Vacanze intelligenti tra circostanze e virtù

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Nicole Gravier, Legge la lettera. Mythes et Clichés. Fotoromanzi, serie Attesa, 1976-80, collage su fotografia, cm 30x40

Classica definizione del termine vacanza: «la condizione di essere o di rimanere vacante»; «intermissione, temporanea cessazione di un’attività» in particolare «intervallo di riposo, di uno o più giorni, che nella ricorrenza di una festività o per altra circostanza viene concesso agli studenti e agli impiegati»; ma anche «riposo più o meno lungo dalle proprie ordinarie occupazioni che una persona si concede (se svolge attività autonoma), o si fa concedere (se è in posizione subordinata)»; e, in senso figurato, «mandare il cervello in vacanza, smettere di pensare, di lavorare in modo attivo col cervello».

A questo punto la domanda si pone: quanti di noi si concedono oggi o si fanno concedere questo tipo di vacanza? E ancora, le vacanze intelligenti possono rientrare nella classica definizione da vocabolario che le indica come una conciliazione tra riposo e «attività di svago culturale»?. Ma c’è di più: come si è arrivati a una tale scissione del tempo di vita in tempo di lavoro e tempo libero?

È il più grande storico dei nostri tempi, Edward P. Thompson, a fornirci la chiave interpretativa di un fenomeno che da più di due secoli struttura le nostre esistenze. In poche pagine Thompson risale alle origini di ciò che ci pare normale, ordinario, dato una volta per sempre, mostrandoci invece le ragioni tutte storiche (e quindi modificabili) di ciò. È infatti la transizione al capitalismo che impone il cosiddetto senso del tempo, il calcolo di esso quale mezzo di sfruttamento del lavoro. Sì perché il nostro ereditato senso delle vacanze ha a che vedere con il tempo, con una data percezione di esso: quella propria di determinati assetti di potere, rapporti sociali, relazioni di proprietà, organizzazione del lavoro e suo disciplinamento.

La disciplina del tempo si impone in un determinato momento storico, conseguentemente a un certo modo di produzione. Essa produce violenza, comporta interiorizzazione ma genera anche resistenza, lotta e ribellione. Essa d’altronde fa scoprire alle classi dominanti quello che Thompson chiama il problema del tempo libero – vacante – delle masse, disciplinato, occupato, colonizzato, messo a valore e spesso irregimentato. Le ragioni sono storiche: nella società capitalistica matura, scrive Thompson, tutto il tempo deve essere consumato, utilizzato, venduto: «per la forza-lavoro è sconveniente semplicemente passare il tempo».

Qui si produce la netta demarcazione tra vita e lavoro. Ma è sempre qui che si pongono le basi di un conflitto, di un’eccedenza non controllabile. E allora è il caso di chiedersi ancora: possono gli esseri umani «perdere quella urgenza irrequieta, quel desiderio di consumare il tempo in modo produttivo che tanti individui si portano dietro così come portano un orologio al polso?». E in fondo, di converso, tutto questo non ha a che vedere con l’idea di vacanza ereditata e con tanta precisione definita, ritagliata, omologata e imposta?

Ebbene sì, forse le nostre vacanze intelligenti possono provare ad assomigliare alla suggestione del grande storico inglese. Quella secondo la quale in una diversa circostanza – in cui divenga meno impellente la connotazione produttiva dell’uso del tempo libero – gli esseri umani «potranno avere bisogno di re-imparare alcune delle arti di vivere perdute nella rivoluzione industriale: come riempire gli interstizi delle giornate con relazioni personali e sociali più ricche e più piacevoli, come abbattere ancora una volta le barriere tra lavoro e vita»1.

Ebbene sì, forse le nostre vacanze intelligenti possono provare a opporsi a quella divisione tra corpo e spirito che Baruch Spinoza aveva ricondotto a unità, pensando come identici i due lati dell’individualità precedentemente formulati come opposti e ripresentati come tali nella divisione tra il cosiddetto lavoro manuale e il lavoro intellettuale2.

Note

Note
1E.P. Thompson, trad.ital. Tempo e disciplina del lavoro, et al., 2010
2E. Balibar, trad.ital., Le frontiere della democrazia, Manifestolibri, 1993

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