Roma città aperta da Short Theatre
Acabadabra e altre storie settembrine
Torna settembre. Blue September, suonerebbe il nostro Maestro Anders Trentemøller: Do you remember/Not so long ago/The endless summer. Ma per fortuna, qui a Roma, a un mese dalle elezioni municipali e comunali, torna anche Short Theatre, con la sua sedicesima edizione, dal 3 al 13 settembre, per il visionario festival internazionale dedicato alla creazione contemporanea e alle performing arts, disseminato nella città, in relazione e risonanza con luoghi e realtà attive nel tessuto sociale e culturale cittadino: WEGIL e La Pelanda–Mattatoio di Roma, il Teatro Argentina, il Teatro India, il Teatro del Lido di Ostia, quindi altri spazi urbani, per una ripresa e condivisione degli spazi pubblici, dentro – e si spera quanto prima oltre – questo anno e mezzo di pandemia e sindemia globale.
Roma città aperta alle arti e alla vita
Sicché l’edizione del 2021 è la prima con la direzione di Piersandra Di Matteo – ricercatrice, studiosa e curatrice nel campo delle arti performative, da oltre un decennio dramaturg e collaboratrice teorica di Romeo Castellucci – che è stata affiancata dall’oramai storica precedente direzione di Francesca Corona, attualmente direttrice del Festival d’Automne di Parigi, anche per recuperare alcuni progetti previsti per la scorsa edizione, posticipata a causa del CoViD-19, in un passaggio del testimone fatto di dialogo, condivisione, comunanza. Nello spirito comune di diffondere nell’urbe momenti ed eventi di produzione artistica, immaginazione sociale e provocazione culturale, fomentando una Roma città aperta alle arti e alla vita, finalmente, di nuovo! Dove tornare a praticare l’idea del teatro, del bar, del caffè, dello spazio pubblico e sociale senza porte, per respirare e cospirare assieme, in cura e sicurezza reciproca, sconfortati da quest’anno e mezzo di solitudine pandemica e allora evocando le pratiche collettive dell’asilo, dell’ospitalità, della mescolanza, un po’ come Alberto Savinio ci presentava gli storici spazi sociali aperti ai viandanti, dal Bar Pedrocchi in giù, in Ascolto il tuo cuore, città (1944).
Le nostre serate settembrine
Perché, da oltre un quindicennio, uno tra i molti intenti di Short Theatre, è quello di portare e magari trattenere le artiste e gli artisti a Roma, per farli e farci sbocciare, evolvere, dando loro, e a noialtre tutti, sole, aria, vento, ossigeno, l’azzurro del cielo e spazi pubblici dove incrociare i frammentati collettivi di teatranti, artiste, musicanti, performer, dj e remixer, poeti e poetesse dispersi negli scantinati romani, per accogliere in centro e non solo, la notte, tutte le sere e le notti di questa prima parte di settembre, provando a scassinare dall’interno l’assedio mentale, culturale, esistenziale tra centro e periferia, arti maggiori e minori, impegno e svago, teatro e performance, tempo libero e tempo perso, effimero e duraturo, lavoro e non lavoro, (in)operosità e (in)attività.
La programmazione del festival è ricchissima e irriducibile, da scoprire come meglio si preferisce qui. Per quel che si può, si approfitta per segnalare tre incontri.
Il talk di domenica 5 settembre alle ore 18 al WeGIL con Ilenia Caleo, Annalisa Sacchi e Giada Cipollone che presentano In fiamme (dagli anni Sessanta), cosa brucia ancora, occasione per parlare del volume collettivo In fiamme. La performance nello spazio delle lotte (1967-1979), b-r-u-n-o editore, Venezia, 2021, di cui torneremo ad occuparci qui su OperaViva Magazine.
Il talk dell’11 settembre presso il Teatro India, in cui la redazione di err. Scritture dell’imprevisto incontra Motus: dare fuoco. Quindi la perfomance della sera di domenica 5 settembre, ore 20, appositamente pensata da Cosimo Ferrigolo, Gaia Ginevra Giorgi, Edoardo Lazzari del collettivo Extragarbo, per attraversare gli spazi razionalisti della ex casa della Gioventù Italiana del Littorio, capolavoro progettato dall’allora ventiseienne Luigi Moretti (nel 1933), a Trastevere, in Largo Ascianghi 5, di fronte al morettiano (nel senso, in questo caso, del cineasta Nanni Moretti) cinema Nuovo Sacher, come prototipo anticipatore del razionalismo in salsa italiana che devierà nel brutalismo, passando alle successive Casa delle Armi al Foro Italico, quindi villa Saracena a Santa Marinella, per chiudere con il parcheggio di Villa Borghese. E nelle ampie e spaziose stanze progettate dal giovanissimo architetto che mai rinnegò il fascismo – da ex-GIL a WeGil, ora a Cratere di Short Theatre – ci faremo guidare nel contrappasso di suoni, lingue, parole che sovvertono i mille piani spazio-temporali e sin dal titolo inventano il magico ritornello Acabadabra, assecondandone uno più celebre, riprendendo l’1312 disseminato nei graffiti metropolitani di un’insubordinazione all’ordine costituito che è poi divenuta libri, film, musica, immaginario, ritualità. E allora ecco una sorta di introduzione a questi suoni/visioni-mondo che ci accoglieranno la sera di domenica prossima nel cuore trasteverino, algido e marmoreo, un tempo papalino e pacioso, ma da sempre brulicante e negromantico. Mentre in sottofondo rileggiamo Les Litanies de Satan nel bicentenario della nascita dell’eterno ribelle in guanti rosa Charles Baudelaire (1821-1867) che diventano The Litanies of Satan (1982) del primo disco della madre di tutte le nostre sonorità Diamanda Galás, quasi un trentennio fa? Chissà!
ACABADABRA
Cosimo Ferrigolo, Gaia Ginevra Giorgi, Edoardo Lazzari per Extragarbo1 – 5 settembre, ore 20-22.30, Cratere_WeGIL
ACABADABRA è una negazione affermativa cospirante, una collisione che profana la centralità razionalista dell’architettura che la ospita.
Venti sotterranei invadono lo spazio fisico dell’ex casa della Gioventù Italiana del Littorio (ex-GIL) di Trastevere che, avvolta e animata da turbini sonori, si trasforma, attraverso un processo alchemico metropolitano, in una pratica negromantica saturnale. L’esperimento assume la funzione di buco nero che catalizza e porta al collasso la struttura marmorea dell’edificio, opera un passaggio dimensionale che ribalta i confini disfacendone la solidità, vaporizzandone la materia per renderli permeabili ad altri mondi.
Il processo compositivo del lavoro si articola per citazioni, saccheggi e trasfigurazioni dal reale, convocando i segni linguistici iscritti nel testo urbano, affinché da essi emergano gli spettri di ciò che sarà. «La creazione di mondi, intesi come ecosistemi in cui la narrazione diviene parte integrante dello spazio di interazione, è una pratica volta a decostruire i codici di uno specifico ambiente per poterlo riconfigurare mediante elementi provenienti da ambiti differenti»2.
La convocazione di suoni-mondo non si limita a svolgere una funzione, ma diviene tramite attivo di un’operazione drammaturgica alchemica, inaugurando un codice privo di confini delimitati, composto di più centri e in continua trasmutazione. Come relazionarsi con i segnali, con i luoghi infestati? Come dare risonanza alle voci degli spettri? Come sconvolgere la soglia e permettere al fuori di invadere il dentro? Come relativizzare il centro moltiplicando le cosmologie periferiche?
A Roma inauguriamo una pratica di indagine poetico-urbana che tradisce lo spazio del visibile traducendolo in nuove cartografie affettive e occulte. Per mezzo di mappature sonore e traduzioni poetiche di archeologie urbane fantastiche, desideriamo produrre un’antitopia situata, che scardina la geografia come dispositivo di controllo centralizzato – dove il ruolo non neutrale dell’osservatore è generatore di realtà. Nel vuoto-pieno di uno spazio invertito l’esperienza del luogo si dà come percezione immersiva in movimento.
Dopo quattro passi mossi oltre la soglia, le pupille si restringono, investite dalla corporeità massiccia della luce. Una volta entrati nella navata centrale – il Salone d’Onore – il biancore assoluto di ogni superficie è accelerato dagli immensi ordini di vetrate che costituiscono i lati lunghi dell’edificio. La trasparenza conferisce alla struttura un valore di permeabilità. La luce che permea i volumi interni dell’edificio innesca relazioni capaci di conferire agli spazi una certa densità. Su questi muri, infatti, le tracce di ciò che fu uno fra i più giganteschi esperimenti di educazione di Stato che la storia ricordi, sono ancora impresse in modo indelebile.
ACABADABRA convoca oggi nuove tracce, quelle del fuori, facendo sì che i segni senza autore della città odierna, la voce inscritta sui suoi muri senza autorizzazione né progetto, irrompano nell’edificio proprio attraverso la sua caratteristica permeabilità, al fine di invertirne il senso. L’irruzione di un’alter-città decentralizzata terremota la teoria della «città corporativa» di stampo fascista in favore del regno del caos, del negativo urbano, della periferia che si staglia senza limite dentro e oltre il cerchio magico del Grande Raccordo Anulare. «Il nuovo solco scavato dal GRA […] ribalta tutti i dogmi su cui la Roma quadrata fonda: il tracciato assume la forma geometrica del cerchio, il limite viene meno alla sua missione per diventare esso stesso nucleo e centro, la compattezza del pomerium [il confine sacro] lascia il posto a una città che si sfrangia e si sbriciola, si espande ed esplode»3. Questa «non-città», patria senza dimora di un futuro infestante, prolifera lontana dal Progetto, dallo schema gerarchico dell’autore demiurgo, al punto da ritorcere la propria vettorialità centrifuga, ramificandosi nel ventre della città vecchia, alla conquista intestina del Centro. Ma «Tali territori risultano difficilmente intellegibili [e] la loro conoscenza non può che avvenire per esperienza diretta, possono essere testimoniati piuttosto che rappresentati, l’archivio di tali esperienze è l’unica forma di mappatura dei territori attuali»4.
Così ACABADABRA contiene al suo interno un viaggio, che si esprime attraverso brandelli sonori strappati al tessuto urbano di alcune periferie romane. I materiali raccolti costituiscono gli elementi funzionali all’elaborazione di una ricetta magica, da mescolare e far ribollire nel calderone- CRATERE_WEGIL. E l’edificio trasmuta, divenendo un laboratorio e al contempo un oggetto alchemico: il luogo dove avviene l’esperimento e l’esperimento stesso, nel suo processo di trasformazione.
Note
↩1 | Extragarbo è una piattaforma di creazione artistica e curatoriale che opera nelle arti performative. Nasce nel 2019 dall’alleanza e dalla collaborazione multidisciplinare tra sei artist_ con base a Venezia. Intrecciandosi tra loro, in questo progetto entrano in campo le diverse attitudini di tre dei suoi membri: Cosimo Ferrigolo è artista del recupero, scenografo e light designer, Gaia Ginevra Giorgi è poeta, sound-artist e performer, Edoardo Lazzari è curatore indipendente, ricercatore, traduttore ed educatore nel campo dell’arte. |
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↩2 | D. Tolfo, N. Zolin, Make worlding, not babies!, in «Not», 9 aprile 2021. |
↩3 | V. Mattioli, Remoria. La città invertita, minimum fax, 2019, p. 23. |
↩4 | Stalker, «Stazioni. Paesaggi e passaggi nei territori del transito», in P. Desideri, M. Ilardi (a cura di), Attraversamenti. I nuovi territori dello spazio pubblico, costa&nolan, 1996, p. 185. |
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