Sulla natura politica di Beuys
Una mostra sull'artista tedesco oltre la retorica dello sciamano
Art that can not shape society and therefore also can not penetrate the heart questions of society, [and] in the end influence the question of capital, is no art.
Joseph Beuys, 1985
«Un vero personaggio tedesco lo abbiamo trovato in Joseph Beuys. La sua casa è strana per un senso di vuoto ed una atmosfera rarefatta, incredibile in Germania; tutti gli oggetti sembrano mummificati ed infeltriti; lui stesso ha una età indefinibile e porta un panciotto e una lobbia, che a quanto pare non si toglie mai, nemmeno per andare a letto; ma poi fermandomi sa chiacchierare, scopro una vitalità pigra ma calorosa in tutte le cose: dal pavimento di vero cuoio imbottito al vassoio pieno di pezzi di cioccolata in mezzo alla tavola. Lui ci mostra le foto dei suoi innumerevoli happening; quasi sempre c’è di mezzo del burro steso in parallelepipedi sul pavimento, disintegrato a mozzi, steso ad occludere la funzione di una sedia; Icaro impressionato chiede alla moglie di Beuys se usa ancora il burro per far da mangiare».
Questa Corrispondenza da Düsseldorf del 1967, pubblicata su «Flash Art» l’anno successivo, è significativamente firmata dall’artista Piero Gilardi, il primo a parlare di Beuys in Italia e anche fondatore del PAV, il luogo che adesso ospita, come terzo capitolo di un’ideale trilogia espositiva, La Tenda Verde (Das Grüne Zelt). Joseph Beuys e il concetto ampliato di ecologia, mostra a cura di Marco Scotini che segue le precedenti Earthrise. Visioni pre-ecologiche nell’arte italiana (2015) ed EcologEast. Arte e natura al di à del Muro (2016), e conclude un affondo storico e genealogico che ha tentato di articolare criticamente il rapporto tra pratiche artistiche ed ecologia-politica negli anni ’70 in Europa.
La crisi della natura non è estranea alla società, all’economia o alla politica, né può essere disgiunta dai saperi delle classi dominanti che hanno contribuito all’attuale configurazione del capitalismo come regime ecologico. «Il nostro – insisteva Beuys – è un sistema economico fondato sul saccheggio sfrenato delle risorse naturali. […] sotto la sua crescita espansiva soccombono sempre più livelli e cicli vitali del sistema ecologico».
Dimentichiamo la figura dell’artista-sciamano e i suoi utopistici proseliti, abbandoniamo tutte le ambiguità spiritualistiche che gli sono state attribuite dentro la storia dell’arte, per concentrarci, per la prima volta, sui presupposti con cui Scotini attraversa la sua ampia produzione: ricostruire le istituzioni e le organizzazioni politiche, para-politiche o post-politiche promosse dall’artista
Allora dimentichiamo la figura dell’artista-sciamano e i suoi utopistici proseliti, abbandoniamo tutte le ambiguità spiritualistiche che gli sono state attribuite dentro la storia dell’arte, per concentrarci, per la prima volta in un contesto di exhibition research-based, sui presupposti con cui Scotini attraversa la sua ampia produzione: innanzitutto, ricostruire le istituzioni e le organizzazioni politiche, para-politiche o post-politiche promosse dall’artista; secondo, esibire multipli, manifesti, ephemera, insieme alle documentazioni delle azioni di protesta collettive che rileggono i suoi proclami, la teoria, la filosofia e la sua militanza nel progressivo consolidamento di una coscienza ecologica, in cui però la questione ambientale è ripensata in termini sociali. Il titolo della mostra fa riferimento alla grande tenda verde, allestita dall’artista con i suoi collaboratori la mattina del 28 settembre 1980 nella Gustaf-Gründgens-Platz di Düsseldorf, di fronte all’edificio dello Schauspielhaus di Alvar Aalto, come presidio reale e ideale, punto di raccolta e organizzazione durante la prima campagna elettorale del Partito dei Verdi.
La rivoluzione siamo noi!
L’approccio alla politica di Beuys non è tradizionale e oltrepassa i paradigmi del modernismo per arrivare ai meccanismi di quella che è stata indicata come l’epoca dell’«informatica del dominio» (Haraway), attraverso i mezzi della parola e del linguaggio. Se l’arte è un fattore primario che governa l’uomo e la sua esistenza, allora la politica è arte perché permette la liberazione delle forze creative. Nel 1971, ospite del gallerista Lucio Amelio a Napoli, per la prima personale italiana alla Modern Art Agency, elabora la partitura La rivoluzione siamo noi, dove la potente e iconica immagine dell’artista che incede e avanza verso l’osservatore, esprime la convinzione che sia l’arte la vera potenza rivoluzionaria, «vale a dire che le condizioni possono cambiare solo grazie alla creatività umana».
In questi anni Beuys introduce il concetto di capitale umano e il superamento della distinzione tra lavoro creativo e non creativo, ossia il lavoro alienato. Ogni uomo è un artista. «Beuys intendeva trasformare le strutture tradite di lavoro e reddito – scrive Petra Kelly, allieva dell’artista e tra i fondatori, oltre che leader, dei Verdi tedeschi. «Non è più possibile considerare il reddito del lavoratore come il valore di scambio delle sue prestazioni». Definiva il reddito come «diritto elementare dell’uomo» e ogni prestazione lavorativa come «lavoro per gli altri». La posizione di Beuys era la seguente: «Riguardo al reddito come elementare diritto dell’uomo, la concertazione democratica incentrata sui bisogni è un principio adeguato». Questo significava il superamento della dipendenza dal lavoro salariato.
Una posizione molto vicina al pensiero di André Gorz, e non solo per questo aspetto, che segna, come sottolinea Emanuele Leonardi nell’introduzione a Ecologia e libertà, la sua fase ecologico-politica (1973-77). Esiste un nesso tra il reddito di esistenza e la questione del tempo liberato come sua articolazione: «l’utopia gorziana, eco-socialista per eccellenza, non è che l’autolimitazione cosciente indotta dal rispetto dei limiti biosferici unita alla gestione non capitalistica dell’automazione dei regimi produttivi (cioè della riduzione del lavoro socialmente necessario). […] Il degrado degli equilibri biosferici schiude infatti uno scenario fortemente polarizzato: alla tentazione dispotica deve far fronte un progetto sociale complessivo capace di coniugare la sostenibilità ambientale e l’autonomia individuale e collettiva: Rigettare il tecnofascismo non può dipendere da una scienza degli equilibri naturali; al contrario, deve derivare da una scelta politica e culturale. Il nesso tra ecologia e libertà, dunque, non si dà in natura – non sta nelle cose: bisogna produrlo, curarlo, difenderlo».
Kunst = Kapital
«Per comunicare, l’uomo si serve del linguaggio, usa gesti, oppure la scrittura, o traccia un segno sul muro, o prende la macchina da scrivere e ne tira fuori delle lettere. Insomma, usa dei mezzi. Quali mezzi usare per un’azione politica? Io ho scelto l’arte. Fare arte è dunque un mezzo per lavorare per l’uomo nel campo del pensiero… Questo è il lato più importante del mio lavoro. Il resto, oggetti, disegni, azioni, viene in seconda linea. In fondo non ho molto a che fare con l’arte. L’arte mi interessa solo in quanto mi dà la possibilità di un dialogo con l’uomo». La tenda verde (Das Grüne Zelt) ricostruisce questa necessità politico-organizzativa di applicare il «concetto ampliato di arte» e di «Soziale Plastik», per l’emancipazione dal sistema esistente e la direzione generale di una battaglia per l’arte o, per dirla in modo più esplicito, per un’intensa opera di trasformazione della politica in arte.
La classe dominante si è fortemete ristrutturata e non coincide più con i possessori nominali dei mezzi di produzione. Tutte le funzioni del capitale sono state «socializzate», delegate a particolari gruppi e istituzioni. «Quanto più una classe dominante è capace di assimilare gli uomini più eminenti delle classi dominate, tanto più solida e pericolosa è la sua dominazione» (Marx, Das Kapital, BD.III, p.649). È contro questa socializzazione repressiva del capitale, che Beuys fonda, nel 1967, il Deutsche Studentenpartei (Partito degli Studenti Tedeschi), così chiamato perché ogni essere umano è considerato uno studente, per diffondere e supportare temi quali l’auto-determinazione dei popoli dai sistemi politici e sociali esistenti, l’auto-governo del diritto, la cultura e l’economia, il disarmo totale, il reddito di esistenza contro l’ingiusta distribuzione delle proprietà, la politicizzazione dei bisogni quotidiani immediati, nuovi programmi educativi e pedagogici per l’insegnamento e la ricerca.
Nel 1968, il partito ha cambiato nome in Fluxus Zone West, mentre nel 1970 fonda l’Organisation der Nichtwähler, Freie Volksabstimmung (Organizzazione dei Non-Votanti, Libero Referendum), attirando circa 200 membri. Sarà l’anno successivo, nel giugno del 1971, che Beuys istituisce l’Organisation für direkte Demokratie durch Volksabstimmung (Organizzazione per la diretta democrazia attraverso referendum), lavorando istancabilmente alla diffusione di queste idee e programmi radicali attraverso mostre, azioni e conferenze. Su una delle strade più affollate di Colonia distribuisce delle shopping bags di plastica con stampato il diagramma dell’organizzazione, ossia il multiplo How the Dictatorship of the Parties Can Be Overcome (Come superare la dittatura dei partiti politici).
Nel maggio del 1972 ha letteralmente «spazzato» la piazza Karl Marx a Berlino ovest, dopo un corteo dei lavoratori, raccoglie l’immondizia nelle buste di plastica stampate e le espone in una galleria dicutendo con i passanti di libertà, democrazia e socialismo. Ma è nello stesso anno che invitato a Kassel da Harald Szeemann a partecipare alla memorabile documenta 5, durante i 100 giorni dell’esposizione organizza un forum aperto di discussione, presidiato dall’artista quotidianamente, per dialogare col pubblico di modelli democratici, disuguaglianze sociali, dissenso, politica e libertà: nessuna performance, né installazione o presenza oggettuale. L’Ufficio era composto da un tavolo, due scritte al neon, delle lavagne appoggiate alle pareti e una rosa rossa simbolo della democrazia diretta (Ohne die Rose tun wir’s nicht, Non lo faremo senza la rosa). L’ultimo giorno, ha combattuto un incontro di boxe (Boxing Match for Direct Democracy). «L’Ufficio è arte» diceva Beuys, il suo allievo Johannes Stuttgen lo aveva definito come «uno spazio di non arte al centro del campo dell’arte».
Strumenti di agitazione e di propaganda nelle dimostrazioni di protesta, le opere moltiplicate costituivano una macchina narrativa, con un preciso codice tipografico e cromatico, che radicalizzava l’indisponibilità alla mediazione come enunciato collettivo
I manifesti, gli ephemera, le cartoline, le edizioni di multipli, che Beuys chiamava «veicoli» per la diffusione delle idee e che produsse copiosamente a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, non erano solo un modo per comunicare l’annuncio di esposizioni, discussioni o azioni che coinvolgevano l’artista, ma assumevano un profondo carattere politico perché consentivano la divulgazione del suo «concetto ampliato di arte» e delle iniziative dal basso, oltre a rispondere alle istanze più radicali di democratizzazione del mercato dell’arte. Strumenti di agitazione e di propaganda nelle dimostrazioni di protesta, le opere moltiplicate costituivano una macchina narrativa, con un preciso codice tipografico e cromatico, che radicalizzava l’indisponibilità alla mediazione come enunciato collettivo. Secondo Antonio D’Avossa costituivano un «vero e proprio, grande e pacifico arsenale di propaganda […] che si rivelerà, in assoluto, come il più grande che un artista abbia mai realizzato. Saranno tutti veicoli che attiveranno un movimento d’informazione per il passaggio delle idee, per il trasporto del pensiero».
Dalla pratica dell’insegnamento all’Accademia di Düsseldorf nella seconda metà degli anni ’60 – il suo licenziamento e il processo in tribunale, poi la celebre immagine Demokratie ist lustig (La democrazia è divertente) in cui circondato dalla polizia ha piuttosto un’espressione divertita – fino alla costituzione della F.I.U., Freie International Universität (Libera Università Internazionale) presentata nel 1973 insieme allo scrittore premio nobel Heinrich Böll, l’artista si impegna nella contestazione anti-autoritaria delle autorità accademiche, provando a riformulare le strutture educative. Dass die denkenden köpfe sich nicht beugen (che le teste pensanti non si inchinino): occorre istituire una scuola, trasformare l’arte in politica attraverso la costruzione di un pensiero, capace di formare allievi, creare spazi di agibilità politica attraverso l’organizzazione e i comitati d’azione. La scuola doveva sviluppare il potenziale creativo in un rapporto non gerarchico tra insegnante e allievi, sperimentando la creatività come «messa in forma» della libertà.
Un’organizzazione temporanea in grado di mettere in questione un apparato di saperi e la concezione depositaria della sua trasmissione, spostando la questione sul carattere sociale della produzione e formazione di soggettività, così da sperimentare le funzioni intellettuali, creative e politiche, diremmo oggi, di quei processi molecolari di insorgenza ed emancipazione che l’arte consente. Tra i suoi più celebri slogan: «L’abilità che sta alla base del lavoro è il capitale. Il denaro non ha nessun valore economico! La connessione tra l’abilità e il prodotto rappresenta il valore economico. Questo spiega la formula del concetto ampliato di arte: ARTE = CAPITALE » .
Beuys se n’era già andato quando gli altri arrivavano!
«Beuys non capitolava mai, non cedeva mai e non diventerà mai — almeno così credo e spero — un classico innocuo, un personaggio della storia dell’arte e della cultura, esposto come una salma nelle gallerie d’arte. E non lo diventerà nemmeno quando, finalmente, potremo assistere a un piccolissimo atto di risarcimento storico-artistico nei confronti di un artista troppo a lungo messo all’indice, qui nella Renania Settentrionale-Vestfalia, perché troppo politico». Qui, Petra Kelly racconta dei comizi elettorali, delle manifestazioni indimenticabili, i sit-in di protesta, le discussioni politiche e la disobbedienza civile: obiettivi perseguiti con coerenza per una traformazione non violenta della società, in senso ecologico e pacifista. Dopo essere stato tra i fondatori del Partito dei Verdi nel 1980, e in seguito ad alcune candidature mancate, assiste, nel 1983, al definitivo fallimento di ottenere la nomina di candidato del Partito per lo Stato della Renania Settentrionale-Vestfalia. Pur avendo sempre concepito le sue organizzanioni come «partito anti-partito» e in fondo come anti-politica. Beuys non sarebbe mai diventato un leader politico – sottolinea Marco Scotini – e proprio per questo oggi ci attrae così tanto.
«I processi che hanno contribuito alla formazione di questo partito – dice l’artista – sono di per sé un elemento pedagogico. Ho giocato un certo ruolo in questa storia e per coloro che non lo accettano o nutrono dei sospetti, i miei insegnamenti rimangono inaccessibili, da ogni punto di vista. Se nel breve periodo che intercorre tra la comunicazione di concetti e la loro comprensione questa non è raggiunta, la sua mancanza è da imputarsi al poco tempo a disposizione e alla mia condizione di sfinimento – sono stato messo da parte in diverse occasioni, ai convegni del partito non c’era mai abbastanza spazio per spiegare i miei punti di vista. Questo ci conferma la certezza che nulla possa essere raggiunto per mezzo delle prassi della vecchia politica ed ogni tentativo di conformarsi ad esse è sbagliato, è un’illusione psicologica. L’unico approccio valido, nel lavoro, è quello che fa capo alle capacità umane… l’arte e la creatività rappresentano l’unico possibile punto di partenza per cambiare la società»1.
Alla vigilia della grande manifestazione per la pace che si svolse nel 1982 a Bonn, i Verdi organizzano un’azione di protesta di fronte all’ambasciata turca, per denunciare le torture e le esecuzioni in vigore nel paese membro della NATO. Venne gettata a terra una certa quantità di sangue e sopra vennero lanciati dei garofani rossi, un gesto silenzioso in ricordo delle vittime del regime turco. A questo punto Beuys, dopo aver affermato «Das Ist Praxis», spontaneamente raccoglie uno dei garofani, con cui traccia nel sangue la scritta NATO.
Esistono contadini che sono artisti e che coltivano patate
«Urban Afforestation Not Urban Administration»: è con questo slogan, e da una posizione di irriducibilità costitutiva (o inarrestabile), che Beuys, insieme ad alcuni dei partecipanti alla FIU, avvia, nel 1982, l’azione delle 7000 Eichen (7000 Querce), la più grandiosa scultura sociale realizzata per documenta 7 e divenuta, nel tempo, un simbolo stesso della kermesse tedesca e della sua storia. Ancor prima della caduta del muro di Berlino, la «Action Third Path» prefigurava un’utopica terza via tra il capitalismo e il comunismo capace di neutralizzare le asimmetrie economiche, del lavoro come rapporto sociale, incanalandone l’eccedenza nella vita artistica e culturale. La piantumazione si trasforma in attività collettiva come in Difesa della natura e in altri progetti concepiti in Italia tra il 1973 e il 1986, documentati in mostra.
«Se un uomo può provare una cosa reale, se può far sviluppare una cosa di importanza vitale dalla terra, allora lo si deve considerare come un essere creativo in questo campo. E in questo senso lo si deve accettare come un artista. […] Naturalmente è una cultura diversa dalla letteratura, o è un’arte diversa dalla pittura. […] Si deve trasformare non solo il fare quadri o sculture, ma tutta la forma sociale. È un programma gigantesco»2. O come scrisse ancora Gilardi, dopo la morte dell’artista (Beuys può vivere, 1986), chiedendosi quale fosse il senso profondo e l’attualità del suo messaggio estetico e politico: «l’arte può interferire nei movimenti reali della vita. […] È il messaggio di un profeta istrionico che ha installato nel mondo dell’arte il suo ufficio politico?»
La Tenda Verde (Das Grüne Zelt). Joseph Beuys e il concetto ampliato di ecologia
Pav Parco Arte Vivente di Torino – a cura di Marco Scotini
> Inaugurazione venerdì 4 novembre 2016 alle 18:00
> La mostra sarà visibile al pubblico dal 5 novembre 2016 al 19 marzo 2017
Note
↩1 | J. Beuys, da una discussione animata con due giornalisti, Klaus Hang e Hubert Winkels, e diversi membri del Partito dei Verdi, inclusi Rainer Bartel e il candidato vincente, Bruns, n.3 della rivista Űberblick di Dusseldorf, 1983. |
---|---|
↩2 | J. Beuys, Zurich 1986 (Tratto da Ein Gespräch: Beuys, Kiefer, Kounellis, Cucchi, Parkett-Verlag, Zurigo 1986). |
condividi