Uno scatto alla volta

Mario Dondero a Palazzo Reale

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Mario Dondero, Ragazzi a Belfast (1968).

«Sarebbe una foto bellissima questo signore in equilibrio su un piede solo, ma non la scatterò. Chi sono io per rubargli questo attimo di intimità?» Il riserbo verso chi è senza difese, la sensibilità gentile nell’attimo dove lo scatto si ferma e la macchina fotografica viene posata per un gesto d’aiuto: ogni essere umano è uno scatto alla volta, un’immagine alla volta, immagine che arriva dall’agitazione frenetica dei movimenti e ha la propria temporalità nell’incontro con gli altri. Le parole di Maddalena Fossati Dondero restituiscono un’immagine di suo padre, Mario Dondero, e della grazia che ha contraddistinto la lunga e densa attività di fotoreporter nel catalogo Mario Dondero, La libertà e l’impegno (Silvana Editoriale 2023) per l’omonima antologica a Palazzo Reale a Milano a cura di Raffella Perna (21 giugno – 6 settembre 2023). In collaborazione con l’Archivio di Altidona, la mostra traccia le geografie dello sguardo di Mario Dondero attraverso la selezione di immagini fotografiche che attraversano un arco temporale che parte dagli anni Cinquanta per arrivare fino agli anni venti del XXI secolo.

Dondero si è scelto fotoreporter e non si è definito fotografo, come ricorda nella bella conversazione con Antonio Gnoli Dello sguardo, della Vita. Un film del Novecento, a testimonianza di una militanza che è passione civile e impegno etico a partire dalla lotta partigiana nelle montagne della Val D’Ossola quando, appena sedicenne, è l’istinto a dare il ritmo alla futura scelta del fotogiornalismo. Poveri e ricchi, intellettuali e cineasti, personaggi illustri e senza nome, europei e africani, donne e uomini e bambini sono la costellazione lucida per una fotografia che non tentenna e sa andare oltre la parola in un racconto della realtà che rifiuta ogni sensazionalismo e ogni forma di estetizzazione.

Mario Dondero, Il ritratto di un giovane combattente repubblicano, scomparso in una fossa di Franco, Malaga (2001).

Il bianco e nero è il tono di luminosità che, a differenza del colore, sfugge a ogni forma di bellezza eccessiva, patinata che addiziona invece che sottrarre, per far emergere i dettagli delle storie raccontate dal fotoreportage, altrettanti lati in ombra di una denuncia. Se l’impegno è la linea ferma, la libertà ne guida il passo che non si ferma, mai. Mario Dondero è instancabile, nei suoi viaggi, che hanno origine da Genova, la città paterna così amata ma che muovono da Milano, nodo esistenziale attorno al quale le strade fanno gomitolo. Qui, con «Milano Sera» e con l’esperienza di cronaca nera ne «Le Ore», il reportage diventa la cifra stilistica ed esistenziale – didascalie agili e scattanti per le fotografie che diventano il documento in grado di restituire un racconto della verità – ma è nutrito dagli incontri privilegiati intorno a quel laboratorio politico e culturale che è stato il Bar Jamaica, il luogo di ritrovo per sperimentare le novità artistiche più promettenti provenienti dal Nord America e dal resto d’Europa quali l’esperienza della Magnum Photos e spazio di transiti per Ugo Mulas, Giulia Niccolai ma anche Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin.

L’oro delle strade di cui riferisce con puntualità e partecipazione Raffaella Perna nel saggio introduttivo è, per Mario Dondero, la passione per la vita, incontrata in spazi e tempi differenti e con un’andatura che non si perde nella distrazione della flânerie o nell’eterogeneità degli stimoli e si riconosce nella fotografia come evento che non si esaurisce nello scatto, neanche in quello mancato, ma nella creazione di altri spazi per la visione e la narrazione. L’interesse per il talento artistico e per la letteratura è l’occasione per altri incontri: con i cineasti, in Italia e in Francia che è per Dondero seconda patria elettiva, e con gli scrittori che ricerca e fotografa senza arrivare mai in ritardo all’appuntamento con l’Angelo della Storia che, a differenza dell’Angelus Novus di Paul Klee, non ha gli occhi colmi di pietà per un passato che vede travolto da un futuro minaccioso ma che si cristallizza nel dono di una temporalità al presente, cifra politica della restituzione di una dignità e di uno sguardo fotografico che non indica ma comprende.

Mario Dondero, Nel carcere, Kabul (2006).

Negli anni Cinquanta, Dondero è in Portogallo e in Spagna. Del primo, paese oceanico, racconta i volti dei pescatori e delle donne lavoratrici come punti luminosi che resistono al nero della feroce dittatura salazarista e della seconda quello che si sottrae al regime di Franco e alla violenza soffocante di un perenne stato di polizia. Il ritratto di un giovane combattente repubblicano, scomparso in una fossa comune di Franco (Malaga 2001) è in un gesto, mosso dalla tenerezza, che accoglie in una mano l’istantanea di un soldato morto giovane e strappato a un destino di occultamento alla maniera dei griots, i custodi della memoria, che in Africa tramandano la storia orale ai più giovani, sotto gli alberi delle parole.

Mario Dondero, Ospedale di Emergency, Kabul (2006).

Nel 2006 a Kabul, con Emergency, un giovane medico solleva le mani davanti al corpo di un uomo martoriato dall’ennesima guerra mentre gli occhi di un altro ci fissano dalla fessura di una cella, in un carcere. Volti e corpi non sorpresi da nessuna violenza se non quella di cui le loro vite sono la più dolorosa testimonianza. Una persona alla volta secondo quanto ricordato da Gino Strada nel suo ultimo libro (Feltrinelli, 2022), il racconto di chi ha scelto di curare bene tutte le vittime, indistintamente, e dall’altro di chi ha scelto di fotografare, nel divenire delle società e della storia, tutte e tutti, ma una e uno alla volta.

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