Quando volete

Trama delle vite in(comuni):
passepartout, boudu e nontantoprecisi

kommunisten
Jean-Marie Straub, Kommunisten, 2014, distribuzione italiana boudu – Passepartout

Ecco, ora, si presenta la vita delle genti che vivono di questi nomi. Rivoluzione di ora, la chiamiamo. Ogni giorno ci incontriamo e proviamo e riproviamo gli sguardi che ci (ri)mettono al mondo. Sì, guardare è solo l’inizio, ma per cambiare da qualche sguardo bisogna prendere le mosse. E la vita cambia così come ci cambia. Arrovellati, avvoltolati sul tempo e sulle mille parole d’ordine che impongono la nostra esistenza alle nostre spalle. Qui stiamo, ci muoviamo, ci rivolgiamo. Ecco, eccoci.

Non ci affanniamo alla ricerca dell’atto creativo. Non riposiamo in attesa che un’intuizione venga a trovarci. Non pensiamo di dover creare per provare a sospendere l’infinita produzione di sfiniti io 

Non ci affanniamo alla ricerca dell’atto creativo. Non riposiamo in attesa che un’intuizione venga a trovarci. Non pensiamo di dover creare per provare a sospendere l’infinita produzione di sfiniti io. Lavoriamo alla ricerca. E questa è un fatto. Ecco, è. Ci aggrappiamo a questa cosa che chiamiamo corpo, che non solo conosciamo privo di organi, ma anche come prodotto e carcerato di e da questastoriainfame. È un fatto, il fatto, vistotoccatorespiratomangiatosputatosentito. È questa cosa, questo fatto che svuotato di sé, incontrato mi incontra prendendo con la sua la mia mano e la stringe. E stringe un dito, lo prende e lo ficca dentro, in fondo alla sua ferita e dico e dice della medesima avventura. Legati, sappiamo di essere. Non c’è altro che questo sapere di nostro. Vuoti ci muoviamo a riprendere la storia di noi. Mai persa. Non lo sapevo, non sapevamo di quanto fossimo necessari a noi. È un fatto poter vedere, aspettare, decidere quando: ORA! Prodotti pieni, proviamo svuotati perché da svuotati ci decidiamo. Scarti, eccedenze, anche se sempre produttivi in qualche tipo di ciclo. Svuotati, un fatto ci riannoda di e in uno spazio comune. In questo spazio provo la ricerca anche di un tempo. Sfiniti opponiamo l’inconsapevole opposizione dei corpi. Inconsapevole?

Ripartiamo da ciò che sappiamo di noi, e che non riguarda solo me, noi, qui e ora. Sguazziamo in questo mare di nostro sapere sempre nascosto, celato da qualche parte, ma sempre nostro essere. Lo abbiamo perso, lo perdiamo ma è li. Così ci dicono i nostri pezzi dartestoriafatti. Quest’esperienza che sappiamo non poter più essere fatta così come ci par essere. Questo sapere che va cercato e ricercato, fatto, disvelato e condiviso. Per me, per noi, sì. Sì, è solo celato, c’è sempre stato, sempre nascosto a noi dopo le sconfitte. C’è, perché non Ci è. Sfrontato, sfrontati urliamo per le strade silenziosi, la mia presenza: ecco il fatto. Ora!

Non dobbiamo aver paura a ricominciare a pensare, camminare, scrivere perché non abbiamo mai smesso di farlo. Siamo pezzi di storia che camminano, se solo lo vogliamo. Volerlo è l’opera. Ognuno di noi riavvolge sempre, incessantemente il nastro della propria storia. E lo legge, quel nastro, facendolo a brandelli. E i brandelli sono lì sparsi confusi (?) sul piano inclinato della nostra vita. Io, noi, sono, siamo, stato, stati. Il padrone, il prete, il medico, il delatore, il ruffiano mi dice, dicono: «metti a posto i pezzi. Mettili così è poi così». Ma io, noi sapevo, sapevamo o almeno ci pare e mi pareva che le cose non andassero proprio così e che in fondo non volevamo che andassero proprio così. Volevo, volevamo, Vogliamo, così, sempre, tutto! In verità pensiamo di non poterlo volere ma poi la ricerca disvela quello che già sempre è. Le storie lo dice, le dice.

Siamo noi i ricercati che si cercano e dicono e si dicono: quandovolete! ORA!! Il nostro tempo è quello opportuno, inevitabile perché di classe e di una classe di una storia mai sotterrate definitivamente 

Quei pezzetti disordinati presi uno a uno dal nascondino della nostra incoscienza, ci gettano la visione della ripetizione mai uguale, e solo il finale è fatto del sangue nostro. Sempre (?). Ebbasta! Siamo qui a dirlo, la nostra ricerca lo dice e lo chiede. Ebbasta! Sappiamo da quei brandelli che l’amor nostro non muore mai perché il nostro è di quella foggia che passa e trapassa in e da quell’orologio delle storie, dalle tante epochè dalle quali ogni volta riannodiamo la trama delle vite (in)comuni. Siamo noi i ricercati che si cercano e dicono e si dicono: quandovolete! ORA!! Il nostro tempo è quello opportuno, inevitabile perché di classe e di una classe di una storia mai sotterrate definitivamente. Colui che ha rappresentato e rappresenta l’in(s)finita vita lo ritroviamo, nella nostra ricerca, al bordo della nostra storie. Non sul frammento, ma tra i frammenti che così possono costituirsi come trama a(storica). Mai morto, mai solamente vivo, vivi, ai margini del bosco, pronto, pronti a ricominciare: «Ancora una, ancora una volta?». «Sì, non mi stanco mai, non mi stanca mai, il ritorno della nostre storia, viva, carsica, pronta a esplodere». È il bosco nostro, da lì proveniamo e lì ritorniamo al riparo, fino alla prossima esistenza, la più prossima, vicina di tempo e di densità.

Uno due, tre… siamo sempre più di uno, anche quando siamo o pensiamo di essere uno. E lo sappiamo. Ci siamo, nel senso di un essere, ancorché sempre precario e indefinito, che pone le sua vigoria nella certezza di ritornare tra e per mezzo di altri. Ancora oggi, domani, uno, due, tre…

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