Riscoprire i margini

Hans-Jürgen Krahl dentro e contro la Teoria critica

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Theodor W. Adorno e Hans-Jürgen Krahl a Francoforte (1968) - Foto di Barbara Klemm.

Sono rare le riflessioni capaci di anticipare una tendenza evitando al contempo il tono della previsione profetica. Esse sono ancora più singolari (e quindi preziose) in un campo come quello rappresentato dal marxismo occidentale, spesso ostaggio di una teleologia consolatoria. Il pensiero di Hans-Jürgen Krahl incarna perfettamente questa rarità e ricchezza e dunque merita, oggi più che mai, la (ri)scoperta che lo sta investendo. Allievo di Adorno all’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, militante della SDS durante gli anni Sessanta e tra i leader più presenti del movimento studentesco in Germania, Krahl ha avuto la sfortuna di morire per un incidente d’auto nel 1970, appena ventisettenne.

A distanza di cinquant’anni dalla sua morte e dalla pubblicazione postuma dei suoi scritti nel volume Costituzione e lotta di classe (edito dapprima in Germania nel 1971 e tradotto in Italia nel 1973), le riflessioni di Krahl tornano disponibili in italiano grazie alla cura di Nicolas Martino e Francesco Raparelli, e alla traduzione di Marina Montanelli. Martino e Raparelli hanno selezionato alcuni testi, composti da Krahl tra il 1968 e il 1970, e li hanno raccolti sotto un titolo che ben rappresenta l’orizzonte, insieme teorico e pratico, entro cui il tedesco ha sempre voluto muoversi: L’intelligenza in lotta (ombre corte, 2021).

Non meno indicativo è il sottotitolo, Sapere e produzione nel tardocapitalismo, anch’esso in grado di sintetizzare gli elementi fondamentali della riflessione krahliana – il sapere, la produzione, il sapere come produzione. I testi selezionati restituiscono pienamente la complessità e fecondità delle analisi di Krahl. È necessario, osservava l’allievo di Adorno alla fine degli anni Sessanta, estendere il concetto di produzione in direzione del general intellect di marxiana memoria. A partire da questo assunto Krahl riflette su una doppia necessità: ripensare in senso inclusivo le categorie di «classe operaia» e di «coscienza di classe» alla luce di una nuova forza lavoro «cognitiva», e sviluppare un nuovo rapporto tra teoria e prassi, in cui entrambi i termini siano in grado di misurarsi con l’evoluzione del modo di produzione capitalistico.

Non a caso, proprio su questi due aspetti si concentrano le critiche più serrate mosse da Krahl alla Teoria critica di prima e seconda generazione, leggasi Adorno e Habermas. Il primo imbrigliato dentro un «concetto dialettico di negazione» che lo «allontanava sempre di più dalla necessità storica di una oggettiva partigianeria del pensiero» (p. 67), tanto da condurre l’autore della Dialettica negativa in un rovesciamento dei presupposti stessi della teoria critica, ormai indistinguibile dalla teoria tradizionale (p. 70, «la sua [di Adorno] teoria è una figura invecchiata della ragione nella storia»). Il secondo, prigioniero di un neo-kantismo che lo conduce a elaborare un concetto di «prassi» in cui risulta impossibile la costruzione di quel «movimento reale» che, nelle intenzioni di Marx, si pone come obiettivo l’abolizione dello stato di cose presente («la miseria della teoria critica sta nella sua incapacità di porre la questione organizzativa. Pare che questa incapacità sia definitivamente oggettivata in Habermas, sfociando nell’ingenua proclamazione dell’unità di teoria e prassi nella strategia di un’alleanza liberale», p. 64).

Queste dure critiche, sommate alla precoce scomparsa, hanno finora relegato Krahl ai margini della Teoria critica «ufficiale», come ricordano Martino e Raparelli nella loro densa e ricca Introduzione e come sottolinea Detlev Claussen nella Postfazione che chiude il volume. Gli sviluppi teorici degli ultimi due decenni ricordano che proprio dai margini (geografici, culturali, temporali ecc.) provengono le intuizioni più utili per un’analisi del tempo presente che sia in grado di coniugare intelligibilità del reale e sua trasformazione. Il lavoro di scavo, recupero, e rimessa a disposizione delle riflessioni di Krahl appare, in questo contesto, ancora più utile e necessario.

Se da una parte, infatti, Krahl non ha avuto il tempo di rispondere a molti degli interrogativi che ha sollevato, dall’altra proprio «nell’elaborazione delle giuste domande è possibile avviare una ricerca fondamentale per tutti coloro che non smettono di desiderare la trasformazione radicale dell’esistente» (Martino, Raparelli, p. 19). In questo Krahl è stato e continua a essere un maestro.

 

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