Tra le vite degli altri

Unlived, opera video di Fiamma Montezemolo

Tra
Tra, mostra di Fiamma Montezemolo, Fondazione Baruchello, Roma

Tra i molti errori metafisici che ci trasciniamo da una tradizione chiamata occidentale che forse non ne ha nemmeno tutte le colpe figura senz’altro quella dell’invenzione del soggetto. Unità autosufficiente, cogitante, dotata di volontà, capace di decidere e compiere scelte a proprio vantaggio, la si presume incastrata in un corpo, anch’esso singolo, della quale presiede il benessere e la soddisfazione. Così, tra i molti modi possibili di pensare la vita umana ha prevalso quello di una padronanza, della capacità di saper condursi al meglio tra i vari accidenti, alla guida di un progetto chiamato biografia.

Unlived, opera video dell’artista e antropologa Fiamma Montezemolo, visibile nella mostra personale Tra ospitata dalla Fondazione Baruchello a Roma, ha il merito di aprire un varco nella percezione di una vita propria, al centro della quale starebbe il motore del fine autobiografico, ovvero quella realizzazione attraverso il lavoro, quel compimento di sé nella prassi retribuita che nella cornice neoliberale aggancia in pieno e risolve il senso di ogni vita. Nelle sette interviste che compongono il film si fa strada proprio l’avverbio che dà il titolo alla mostra, Tra, se non proprio uno spazio quantomeno un dubbio tra l’aderenza alla vita vissuta e quella che altrimenti si potrebbe vivere, tra la professione segnalata sulla carta d’identità e la sua corrispondenza nella realtà aumentata dei fornelli o delle redazioni, della ricerca scientifica o del progetto, della performance o dell’insegnamento o dell’impegno politico. Questi sono i lavori che il video compone in una trama narrativa dove tra l’uno sta il possibile dell’altro, l’ombra che accompagna ogni farsi biografico talvolta alle prese con la domanda: sarebbe possibile altrimenti?

Nel decennio a cui appartiene il video di Montezemolo, quello degli anni Dieci del secondo millennio, quando i paesi del Mediterraneo andavano sotto il nome di Pigs e una politica di austerità delle istituzioni monetarie europee e internazionali imponeva alla Grecia di rendere produttivo il suo patrimonio di clima mite e di mare e di trasformare in tempo di lavoro quello speso ai caffè e ai panigiri, la domanda rischiava di suonare retorica e la sua risposta unanime. No, era la risposta di un dibattito pubblico che traduceva un comune senso imperativo di ordine e contabilità, controllo e compostezza. Nessuna possibilità di scegliere tra opzioni, di pensare tra più culture e forme di vita, di stare tra più mondi. Negli anni dell’austerity tra era un avverbio da scongiurare, insieme al suo portato di variazioni e anomalie che invece il video Unlived è proprio ciò che mette a fuoco. Quello di un’ombra, di un doppio che accompagna come un riverbero le scelte che ognuno di noi si trova a compiere, la vita lavorativa che porta avanti, sempre affiancata dal sospetto, la voglia o il ricordo di un’altra strada possibile. È il dialogo con questo secondo (non) vissuto che l’opera prova ad articolare, rimbalzando ciò che non è (stato) per l’uno su ciò che è (stato) per l’altro. E in questo margine tra l’uno e l’altro, ma anche tra sé e sé, tra ciò che si fa e ciò che si potrebbe, si dispiega uno spettro affettivo in cui la relazione con il possibile accompagna nella forma di una biografia irreale, di un doppio immaginario talvolta intatto talvolta comico, il vero vissuto degli intervistati.

Il racconto di Unlived tiene ferma la tensione, tipica di quell’epoca successiva al rifiuto del lavoro di fabbrica, tra la ricerca di una prassi dotata di un senso non esterno al proprio farsi e l’esigenza di un salario utile a vivere in una società capitalistica. I bordi tra il fare (making o praxis) non combaciano con quelli del lavoro e della produzione (poiesis) e qualcosa della dimensione alienante, separata, del lavoro sottoposto ai fini del salario torna sempre a molestare una prassi che è desiderio di agire o di messa in forma, di conoscenza o di creatività. È l’esperienza di questo scarto uno dei dati più comuni del lavoro contemporaneo, dove la ricerca di una prassi libera inceppa a più riprese sui limiti dettati dalla regolazione della produzione di merci, beni o servizi. E infatti non è un caso che il convitato di pietra dell’opera video sia proprio il lavoro artistico, quello che si presume aver meglio risolto nella sua avanzata moderna e postmoderna proprio la riduzione di questo margine incerto e fastidioso tra ciò che si fa liberamente e ciò per cui si viene pagati. Il doppio di ogni racconto, il non vissuto in cui dilaga l’avverbio altrimenti, è sempre un salto in un ambito della prassi svincolata dalle costrizioni di dover rispondere a una committenza, alla qualità di un servizio, ai tempi di produzione, ai formati delle merci, al comando di un altro. Questa prassi liberata continua a essere attribuita a un lavoro creativo che non ha l’obbligo di rispondere ad alcun fine e ad alcun modello, che può svolgersi nella maggiore prossimità di un desiderio e di una vita che si dispiega nel suo farsi.

È infatti singolare che un’opera dedicata al lavoro e agli altrimenti lavori possibili abbia per titolo Unlived e non Unworked, sintomo di un’aderenza tra vita e prassi che l’istituzione del lavoro salariato ha divaricato e a cui la grande fuga dal lavoro alienato ha cercato di rispondere, sottraendosi. Che il lavoro rincorra la vita è ciò che Marx sa benissimo quando impiega il termine alienazione riferendosi non solo al tempo sottratto alla vita, ma a una vita che nel lavoro salariato non è propriamente vissuta. Si potrebbe così immaginare una seconda puntata del video a quasi dieci anni dalla sua realizzazione, forse mutandone il titolo in (Un)lived, e chiedere proprio all’autrice, di professione artista, quale sia il suo doppio, se continui, anche quando si fa il salto nella prassi liberata, nella creatività che non deve rispondere a niente, quel riverbero di una vita parallela che scorre insieme alla propria. E al lavoro dell’arte andrebbe chiesto se essa è attraversato da quella distinzione tra lavoro umano e lavoro unico che Marx nell’Ideologia tedesca definisce «pura assurdità» e che continua a essere effetto della divisione sociale del lavoro, abolita la quale non esisteranno più pittori ma semplicemente umani che tra l’altro dipingono.

(Un)lived potrebbe allora interrogare non tanto il condizionale passato – cosa avresti fatto altrimenti? –, tempo verbale della resa dei conti, eventuale rimpianto della biografia, ma il modo in cui il riverbero delle altre vite possibili indica come semplicemente procede la vita umana: tra le vite degli altri.

Fino al 19 aprile 2024, il video Unlived è visibile all’interno della mostra Tra, presso la Fondazione Baruchello a Roma.

Venerdì 12 aprile, alle ore 18.30, nell’ambito del public program relativo alla mostra, presentazione e discussione del lavoro insieme a: Salvo Lombardo, Francesco Sylos Labini, Alberto Iacovini, Giovanni De Mauro. Interviene Fiamma Montezemolo e modera Ilaria Bussoni.

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