Rivoltare il capitale umano

Domenico Antonio Mancini, Per una nuova teologia della liberazione #02 2011 (800x619)
Domenico Antonio Mancini, Per una nuova teologia della liberazione (2011)

Sono davvero contento di essere qui, con tanti studenti e stimati relatori. Nei giorni trascorsi ho riflettuto su quale contributo avrei potuto dare oggi, per presentare questo libro cosi ricco di stimoli, le cui tematiche toccano più scienze umane e sociali. Alla fine mi è sembrato utile fare un invito alla lettura, perché ritengo molto importante che leggiate Capitale disumano, la vita in alternanza scuola lavoro (Manifestolibri, 2018) che parla anche di voi e che quindi è un libro col quale potete confrontarvi in senso pieno. Questo invito parte da una semplice tesi, forse malferma, ma che credo possa aiutarvi nella lettura: «Il Capitale disumano è un libro di critica della sociologia e delle scienze sociali». Provo a spiegarmi meglio soffermandomi brevemente su tre questioni, per cosi dire, metodologiche.

La prima riguarda le teorie e i concetti tramite i quali sono articolate e può essere sintetizzata nell’assunto che le teorie sociali, e tra queste quella del Capitale Umano, non sono neutrali; come ogni teoria e concetto sono di parte. Abbracciare una teoria, quindi, non vuol dire fare scienza in termini universalmente intesi, ma prendere posizione pro o contro una determinata parte. In una famosa «Introduzione» Marx spiegava come la saggezza degli economisti borghesi consistesse in una dimenticanza (del contenuto storico delle categorie e dei concetti utilizzati), grazie alla quale questi grandi economisti classici riuscivano a dimostrare «l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti (…) che il capitale è un rapporto naturale eterno, universale» («Grundrisse» I,I). Tale universalità, possiamo dire oggi a partire dalla proliferazione semantica prodottasi dalla metà degli anni Ottanta del Novecento, è divenuta anche onnipresenza; il capitale, infatti, interviene attualmente anche in ogni campo della vita ed è riuscito a identificare ogni elemento dei processi produttivi e vitali nei termini del capitale: «capitale umano», «capitale sociale», «capitale ambientale», «capitale naturale», «capitale finanziario» e cosi via. Per avere una idea di quello che stiamo dicendo potete consultare un libro edito qualche anno fa dal Sole 24 ore, dove sociologi ed economisti di tutto rispetto discettavano sulle sostanze ed entità tipiche di questi nuovi tipi di capitale (A. Calabrò [a cura di], Il Capitale. Le nuove strade per lo sviluppo sostenibile).

Il lavoro di Roberto Ciccarelli, al contrario, non si lascia ingannare, non tralascia le differenze storiche che ci permettono di capire le specificità odierne rispetto al passato e ci ricorda, soprattutto, che il modo di procedere appena descritto è la madre di tutte le ideologie: considerare naturali, al di sopra del potere degli uomini, i fenomeni storici. Il Capitale Umano è la punta di diamante di questa ideologia che genera e favorisce condotte individuali e forme di vita adeguate a quanto prescritto dal credo neocapitalista. Il capitale umano, ci spiega egregiamente Ciccarelli, conquista la vita di tutti noi e la santifica a questo credo:

«Il capitalista umano non osserva più la disciplina basata sugli ordini, la morale e la colpa, ma segue i comandamenti della religione della responsabilità individuale, dell’iniziativa, della flessibilità e dei risultati concreti. E’ libero, ma deve controllarsi; è autonomo ma è subordinato al suo rendimento; è se stesso ma deve superarsi di continuò (p. 28)».

La seconda questione, per dirla con Foucault, citato più d’una volta insieme a Spinoza, Marx e altri importanti filosofi contemporanei, è che nel lavoro di Roberto Ciccarelli le parole non sono mai separate dalle cose; più precisamente, il capitale non è mai separato dai soggetti che lo animano. Questo, che ad alcuni può sembrare scontato, in realtà non lo è, e lo dico a ragion veduta dal momento che, quindici anni fa, quando affrontai il concetto di capitale sociale, le caratteristiche più noiose che incontrai nello studio della letteratura furono due: l’ampiezza del concetto, tale da far convivere realtà e fenomeni anche opposti o alternativi; la definizione del capitale sociale, nei termini di una sostanza incorporea che però proviene vive e agisce dentro le relazioni sociali. Un modo per rifuggire da simili fantasmi, scrivevo:

«è quello di individuare il cosiddetto capitale sociale a partire dai soggetti (individuali e collettivi) che lo costituiscono e non deduttivamente da determinate tradizioni e caratteristiche culturali (Sociologia e Ricerca Sociale, n. 65, 2001) un percorso di ricerca incentrato sull’analisi dei soggetti del capitale sociale; una chiave di lettura che, forse, permetterebbe di aggiungere qualcosa al tema senza dover parlare di sostanza e di entità» (Daedalus. Quaderni di storia e scienze sociali, n. 18, 2003-2004).

Perdonerete la digressione personale, mi è servita per comunicarvi che nel libro di Ciccarelli il concetto ha sempre il suo referente soggettivo (ed è giusto che sia cosi visto che il concetto di capitale è indicativo di un rapporto sociale): il capitalista umano, uno strano soggetto che è stato conquistato dalle leggi, valori e morali del capitale umano. Come scrive l’autore poche righe più avanti del brano riportato:

«Il Capitale umano è una pedagogia che guida dall’interno il soggetto e lo aiuta a distinguere i bisogni e i desideri dalle passioni e dagli interessi. Questa educazione è necessaria per rendere razionalmente prevedibile una condotta di vita facendo maturare la sua capacità di autogestione. A differenza del suo antenato greco – romano, il capitalista umano non è considerato un tiranno che impartisce una disciplina esteriore, repressiva e conformista, ma un agente neutrale che risponde al comandamento di essere libero» (p. 29)

E con ciò arriviamo alla terza questione per la quale possiamo affermare la nostra semplice tesi. Il Capitale disumano è un lavoro di critica delle scienze sociali perché riesce ad attualizzare un importante approccio teorico, quello della forza lavoro. Un approccio per il quale (avrete belle sorprese a leggere) anche voi studenti siete forza lavoro: questo è il messaggio politico del libro. E cosa vuol dire questo oggi che viviamo in una società che tende ad assumere la fisionomia stessa della scuola? Scopritelo con la lettura! Quello che posso dirvi, avviandomi alle conclusioni, è che il concetto di forza lavoro è stato fondamentale per cogliere una epoca storica, quella della società industriale, una società che è riuscita a produrre la ricchezza sociale (come mai prima nel passato) attraverso la gestione di un conflitto tra chi possedeva la proprietà dei mezzi di produzione e chi possedeva solo la propria capacità di lavoro. In questa società industriale la vita era organizzata in tre parti, 8 ore di lavoro, 8 ore di tempo libero, 8 ore di riposo. Adesso, nella globalizzazione capitalistica, queste tre parti si sono confuse e il tempo di lavoro tende a coincidere con il tempo di vita. Dal canto suo, Ciccarelli ci dimostra come il concetto di forza lavoro, opportunamente declinato al presente, sia in grado di cogliere anche l’attualità capitalistica, nella quale anche le attività un tempo svolte nel cosiddetto tempo libero riescono ad essere valorizzate economicamente.

Concludo con la strofa di una canzone appena pubblicata, che due grandi cantautori italiani hanno voluto dedicare e regalare alla vostra generazione: «qui si tratta di vivere non di arrivare primo e al diavolo il destino» (R. Vecchioni e F. Guccini, Ti insegnerò a volare). Il destino è quello che il capitale umano sta costruendo per voi, anzi per tutti noi, nella long life learning e che è il caso – come ci indica il prefisso dis nel titolo del libro – di mandare al diavolo, ossia di rifiutare e rivoltare.

Intervento in occasione della presentazione del libro Il Capitale Disumano. La vita in alternanza scuola lavoro, di Roberto Ciccarelli, al Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre.

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