasioni l’avevo vista vacillare: una volta nei suoi occhi, quando mi parlò per qualche istante dell’accento straordinario di una ragazza che sarebbe dovuta venire a lavorare con noi: sentila al telefono, è tutta una musica! La seconda, sempre nei suoi occhi, quando sentimmo lo strappo e non ci intendemmo più. A Nanni devo molto e molto ho imparato sul lavoro culturale. Gli ho sempre voluto bene, anche se era uno stronzo! Non posso che dirlo così, essendo cresciuto negli anni del cuore di panna… Senza rimorso, forza contro forza. Non abbiamo avuto tutto, ma forse qualcosa sì. Nevvero? Ora ci aspetta la nuova vita che arriva.

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