Odiare le vacanze come il lavoro

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Anna Oberto 1974, L'Utopico. Eanan o vivere gioiosamente e lavorare con interesse, scrittura a grafite, polaroid, collage e oggetto su cartoncino Schoeller, cm 72x50

Dato che le vacanze sono un’appendice del lavoro, occorre abolire le vacanze così come occorre abolire il lavoro. Ogni lavoro, mica il lavoro salariato e basta, ogni lavoro compreso quello che io sto facendo in questo momento con l’idea – comandata, ho ricevuto un compito – di diffondere parole intelligenti e utili (utili, poi!). Nell’attesa occorre odiare le vacanze così come si odia il lavoro.

L’atto di lavorare, dico. Non meniamola con la solita storia del lavoro nel regime capitalistico, il lavoro obbligato, il lavoro dominato, il lavoro per il profitto di altri, ecc. ecc. Eh no, smettiamola. Occorre odiare il lavoro perché non si è mai visto nella storia dell’uomo e della donna e del/della trans un solo grammo di lavoro che non sia stato comandato. A parte la bellezza, l’originalità del prodotto, il prodotto culturale e quindi politico? Sempre obbligo è, sempre comando è. Interiore? Ancora peggio! Si potrebbe dire autosfruttamento. E questo basta e avanza, non c’è bisogno del peggiorativo del profitto di qualcuno che, tra l’altro, non sei tu che lavori, non sono io che lavoro.

Ma torniamo a quel bel corollario del lavoro che sono le vacanze. Stacchiamo, finalmente stacchiamo, si sente dire in giro in questi giorni. Ma che stacchi, ma che staccate? Per favore! Si stacca dal lavoro, forse, ma no, si sa che siamo sempre al lavoro oggi col biopotere (ma sarebbe il caso di capire se non era così anche ieri) quindi non si stacca un bel niente dal produrre, dal faticare, dal violentare il proprio essere. Il fatto è che la cosa ancora più vera è che si stacca dai piaceri, quelli possibili che pure – incredibilmente – ci sono durante i periodi di non-vacanza.

Il sesso nelle vacanze va in vacanza, lo sanno tutti, il fare l’amore si accantona, ammesso che prima lo si sia considerato per quell’immenso valore che ha, il che non credo, poi si mettono in naftalina le chiacchiere avvincenti, interessanti, sul tema, per esempio, che la rivolta non c’è ma ci sarà, siamo depressi, siamo non-ribelli ma non è detta l’ultima parola, e poi è già rivolta e piacere del discorrere per trovarsi e riconoscersi questo parlare di quanto è finita, forse, di quanto è tutto vano, perché ciò che è diventato vano è ciò che ci fa sentire, follemente, vivi. Sul disincanto come conflitto, del resto, sappiamo già tutto, casomai nel discorrere si enunciassero alcuni principi del disincanto: non c’è nessuna finalità di mondo nuovo, siamo vispi e dissenzienti perché vogliamo il piacere non per altro. E così via.

Ma tutta questa meraviglia del discorrere viene messa tra parentesi durante la vacanza. Troppo impegno di rosolarsi di tuffarsi di fare trekking, e naturalmente lo chiamano ritemprarsi invece che rincoglionirsi! Il grido «ci vediamo in settembre» rimbalza da una spiaggia all’altra da un whatsapp all’altro. Come si avverte chiaro, fresco, dolce, tale e quale le acque del Petrarca, che questo è un grido di speranza, è il suono dell’ultima ennesima illusione. La magnifica illusione (ossessione) di riprendere il filo del sesso, del fare l’amore (la differenza tra le due cose è tutta da discutere, ma lasciamo perdere, mettiamo la questione tra parentesi, in vacanza), dell’incontrarsi per stimolarsi per darsi piacere con il fantasticare – impagabile – di rivolta.

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