Una rotta per il sud
Mare di Levante di Nicola Maria Martino
Aeroplani nel cielo terso raccontano di acrobati sull’aria dello Ionio, arrivano da Levante, portano suoni d’arpa, sanno di Odisseo e di antichi guerrieri macedoni. L’acqua sciapa del lago intorno a rovi di gelso rubini…
Ritorno a casa tardi. Portami un fiore, portami l’ombrello, portami ancora storie. Ti offrirò del vino di Tikves e penserò a colori nuovi. Azzurri e rossi, rosa, stormi silenti. Cadeva una goccia sul pruno.
Un caldo mattino giocammo seguendo la marcia dei tamburi… mi nascosi tra i fiori gialli, all’alba ci aspettavano al porto di Vlora con abiti scuri… parlavano in lingua straniera. E di lì raggiungere Ocrida, e poi riposerai.
Ci offrivano piatti di Koran. Suoni orientali, arpe e mandole gareggiano nel vento e si festeggia. Si celebrano il pesco fiorito e i freschi fiori d’aprile. Con te imparerò a danzare, insieme, nel colore.
Fa parte di un esercizio di visione e non di accompagnamento didascalico questo testo poetico (a parete) di Nicola Maria Martino del 12/09/2020, tassello illuminante della cartografia di viaggio Mare di Levante, personale dell’artista a cura di Antonello Tolve che si tiene nella sede romana della Fondazione Filiberto e Bianca Menna in via dei Monti di Pietralata 16 fino al prossimo 19 febbraio.
L’ascolto del vento, diceva Cioran, ci dispensa dalla poesia, è poesia, e il levante del titolo, che muove da est verso ovest, spezza le catene di un pensiero della storia come progresso lineare di un prima e un dopo, come gerarchia oppressiva di relazioni di potere e contro il primato mortifero del significato, del senso sul significante. Con un clima mite in inverno e caldo in estate, il Mare di Levante ha rivestito una straordinaria importanza per i rapporti tra i paesi dell’Egeo da un lato e la Siria, la Palestina e l’Egitto dall’altro. Quando spira, il levante è generalmente debole, fresco e umido, porta con sé piogge e trombe marine nello stretto di Gibilterra, manifestandosi in particolare tra luglio e ottobre.
Il lavoro di Nicola Maria Martino segue la rotta inaugurata nel ’68 – la contestazione delle radici della cultura visiva occidentale – rielaborando in chiave postmoderna temi e istanze delle avanguardie storiche (la sua prima personale nel 1976 si intitolava, non a caso, Macondo e Illusioni folli era, invece, il titolo di quella del 1977) seguendo la linea teorica che, sul finire degli anni Settanta, si costruiva attorno al pensiero di irregolari antiprogressisti come Gilles Deleuze, Carmelo Bene, Emile Cioran e Jorge Luis Borges. Nel tragitto, dunque, si vira verso la linea meridionale, questo sud azzoppato a cui non resta che volare, il sud del sud dei santi di Carmelo Bene, dove il processo di destrutturazione del reale immaginario nell’immagine artistica porta alle estreme conseguenze il rifiuto della rappresentazione.
Emblema di questi spazi è il santo, San Giuseppe Desa da Copertino in cui Bene ha ravvisato lucidamente una contrapposizione del sud nei confronti di quella che Piergiorgio Giacché, sulla linea del concetto deleuziano di minorazione, ha definito come dannazione della subalternità suffragata da un approccio storicistico che cerca spasmodico di classificare le differenze ma non di liberarsi dall’identità. Contro tutti i processi di normalizzazione, direbbe ancora Deleuze, il riconoscimento del sud come alterità radicale, minore rispetto al potere maggiore della Storia è in grado di far scaturire tutti i processi di divenire, di vita contro la cultura, di significante di contro al significato. L’immagine è un non luogo della visione di una soggettività decentrata, spazio che slitta la rappresentazione verso il depensamento.
Alla maniera dei voli aerei di frate Asino che rinuncia all’azione contro le zavorre e i lacci della memoria, nelle 30 opere in mostra tra olii e disegni su carta realizzate negli ultimi anni – tra queste l’isola, i gelati, le barchette e gli aeroplani, i riquadri rossi, verdi e blu – l’azzurro è un azzurro, il rosso è un rosso, lo stile è il colore, questo paesaggio interiorizzato e restituito come territorio di poesia. Di fronte a questo Mare di Levante si rimane instupiditi, come stupido è il colore e come stupiti restiamo noi di fronte alle immagini unheimlich, fuori dalla Storia che in un caleidoscopio borgesiano di specchi rotti, ci mostrano il lavoro al rovescio della memoria, forme incostanti e resti non affidati alla nostalgia. Una virgola di colore blu nel Mare di Levante.
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Nicola Maria Martino. Mare di Levante
a cura di Antonello Tolve
31 ottobre 2020 / 19 febbraio 2021
Fondazione Filiberto e Bianca Menna, Via dei Monti di Pietralata 16, Roma
info | www.fondazionemenna.it – +39 349 5813002
Per prenotare scrivere a antonello.tolve@icloud.com
orari di apertura | dal lunedì al venerdì – 15:30-19:00 o su appuntamento
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