Un’analisi del risultato elettorale, dal trionfo del populismo al fallimento del renzismo.
Perversioni elettorali*
L'offerta al ribasso accolta dalle working class
Per certi versi è andata come era prevedibile che andasse. Due forze politiche, MoVimento 5 Stelle e Lega, si attestano oltre il 50% dei consensi elettorali speculando sulla inettitudine e dabbenaggine di latitanti classi dirigenti e sulle paure e insicurezze di una società per la gran parte saccheggiata, impoverita e invecchiata malamente. È la vera faccia di quel rigoglioso e virtuoso «popolo del NO» che nel dicembre 2016 aveva sanzionato Renzi, la sua revisione costituzionale e il Pd oramai «incontestabilmente di destra» e nel marzo 2018 sancisce la fine definitiva di ogni sinistra possibile in Italia, tanto pseudo-socialdemocratica, senza socialismo, quanto tardo-movimentista, senza movimento. Verrebbe da dire: ben fatto, «partigiani della Costituzione» a lungo osannati nelle bolle social-virtuali tanto dei sedicenti socialisti che dei sedicenti movimentisti! Ma sarebbe ingeneroso.
Eppure che il M5S procedesse nella sua invincibile scalata per diventare maggioritario era iscritto già nella dichiarazione post-elettorale 2013 del suo inventore Beppe Grillo: «Alle prossime elezioni, non sappiamo quando, saremo la maggioranza assoluta del Paese». Ancora uno sforzo, la strada sembra in discesa. Da tempo la guida politica e amministrativa del M5S sembra indicarci un paio di cose, rinomate, ma che vale la pena ribadire.
Da un lato, occupa quel «vuoto» nella rappresentanza politica che si è creato dentro un decennio di diffuso impoverimento (economico, culturale, sanitario, sociale, relazionale…) di quelle ampie e incerte «classi popolari», e di quel che rimane del «ceto medio», che al momento non può che essere occupato da un movimento/partito post-ideologico, interclassista, qualunquista, giustizialista e ossessionato da una visione onnicomprensiva di «legalità». In quella permanente dialettica tra «noi» bravi, contro «voi» casta; del «basso» sempre onesto, contro l’«alto» sempre corrotto; della denuncia moralistica del «capro espiatorio» che può indifferentemente essere il capitalista dell’eterno complotto «pluto-giudaico-massonico», il disgraziato e approfittatore migrante ospite dei «taxi del mare», fino al cittadino ignaro e servo sciocco delle multinazionali farmaceutiche. Un plumbeo gioco al ribasso che sembra aizzare i peggiori istinti dell’eterna guerra degli ultimi contro i penultimi.
Dall’altra, la dirigenza (sempre sia politica, che amministrativa) del M5S spinge da tempo per una accelerazione post-democratica delle istituzioni repubblicane, insistendo sull’uso di piattaforme digitali proprietarie ad accesso controllato come unico luogo di «partecipazione democratica» e di trasparenza nei confronti dei cittadini. È un cambiamento di paradigma quello governato dall’alto del duo tecno-comunicativo Casaleggio jr./Beppe Grillo che alcuni rintracciano nel solco di un Digital/Web Populism, ma che a me fa ripensare alle pagine preveggenti del compianto Stefano Rodotà sull’«eclissi della democrazia pluralistica» e la fine dei tradizionali spazi pubblici, dinanzi a una democrazia plebiscitaria di nuovo conio, a metà tra sondocrazia permanente, democrazia del tinello e galvanizzazione digitale delle masse.
Del resto la classe dirigente pentastellata è sospesa tra inviti al grande studioso di media e comunicazione Derrick de Kerckhove (che in una pagina di Psicotecnologie connettive, 2014, parlando del blog di Beppe Grillo curiosamente si sofferma sui pericoli del fascismo elettronico) e ascolto delle infinite chiacchiere telefoniche con Rocco Casalino, già protagonista del primo Grande Fratello italiano e da tempo al vertice della comunicazione del M5S. Chiacchiere che mi è capitato di sopportare in sottofondo per diverse domeniche mattina, frequentando lo stesso baretto al Flaminio dal quale Alessandro Di Battista chiamava, spesso affranto e preoccupato, il succitato Rocco. A meno che non fosse un altro Rocco, ma dubito.
Qui stiamo oggi, prossimi alla primavera 2018, in un “mischione” tra utopie di algidi visionari digitali e distopie che coinvolgono i perdenti della globalizzazione, in un clima di solitudine e incertezza che dilania classi popolari sempre più povere, vero blocco sociale di queste forze politiche
Qui stiamo oggi, prossimi alla primavera 2018, in un mischione tra utopie di algidi visionari digitali e distopie che coinvolgono i perdenti della globalizzazione, in un clima di solitudine e incertezza che dilania classi popolari sempre più povere, vero blocco sociale di queste forze politiche. Clima e condizioni sociali sulle quali fiorisce la nuova Lega di Matteo Salvini, marginalizzata nel 2013 e protagonista nel 2018, proprio grazie al senso comune che è riuscita ad imporre sul bisogno di ordine e controllo, fondandolo sul rifiuto del diverso (a meno che non sia a lavoro nei nostri capannoni e terre) e dell’Europa finanziaria e multiculturalista (a meno che non sia il libero mercato dei nostri produttori). È anche probabilmente vero che ci siano motivazioni economiche di blocchi sociali impoveriti, pronti a credere alla flat tax della Lega nel Nord industrioso e al reddito di cittadinanza dei 5 Stelle nel Sud creativo, la qual cosa dovrebbe interessare chi da tempo ragiona sulle trasformazioni del lavoro e del fare impresa, tra informalità e nuovi processi produttivi, autorganizzazione socio-economica ed economie circolari, per un fisco più equo e un reddito di base intesi anche come motori di innovazione e inclusione.
Da qui si potrebbe ripartire, qualora ci fossero ancora soggetti in carne ed ossa disposti a fomentare processi di emancipazione individuale e solidarietà collettiva, con nuove ecologie politiche e inedite cooperazioni sociali in grado di promuovere forme degne di una buona vita in comune. Ma bisognerà farlo cambiando mentalità e abbandonando definitivamente le retrotopie e il rancore che da troppi decenni pervadono il corpo sfibrato e ceruleo di quella che un tempo abbiamo conosciuto come sinistra politica e sindacale italiana.
PS
PS. (Superando il limite di battute che mi ha dato la redazione e parlando ad amici, però pubblicamente): Al momento sembrano latitare, o lavorare sotto traccia, questi soggetti già calati nel cambiamento che stiamo vivendo, eppure bisognerebbe andare loro incontro, per farci spiegare e capire qualcosa di quello che ci accade. «Ascolto il tuo cuore, città» e quello delle persone che lo abitano e lo fanno battere. E allora proprio per questo mi rivolgo, simbolicamente, a due amici che sono sicuro non si offendano se li tiro in ballo perché ambedue autocritici: uno sicuramente anche autoironico, Pippo Civati, l’altro sicuramente disposto a mettersi in discussione, Christian Raimo. Amici di lunga data, anche se negli ultimi tempi ci si è frequentati poco, li prendo ad esempio dei tanti loro e miei colleghi intellettuali, ricercatrici, militanti, giornaliste, etc. che non nomino, perché magari li urterei, ma che compongono quella infinitesimale bolla sociale virtuale nella quale sono immerso e che mi restituiva un corpo elettorale all’80% equamente diviso tra votanti LeU e PaP, tutti più o meno convinti che i due partiti si muovessero intorno al 7-8% l’uno, intorno al 3% l’altro.
Cari Christian e Pippo, il primo votante convinto di PaP, il secondo artefice temo disincantato di LeU, si potrebbe decidere insieme di lasciar perdere per un periodo di tempo quei meravigliosi post che scrivete per la vostra-nostra base acclamante, così come le comparsate televisive in contesti edificati da altri e andarcene più spesso in giro insieme, magari solo disposti a vedere ed ascoltare, nei centri per l’impiego, allo stadio, al ricevimento dei professori, girando per i corridoi delle scuole dalla parte dei genitori, oltre che dei ragazzi, e non solo dei prof., nei baretti e trattorie di paeselli e quartieri che assai poco conosciamo, ai concerti dove vanno i nostri figli e sorelle e fratelli minori? Lo dico senza retorica populista, né con la postura trombonesca del tornare ai territori, ricominciare dalle lotte, imparare dalla società civile, ma come piccolo esempio che potremmo dare anche alle altre e agli altri opinion maker delle nostre bolle reali-virtuali, perché negli ultimi tempi, leggendovi e sentendovi, mi trovavo sempre meno d’accordo, non tanto e forse non solo nei contenuti, ma soprattutto nella postura che appariva di una eccessivamente saccente convinzione da maestrina dalla penna blu, che in realtà voi interpretate meno di altri, ma prendo voi come esempi, per il carattere che avete ed essendo miei amici, che le/gli altri potrebbero offendersi, ecco. Perché abbiamo tutti contribuito ad avvelenare i pozzi del dibattito pubblico, reale e virtuale.
Propongo queste cose a voi, ora, ma è come se parlassi al me stesso”di qualche lustro fa, che comunque ebbi la fortuna di fare movimento in una fase più entusiasmante e forse anche più immersa nei cambiamenti che stavano avvenendo, rispetto a quest’ultimo lustro precipitato in un gorgo senza fine di miseria. Eppure fallii e fallimmo senza appello, anche io e noi. Però eravamo abbastanza entusiasti nell’immergerci in una società che non era mai del tutto sovrapponibile alla sua rappresentazione politica. E forse potrebbe essere così anche ora.
Evidentemente propongo questo viaggio in Italia con un certo interesse a scroccare qualche discreto pasto e buon bicchiere di vino che non lesinerete, ne sono convinto (l’impoverimento ha coinvolto anche me), ma soprattutto con la convinzione che solo recuperando una certa empatia con le persone concrete, che sono dentro, a volte subiscono, altre producono le trasformazioni sociali, si può provare a indirizzare per il verso giusto questi cambiamenti, nel senso di quella maggiore solidarietà tra i molti e autodeterminazione di ciascuno evocata in precedenza. Partendo dalle possibilità di una simpatia che si instaura inizialmente tra simili e poi procede per generosità tra diversi, senza rimanere isolata in bolle virtual-reali autoreferenziali e ben sapendo che ci sarà da odiare i nazisti dell’Illinois (e di dietro casa nostra), il machismo violento e la grande malavita organizzata, ma anche da amare le tante persone oramai abituate a sentire solamente i richiami ferini che li circondano, eppure forse disposte ad essere protagoniste di vite migliori di quelle toccate loro in sorte, rifiutando di continuare a sopravvivere in solitudini troppo silenziose e nel sordo rumore del loro rancore.
* Le mie sporadiche affermazioni, rare e brevi in questi ultimi anni, volevano essere completamente inaccettabili, da principio soprattutto per la forma e più tardi, approfondendosi, soprattutto per il contenuto (remix e detournamento da una citazione contenuta in G. Debord, Panégyrique I, 1989).
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