Sulla fondazione dell’Eventualismo
Un convegno sull'avanguardia sperimentale
Domani si inaugura al Museo Macro di Roma il convegno Underground Eventualista – La ricerca estetica in Italia 1972-2019. Sette incontri, a cura di Miriam Mirolla, per delineare una mappatura aperta dell’eventualismo, incontrare i protagonisti storici ed esaminare l’apporto delle nuove generazioni. Per l’occasione pubblichiamo la relazione di Sergio Lombardo, il fondatore dell’eventualismo, che aprirà il convegno oggi, martedì 8 gennaio alle 17.00 (via Nizza, 138) Qui il calendario completo degli appuntamenti.
1. Il contesto artistico romano prima del 1964
Dopo il Trattato di Roma del 1957 e nei primi anni Sessanta Roma era immaginata come una capitale culturale in grado di far rinascere un’Europa quasi rasa al suolo dopo la seconda guerra mondiale. Roma era un mito internazionale, un palcoscenico carico di storia in cui tutti venivano a respirare l’aria della decadenza e della rinascita, a sondare l’immaginario di un futuro «democratico» ancora tutto da costruire. Erano gli anni del «boom» economico e della «dolce vita».
Sulla scena romana, grazie all’intelligenza, alla personalità e al coraggio di Palma Bucarelli, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma svolgeva un ruolo di primo piano nel campo dell’avanguardia internazionale. A Roma inoltre operavano nella ricerca d’avanguardia: la galleria La Tartaruga, gestita da Plinio de Martiis, la galleria La Salita, gestita da Giantomaso Liverani, e la cattedra di Storia dell’Arte Moderna dell’Università La Sapienza, retta da Giulio Carlo Argan. Ma la cultura ufficiale odiava l’avanguardia internazionale e si stringeva compatta intorno al Realismo Socialista. La mia prima mostra risale al Premio Cinecittà nel 1958 in cui conobbi Lo Savio, Schifano, Mambor e Tacchi. Gli organizzatori della mostra erano membri del Partito Comunista, che all’epoca gestiva la cultura italiana: Venturoli, Micacchi, Mazzullo, Del Guercio e Morosini. Del Guercio esordì nella conferenza stampa inaugurale dicendo che i miei quadri (Monocromi) erano stati esposti solo «per far vedere come non si deve dipingere». Mi invitarono esplicitamente ad abbracciare il Realismo Socialista altrimenti la mia carriera artistica sarebbe stata stroncata, i miei quadri sarebbero stati scartati da ogni mostra pubblica, dato che io, secondo loro, ero «un nemico di classe» (Fagiolo dell’Arco 1993). Poco dopo mi avvicinai a quella che poi sarebbe stata la Scuola di Piazza del Popolo, conobbi Plinio de Martiis, i suoi amici americani Leo Castelli ed Ileana Sonnabend, insieme a molti artisti internazionali, fra cui Marcel Duchamp, Tristan Zara, Andy Warhol. La cultura ufficiale italiana (che sarebbe stata gestita dal partito comunista per altri quarant’anni) ci ignorava, considerandoci quasi «sovversivi». L’accostamento del mio lavoro alla Scuola di Piazza del Popolo e alla galleria La Tartaruga riguarda, però, esclusivamente il periodo che va dal 1958 al 1964, stancamente protratto fino alla mia personale del febbraio 1966. In quel periodo formai il gruppo «Lombardo, Mambor, Tacchi» che l’8 aprile del 1963 presentai sotto forma di tre personali (Lombardo 1963), dando un notevole impulso avanguardistico alla linea della galleria La Tartaruga. Cesare Vivaldi nel 1965 scrisse «Sergio Lombardo apparve due o tre anni fa in una mostra alla Tartaruga di Roma… Le sue sagome nere su fondo bianco ebbero un considerevole effetto shock sulla giovane pittura romana» (Vivaldi 1965). Alla Scuola di Piazza del Popolo si percepiva chiaramente la competizione fra Roma, che rappresentava l’Europa, e New York, che rappresentava gli Stati Uniti d’America (Vivaldi 1963). Infatti, all’inizio degli anni ’60 Plinio de Martiis aveva ricevuto la proposta di entrare in società con Leo Castelli e Ileana Sonnabend per lanciare da Roma quella che poi sarebbe stata la Pop Art americana, ma Plinio, che non voleva farsi condizionare dalla potenza economica e politica americana, non accettò. Questo rifiuto ebbe conseguenze importanti per la Scuola di Piazza del Popolo. Ileana in seguito si avvicinò alle gallerie torinesi, dove, anche per suo impulso, alcuni anni dopo sarebbe nata l’Arte Povera. Plinio non amò mai l’Arte Povera, infatti, nel 1967, per dimostrare quanto fosse superficiale quella corrente artistica, ideò il «Teatro delle mostre». Quando Plinio mi invitò a partecipare, mi disse che faceva quella manifestazione per dimostrare che: «Di mostre come quelle che fanno a Torino se ne può fare una al giorno», perciò non volli partecipare. Già dopo la Biennale di Venezia del 1964 Plinio aveva perso l’entusiasmo per l’avanguardia. La Biennale aveva ribaltato in favore degli Stati Uniti la precedente supremazia europea sul mercato dell’arte e sulla cultura internazionali. Da allora iniziò il declino della cultura di vecchio stampo europeo, che si rivelò sempre più debole di fronte alla pervasività del mercato globale americano gestito anche come arma da guerra (Cockcroft 1974, Paterson 1979, Eudes 1982, Guilbaut 1983, Stonor Saunders, 1999).
2. Il contesto artistico romano dopo il 1964
Per reazione alla decadenza del primato europeo, dopo il 1964 Plinio e la critica ufficiale romana abbandonarono progressivamente la competizione all’interrno delle avanguardie internazionali, ritirandosi polemicamente nel Primitivismo, nell’Anacronismo e nel Passatismo (Lombardo 1990, 2014). A causa di questo voltafaccia teorico ed estetico, dopo il 1964 il mio rapporto con Plinio iniziò ad incrinarsi ed il gruppo della Scuola di Piazza del Popolo si disperse. Il continuo tentativo della critica romana di reinterpretare i miei lavori del 1961-’64 come «figurativi» e di volerli ricondurre all’interno di «antiche tradizioni» poetiche nazionali, mi faceva orrore. Ritirai e nascosi (Di Stefano 2004) tutti i miei quadri colorati che Cesare Vivaldi leggeva come figurativi e li trovava «ribollenti di passione pittorica» (Vivaldi 1964), quando invece io adottavo l’astinenza espressiva dipingendo secondo un programma concettualmente predeterminato. Cesare Vivaldi, quando vide i «Supercomponibili» geometrici che esposi alla galleria La Salita scrisse che avevo «bruscamente sterzato» (Vivaldi 1968). In realtà, quando dopo il 1964 Plinio de Martiis volle abbandonare l’avanguardia per tornare all’Anacronismo e alla tradizione poetica decadentista, mi distaccai dal gruppo della Scuola di Piazza del Popolo per non soggiacere all’interpretazione neopassatista, in chiave antiamericana, che con Plinio, anche Calvesi, Vivaldi, Fioroni, Festa, Schifano, Angeli e Ceroli stavano adottando. Il pensiero anacronista di Plinio influenzò Ceroli, Giosetta Fioroni, Schifano, Festa e Angeli. Al contrario la mia ricerca verso un’ulteriore apertura dell’avanguardia era condivisa da Kounellis, Bignardi, Pascali e Mattiacci. Insieme abbandonammo La Tartaruga e ci avvicinammo a L’Attico di Fabio Sargentini, che subito organizzò una mostra al Museo di Wiesbaden in Germania: «Bignardi, Kounellis, Lombardo, Mattiacci e Pascali» (Boatto 1968). Poco dopo Kounellis e Pascali, confluirono nell’Arte Povera, quindi formai un nuovo gruppo con Maurizio Mochetti ed Ettore Innocente e mi rivolsi alla galleria La Salita di Giantomaso Liverani, dove esposi i Supercomponibili (1967, 1968), la Sfera con Sirena (1969), i Progetti di morte per Avvelenamento (1970), i Concerti Aleatori (1972) e gli Esperimenti di Psicocinesi con il lancio di dadi (1974).
3. Nessuno spazio per la ricerca
Nel 1972 ormai l’arte «americana» (Pop Art, Minimal Art, Land Art), si era imposta in tutto il mondo e la storia dell’arte si faceva e si scriveva in America. Perciò il problema degli artisti era quello di inserirsi nel mercato globale, o isolarsi. Per me si imponeva la scelta se aderire all’Arte Povera, vista come ricostruzione politica di un’arte «italiana» (national) da inserire nel mercato globale – le lettere da parte di Germano Celant (1968-1971), però non mi avevano convinto – oppure proseguire isolatamente la mia ricerca nata come autonoma evoluzione scientifica dell’avanguardia futurista. Non che io fossi rimasto indifferente alla ricerca americana, che anzi amavo, ma c’era un problema di autonomia dell’arte e io non potevo accettare la supremazia del mercato finanziario sulla teoria e sulla cultura. Una supremazia scientificamente pianificata e perseguita dalla politica statunitense (Skinner 1963, Skinner et al. 1970). Inoltre il sistema dell’arte americano si era rivelato poco disponibile verso l’arte «italiana». Ad esempio, a New York la mostra «Young Italians» (Pistoletto, Paolini, Castellani, Kounellis, Pascali, Lo Savio, Lombardo, Bonalumi, Grisi, Mambor, Ceroli e Adami) organizzata nel 1968 proprio da Alan Solomon, lo stesso curatore che nel 1964 aveva presentato l’arte americana alla Biennale di Venezia, era stata astiosamente stroncata sul New York Times, determinando la fine dei nostri giorni di gloria (Canaday 1968). Il problema non era banale, perché, qualora avessi scelto di aderire al mercato, avrei dovuto aderire alla richiesta di merce esteticamente orientata secondo il gusto delle gallerie d’arte, ma non c’era nessuna galleria, o istituzione, che finanziasse, o sostenesse, la ricerca sperimentale. Anche se in quel periodo iniziavano a nascere teorie orientate scientificamente, come il Concettuale o il Fluxus, io non mi legai alle gallerie internazionali. Inoltre, essendo io stesso un teorico dell’arte, mai avrei potuto diventare l’esecutore di una committenza altrui. La stessa Ileana Sonnabend, che era disposta ad esporre il mio lavoro, mi chiedeva 600 quadri da regalare ai musei prima di iniziare un rapporto commerciale, un rapporto che mi avrebbe vincolato per sempre allo stile richiesto dal mercato. Ovviamente, fra le due alternative scelsi di proseguire la mia ricerca, abbandonai il mondo dell’arte e mi avvicinai a quello universitario. Ero sostenuto solo dai consigli di Palma Bucarelli che, ormai anche lei isolata, si era vista bocciare la proposta di far acquistare alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna la mia Sfera con Sirena. In Italia per l’arte di ricerca non c’era più spazio. Alla Biennale di Venezia del 1970, la mia sala personale «7 Sfere con Sirena» era stata proposta per il premio, ma all’ultimo momento la Commissione decise di abolirlo (Lombardo 1975). Nel 1971, nella mostra Italienische Kunst Heute organizzata da Palma Bucarelli a Vienna, due delle opere esposte – Progetto di morte per avvelenamento di Sergio Lombardo e Merda d’artista di Piero Manzoni – vennero contestate dal Parlamento italiano con interpellanza del 01/04/1971 (Bernardi 1971). Palma Bucarelli, che aveva fatto conoscere l’avanguardia italiana degli anni Sessanta a tutto il mondo, fu messa sotto accusa e il suo prestigio cominciò a scemare, mentre avanzavano il Postmoderno e l’Anacronismo.
4. La trasformazione del mio studio in laboratorio sperimentale aperto dal 1972
In controtendenza, continuai a fare ricerca, malgrado fosse ormai totalmente assente l’approccio istituzionale rispetto all’arte d’avanguardia. Dal 1972 eseguii i Concerti Aleatori e altri esperimenti sui metodi aleatori, trasformando il mio nuovo studio di via dei Pianellari in un laboratorio sperimentale aperto. Palma Bucarelli mi suggerì di creare un’associazione che si occupasse di ricerca «sui problemi dell’arte». Durante questo periodo iniziai a formulare l’estetica eventualista con una serie di scritti teorici sul mio lavoro (Lombardo 1972, 1973, 1975, 1976). Lo storico Giorgio de Marchis mi definì l’unico artista «sopravvissuto al naufragio dell’avanguardia» (De Marchis 1974). Nel 1977, con due studenti della facoltà di medicina, Anna Homberg e Cesare Pietroiusti, cogliendo il suggerimento di Palma Bucarelli, fondai l’associazione Jartrakor «spazio sperimentale di studi sui problemi dell’arte» e nel 1979 iniziammo a pubblicare la Rivista di Psicologia dell’Arte, che è ancora oggi il laboratorio scientifico della ricerca eventualista.
La Teoria Eventualista
1. Le radici futuriste. L’eventualismo nasce dall’evoluzione di alcune fondamentali innovazioni estetiche del Futurismo e dall’uso del metodo scientifico al servizio della ricerca artistica. L’artista eventualista è uno scienziato che, partendo da una definizione operativa dell’arte e della bellezza, crea eventi estetici. L’opera d’arte è definita come uno stimolo rivolto al pubblico allo scopo di provocare nel pubblico il più ampio e diversificato spettro evocativo. Lo spettro evocativo è un «evento» instabile, soggetto a decadimento e saturazione. Per comprendere l’Eventualismo bisogna rileggere alcuni valori estetici già impliciti nel Futurismo:
a) Interazione. L’avanguardia del Novecento ha creato progressivamente una serie di nuovi valori estetici dai quali non si può tornare indietro. Uno di questi è l’interazione, che si deve far risalire al Futurismo e in particolare alle «serate futuriste» (1909) così citate da Marinetti: «Bisogna assolutamente distruggere ogni logica negli spettacoli del Teatro di Varietà… Introdurre la sorpresa e la necessità d’agire fra gli spettatori della platea, dei palchi e della galleria. Qualche proposta a caso: mettere della colla forte su alcune poltrone… Vendere lo stesso posto a 10 persone… offrire posti gratuiti a signori o signore notoriamente pazzoidi, irritabili o eccentrici… Cospargere le poltrone di polveri che provochino il prurito, lo starnuto, ecc» (Marinetti 1913).
b) Espressione del pubblico. «Nelle serate futuriste chi veramente dava spettacolo facendo buffissima mostra di sé, era il pubblico», affermava Cangiullo (Cangiullo 1921). Si tratta di un approccio quasi opposto, a quello delle altre avanguardie storiche come il Surrealismo, o il Dadaismo, che chiedevano all’artista di esprimere i propri contenuti inconsci per mezzo dello spontaneismo (Lombardo 1997). Il Futurismo, al contrario, si aspettava la spontaneità dal pubblico e considerava lo spettatore come un collaboratore attivo, magari da convincere, o perfino da provocare, ma comunque con un ruolo di interlocutore e coautore.
c) Assenza di contenuti. Prima del Futurismo l’opera d’arte veniva usata per trasmettere un messaggio edificante, ideologico e prefissato. Lo spettatore lo doveva capire. Se non lo capiva c’era lo storico, o il critico, che glielo spiegava. Lo spettatore era considerato un apprendista passivo dei superiori contenuti ideologici, o moralistici, preconfezionati dall’artista o dalla committenza. Il Futurismo, al contrario, iniziò a considerare lo spettatore come un collaboratore attivo, con un ruolo di interlocutore e coautore.
d) Imprevedibilità dell’evento. Il ruolo improvvisato, ma determinante, attribuito allo spettatore trasforma la stimolazione futurista in un evento incontrollabile che innesca reazioni a catena sempre diverse e imprevedibili.
e) Realtà dell’evento. Le reazioni del pubblico, che sono la parte fondamentale dell’evento artistico, avvengono nella realtà immediata e fattuale, nell’ hic et nunc, senza che il pubblico si debba immedesimare nelle realtà fittizie, virtuali, immaginate, create o raccontate dall’artista.
2. La costruzione dello stimolo
L’artista eventualista opera come uno scienziato che costruisce stimoli allo scopo di ottenere il più ampio e variegato campione di risposte da parte del pubblico, attenendosi ai principi di minimalità, astinenza espressiva, strutturalità, spontaneità, interazione, eventualità e profondità.
a) Minimalità: la minimalità richiede di usare il metodo più diretto e più semplice nella costruzione dello stimolo e di evitare scelte arbitrarie o non necessarie.
b) Astinenza espressiva: non è richiesta l’identità stilistica personale e va evitata l’espressione dei contenuti personali dell’artista. L’artista non deve esprimere se etesso, ma rendere maggiormente evidente l’espressione dei fruitori con le loro differenti e contraddittorie interpretazioni.
c) Strutturalità: nel costruire lo stimolo l’artista deve lavorare come uno scienziato, deve dichiarare in anticipo il metodo e lo scopo. La strutturalità è opposta al talento manuale e alla creatività arbitraria.
d) Spontaneità: per evidenziare l’espressione del pubblico, lo stimolo estetico deve provocare comportamenti spontanei nel pubblico. Commettere errori non voluti, battere un record, sognare, produrre invenzioni scientifiche, reagire in situazioni d’emergenza sono esempi di spontaneità.
e) Interazione: se la reazione del pubblico è espressiva, spontanea e valutabile dall’ampiezza dello spettro evocativo, c’è stata un’interazione eventualista.
f) Eventualità: l’eventualità obbliga il pubblico ad agire sul livello della realtà in modo imprevisto e involontario. In tale situazione ciascuna persona si comporta in modo diverso dagli altri, originale e spontaneo.
g) Profondità: questo concetto estetico, che non può essere completamente definito a priori, richiede che l’evento modifichi la personalità di chi interagisce con lo stimolo, indirizzandola verso ideali culturali nuovi, più complessi e più raffinati.
3. Instabilità dell’arte e della bellezza. L’Eventualismo rifiuta l’idea tradizionalista di una bellezza eterna ed immutabile, esso considera la bellezza come epifania di nuovi sistemi di valori nascenti che la cultura storica ancora non riesce né a identificare, né a definire. Questi valori nascenti vengono percepiti come bellezza dalle persone che, anche inconsciamente, si identificano con essi, altrimenti vengono percepiti come stranezza e perfino come scandalo. Essendo rappresentativa di valori situati nel futuro, la bellezza è fondamentalmente instabile, soggetta ai conflitti dell’evoluzione storica e degli scontri fra culture. La bellezza è un attrattore sociale, perché contiene un ideale nascente situato nel futuro. Il futuro è instabile, imprevedibile, stocastico, situato in un Universo infinito, infinitamente elastico, senza centro e senza contorno, soggetto a trasformazione continua.
4. L’evento estetico. Se fra lo spettatore e l’opera d’arte (lo stimolo) avviene un’interazione imprevedibile, sempre diversa da persona a persona e sempre diversa in tempi diversi anche nella stessa persona, allora questa interazione è un «evento estetico». L’evento è instabile e irripetibile come la realtà, non è stabile come la rappresentazione della realtà. L’evento inoltre è reale, mentre la rappresentazione (fotografica, pittorica, letteraria, poetica, teatrale, cinematografica) della realtà è virtuale. L’evento è misurabile attraverso l’ampiezza e la varianza dello «spettro evocativo» che lo stimolo provoca sul pubblico, o su un campione di persone. Lo spettro evocativo può consistere in proiezioni di contenuti o di intenzioni, interpretazioni, reazioni fisiche o psicologiche, induzione di sogni, errori involontari, percezioni conflittuali.
5. L’arte è un evento instabile che la storia delle civiltà ricostruisce e ridefinisce continuamente (Lombardo 1987). Non tutti sono d’accordo con questo semplice enunciato. La maggior parte degli studiosi crede, o almeno finora ha creduto, che l’arte sia esente dall’evoluzione storica: se è arte lo è per sempre. Così ad esempio Gombrich (1971). Ma anche Feyerabend, rifacendosi a Rigl, ritiene che l’arte sia incommensurabile e inconfrontabile, quindi non si evolve e non invecchia (Lombardo 1998). Feyerabend, rifacendosi a Riegl,ritiene che l’arte sia incommensurabile e inconfrontabile, quindi non si evolve e non invecchia (Lombardo 1998). Feyerabend sostiene che sia incommensurabile, inconfrontabile, quindi inevolvibile, non solo l’arte, ma anche la scienza (Feyerabend 1984). L’eventualismo, al contrario, considera l’arte una creazione sociale temporanea, estremamente fluttuante. Tale fluttuazione ha natura stocastica non essendo conseguenza di un’evoluzione lineare della storia, ma piuttosto di conflitti ideologici fra culture stabilizzate e nuove culture nascenti. Le nuove culture poi si stabilizzano, o scompaiono, ma influenzano i valori ideali dell’umanità, cambiandone l’ordine d’importanza, aggiungendo nuovi valori ed eliminandone altri, rimescolando continuamente il senso della realtà e della vita. Ne consegue che ciò che è arte per alcune persone non lo è per altre, ciò che è arte oggi può non esserlo più domani e viceversa, inoltre lo stesso oggetto può diventare arte in certe occasioni – evento – e ridiventare un oggetto banale in altre – decadimento – (Lombardo 1991). Fondamentalmente l’evento artistico è una creazione psicologica collettiva imprevedibile e irripetibile, analoga alle percezioni studiate dalla psicologia proiettiva e ai processi onirizzanti (Lombardo 1981). Qualcosa è arte, o non è arte, solo all’interno di una cultura storicamente definita, un’arte assoluta ed eterna, valida per sempre e per tutti, non esiste.
6. L’arte non è definibile attraverso le sue caratteristiche formali, tecniche, o stilistiche, ma solo attraverso la sua funzione storica, in quanto evento rappresentativo di nuovi valori, che funzionano da catalizzatori di nuove culture nascenti. La funzione sociale dell’arte è quella di costruire modelli rappresentativi dei nuovi valori ideali delle culture nascenti. L’arte funziona socialmente come rivelatore di valori nuovi e costruttore di nuove identità culturali, contribuendo all’evoluzione dell’umanità. La funzione sociale dell’arte all’interno della storia evolutiva delle civiltà è analoga alla funzione del sogno all’interno della storia evolutiva dell’individuo (Lombardo 1991, 2014). Se una persona non sognasse, o facesse sempre lo stesso sogno, non potrebbe evolversi.
7. L’artista non è tale per una sua speciale capacità, o talento, né per il tipo di opere che produce, né perché si definisce artista, ma solo perché le sue opere sono rappresentative dei valori caratteristici di una cultura storica. L’artista eventualista non è un artigiano, né un professionista che esegue un lavoro specialistico su commissione, ma uno scienziato che fa ricerca sperimentale sull’arte e sull’estetica. Una persona diventa artista se e quando le sue opere vengono riconosciute come un campione rappresentativo dei nuovi valori di una cultura nascente. Ma tale cultura probabilmente si affermerà dopo molto tempo. La definizione di artista è dunque una definizione conferita dalla storia dell’arte ex post, quando l’evento sarà ormai saturato (Lombardo 2001, 2014). Ne consegue che gli artisti, creando determinate opere, oppure i musei, esponendo determinati artisti, scommettono contro la storia.
8. Terminologia eventualista
La teoria eventualista ribalta i ruoli tradizionali della relazione artista-pubblico, attribuendo al pubblico un ruolo attivamente espressivo e all’artista il ruolo di inventore degli stimoli rivolti a sollecitare l’espressività del pubblico e di valutatore per fini di ricerca della profondità espressiva raggiunta attraverso le risposte. Sviluppata specialmente attraverso la Rivista di Psicologia dell’Arte, fondata nel 1979 dallo scrivente, essa definisce l’opera d’arte materiale come stimolo capace di provocare eventi nel pubblico. Lo stimolo eventualista richiede la creatività del pubblico per essere interpretato e costruito come opera d’arte. Il processo creativo è considerato analogo, ma ad un livello culturalmente rappresentativo, a quello della formazione dei sogni individuali. Come i freudiani residui diurni innescano il processo di formazione del sogno, che è un processo evolutivo individuale (Lombardo 1980, 1981), così gli stimoli eventualisti, attraverso il conflitto delle interpretazioni, innescano i processi evolutivi delle culture. L’evento è misurato dall’ampiezza dello spettro evocativo o, in altre parole, dalla dispersione delle risposte interpretative che lo stimolo riesce a sollecitare in un campione umano. La teoria eventualista, contrariamente alla maggior parte delle teorie estetiche, definisce l’arte un evento dinamico e deperibile, dunque soggetto a decadimento e saturazione. Un’opera d’arte decaduta, o saturata, è uno stimolo che non sollecita più uno spettro evocativo molto ampio e sempre diverso di risposte interpretative in un campione umano, ma evoca ripetutamente le stesse interpretazioni, in gran parte ormai già note e condivise, dette interpretazioni conformistiche. Le interpretazioni conformistiche sono evocate dagli oggetti comuni e dagli oggetti saturati della storia dell’arte, esse formano lo sfondo narrativo di una cultura: un insieme organico di interpretazioni condivise sulle quali poggia l’identità culturale. L’evento, non potendo essere interpretato in modo condiviso e conformistico, interrompe la continuità della narrazione storica, scatenando un ampio spettro evocativo, una elevata dispersione delle risposte interpretative e una grande varietà di reazioni comportamentali. Tali reazioni tendono nel tempo a ridursi fino a stabilizzarsi in poche risposte conformistiche, ma durante questo processo di saturazione i modelli culturali di realtà debbono essere aggiornati. Il piacere estetico è spiegato da vari punti di vista. Come soddisfazione del bisogno biologico di ampliare la conoscenza e sviluppare la personalità. Come rinforzo narcisistico della personalità nella parte in cui l’osservatore s’identifica con l’evento e proietta in esso l’espressione o il simbolo dei propri desideri latenti. Come ripristino omeostatico del controllo e quindi della capacità di previsione della realtà attraverso la riorganizzazione del modello di realtà. Come soddisfazione di un bisogno biologico di evoluzione attuato a diversi livelli di complessità attraverso il sogno, la fantasia e l’arte. La teoria Eventualista ha indicato una nuova dimensione estetica come uno dei principali fattori che definiscono l’opera d’arte: l’eterogeneità delle interpretazioni, ovvero la capacità dell’opera d’arte di evocare interpretazioni differenti in fruitori differenti e anche nello stesso fruitore in tempi differenti. Il fruitore infatti interagisce con lo stimolo eventualista proiettando in esso i suoi contenuti più personali, quelli che costituiscono la parte più profonda della sua identità psicologica. Così egli conferma la propria unicità individuale ed esprime, attraverso l’originalità dell’interpretazione, l’originalità del proprio vissuto. Per ottenere questo risultato è necessario che lo stimolo sia neutrale, privo di preinterpretazioni indotte da parte dall’artista, che deve attenersi rigorosamente all‘astinenza espressiva. L’arte insomma avrebbe una funzione sociale di conferma e di rinforzo narcisistico sui partecipanti al processo interpretativo. Partecipare all’interpretazione di un’opera d’arte è il modo più raffinato per riconoscersi come membri di un nuovo gruppo culturale in formazione, l’opera diventa in questo modo rappresentativa delle istanze innovative del gruppo, in gran parte ancora inconscie. In questo senso l’opera d’arte può avere un valore di anticipazione storica. Tuttavia nel tempo essa tende a perdere la sua capacità di stimolare interpretazioni differenti, sia per suoi limiti intrinseci, sia perché il gruppo sociale-ideologico spontaneo che si riconosceva in essa si è uniformato, accettando soltanto le interpretazioni più condivise, ma più conformistiche. Quando ciò avviene, dal punto di vista eventualista l’opera d’arte è decaduta, l’evento è saturato. Lo stimolo è diventato ormai un oggetto comune, culturalmente ben definito in quanto oggetto della storia dell’arte. Adesso infatti come tutti gli oggetti comuni, l’oggetto «arte» viene interpretato in modo conformistico e tendenzialmente uniforme, può diventare «merce» e può ricevere una valutazione economica. Tuttavia l’eccessiva rapidità del processo di decadimento dell’evento è un indizio di superficialità estetica (Lombardo 1992).
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