Guattari: per un cinema dell’infra-quark
Una conversazione su UIQ
Negli anni Ottanta Félix Guattari scrive la sceneggiatura per un film di fantascienza, Un amour d’UIQ, mai realizzato. Quel testo è stato ora tradotto da Silvia Maglioni e Graeme Thomson che ne hanno curato e introdotto la pubblicazione per la Luiss University Press nella collana Nautilus. In occasione dell’uscita di questo testo, finora inedito in italiano, proponiamo una conversazione di Mattia Pellegrini con i curatori.
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Sono passati tre decenni dalla morte di Félix Guattari. Trent’anni in cui quasi tutto è cambiato. Leggendo i suoi testi, ripercorrendo le sue lotte, scrutiamo una postura da veggente. Veggenza che in maniera singolare appare in questo cinema che manca, in questa sceneggiatura fantascientifica scomparsa che avete scovato. È uscito finalmente anche in italiano, dopo la pubblicazione in francese, inglese e spagnolo, UIQ. Pubblicazione che avete introdotto, tradotto e curato. Diverse cose allo stesso tempo: Com’è avvenuto l’incontro?
SM: Eravamo a Parigi da qualche anno. Per sfuggire ai postumi del regime berlusconiano e nel tentativo di reincantare il nostro quotidiano, avevamo deciso di partire alla ricerca degli studenti e delle studentesse di Deleuze che comparivano nei seminari degli anni Settanta, filmati da Marielle Burkhalter e trasmessi da enrico ghezzi, con l’intenzione di realizzare un film. Erano gli anni straordinari della preparazione di Mille piani. Dal fumo della sala di Paris VIII si potevano vedere emergere, a poco a poco, la viseità e il molecolare attraverso le componenti più svariate: l’ano del capro e il volto del despota, i buchi neri e i muri bianchi, il volo stocastico delle zanzare e la teoria delle catastrofi, Moby Dick, i vampiri e i lupi mannari, il divenire-nebbia di Mrs Dalloway… Con la partecipazione attentissima di una sala gremita di gente estremamente eterogenea, spesso interveniva anche Guattari. Durante quelle nottate fuori-orario ci eravamo ritrovati a prendere appunti davanti allo schermo come se fossimo stati anche noi ai seminari di Deleuze negli anni Settanta, catturati dalla macchina del tempo di Vincennes. Fu allora che decidemmo di partire alla ricerca di quei personaggi che avevamo intravisto nei video e cosi’ è nato Facs of Life, un lungometraggio sperimentale tra documentario e finzione. Dopo una presentazione del film a Parigi, un amico di Deleuze e Guattari si avvicinò cautamente, come un agente segreto, per darci una missione: Dovete andare agli archivi Guattari dell’IMEC, ci troverete una scatola nera con un film di fantascienza di Félix mai filmato né pubblicato, un progetto infra-galattico immaginato in collaborazione con il cineasta americano Robert Kramer…
Guardando il vostro film In Search of UIQ, ispirato ai progetti cinematografici di Guattari, ho immediatamente avuto la sensazione di non poter separare la mia esperienza, le orme lasciate sui ricordi, da Facs of Life. Già appariva lì, nell’alterazione di temperatura del colore dentro le immagini di archivio delle lezioni di Vincennes, qualche cosa di apparentemente lontanissimo e allo stesso tempo così radicalmente vicino. Vi siete immersi in altri archivi: Che tipo di tesoro avete trovato?
SM: Nei mesi di ricerche abbiamo trovato tre versioni del film di fantascienza Un amour d’UIQ (1980-1987), una sceneggiatura per un cortometraggio sulle radio libere (1977), un progetto di film sull’Autonomia (1979) che avrebbe coinvolto Laura Betti in uno dei ruoli principali… e una serie di documenti che ci permettevano di vedere questo cinema che manca: budget, appunti, disegni, un’improbabile lettera da Hollywood del produttore di Incontri ravvicinati del terzo tipo, una misteriosa missiva a Michelangelo Antonioni…
GT: Un amour d’UIQ racconta l’incontro tra un gruppo di squatter e una particella infinitamente piccola proveniente da un ceppo mutante di cianobatteri, l’Universo infra-quark (UIQ), una scoperta che avrà degli effetti irriversibili a livello pianetario. Come scriviamo nella nostra introduzione, si tratta di un film sospeso tra cyberpunk e cinema sperimentale che immagina nuovi orizzonti per una fantascienza politica e irriverente, poetica e allo stesso tempo spettacolare, anticipazione visionaria dell’infosfera e della sua ubiquità molecolare, della cattura granulare del desiderio e della perdita della finitude legata alla tirannia del digitale.
SM: Questi progetti cinematografici rappresentano anche una sintesi interessantissima delle pratiche schizoanalitiche, ecosofiche e molecolari di Félix, della sua passione per l’Autonomia e per Radio Alice. Pubblicare la sceneggiatura è stato un po’ come liberare il batterio di UIQ dagli archivi in cui era rimasto per più di 25 anni. L’archivio per noi è sempre stato una zona di fabulazione dove si possono ritracciare costellazioni di alleanze, uno spazio potenziale che permette di entrare in un rapporto diverso con il tempo. Per l’edizione francese, pubblicata da Éditions Amsterdam nel 2012, oltre alle sceneggiature abbiamo deciso di includere anche i documenti di produzione affinché i lettori e le lettrici potessero produrre il film nella propria mente. Sci-fi futures. Narrazioni speculative. Ecosofia dell’incompiuto…
Tre sceneggiature, tre tentativi che ci lasciano una traccia del desiderio di Guattari di trovarsi nella possibilità di costruire immagini-in-movimento. Mi hanno molto colpito le note di regia, una sorta di preludio in cui delinea la sua posizione mobile all’interno di questa esperienza. Come se il territorio-cinema possa divenire un luogo privilegiato di trasversalità, in cui praticare le deterritorializzazioni: nell’incoscio, nelle psicosi, nell’autoanalisi ma anche nelle pratiche artistiche, nella militanza, nei concetti, nelle derive tecnologiche. Penso che l’aspetto fondamentale di ogni procedimento analitico sia proprio la creazione di un sistema originale di espressione, una cartografia adatta alle singolarità del problema soggettivo che si sta affrontando. In un certo senso questo film rappresenta anche una sorta di autoanalisi e le diverse stesure della sceneggiatura nel corso degli anni sono state di per sé un’esperienza analitica che continuerà nella fase di produzione.
SM: Le note di regia sono uno strumento straordinario che ci ha accompagnato per anni nei nostri tentativi di realizzare film al di fuori dell’industria capitalista dello spettacolo. Colpisce molto il desiderio di Guattari di lavorare collettivamente all’invenzione di nuove forme, e le riflessioni sul ruolo politico del cinema nella costruzione delle soggettività: Sono particolarmente entusiasta di poter lavorare collettivamente alla fabbricazione di nuove immagini. Il cinema è uno straordinario strumento di produzione delle soggettività. È politico, qualunque sia il suo soggetto. Ogni volta che viene rappresentato un uomo, una donna, un bambino o un animale, partecipa a una microlotta di classe e contribuisce alla produzione di nuovi modelli di soggettivazione. In qualsiasi film, in qualsiasi sequenza, in qualsiasi inquadratura, ci si ritrova a dover fare la scelta tra un’economia conservatrice del desiderio e un’apertura verso dei possibili rivoluzionari. Come sostiene Jean-Luc Godard, non basta fare film che parlino di politica, bisogna fare cinema politicamente.
GT: E per fare cinema politicamente è necessario sovvertire l’organizzazione gerarchica della produzione e lavorare in modo trasversale per favorire la nascita di nuovi modelli di desiderio. È per questo che Guattari immagina di collaborare con artisti, coreografi, pensatori, architetti, musicisti. Nei suoi appunti fa riferimento al pittore cileno Robert Matta, all’artista giapponese Minami Tada e a figure della musica elettronica d’avanguardia come Ryuichi Sakamoto e Laurie Anderson. Nel contesto specifico della fantascienza, il tipo di aperture di possibili che Guattari immagina per il suo film si manifestano principalmente nell’incontro tra UIQ (entità priva di limiti spazio-temporali) e gli umani. Ma la sceneggiatura sovverte ironicamente la sovradeterminazione binaria dell’alieno tipica di un certo cinema hollywoodiano, che lo rappresenta spesso come visitatore messianico o come minaccia per l’umanità. Per Un amour d’UIQ, Guattari vuole creare un’atmosfera di instabilità anarchica a tutti i livelli (la soggettività di gruppo dello squat, le singolarità dei personaggi, l’ibridazione dei codici di genere, il rapporto con gi animali e la natura…), in una sorta di assemblaggio animista inter-specie.
L’industria dello spettacolo sussume, depotenzia, passa oltre. Oggi, forse più che mai, si attacca ai divenire minoritari per portarli a sé. La dimensione politica è anche quella del nemico. Parte della vostra ricerca in relazione al cinema di Guattari è stata proprio quella di creare occasioni per fabbricare collettivamente nuove immagini, come risposta possibile al come abitare un fuori?
GT: La nostra idea negli anni è stata quella di creare una serie di forme parallele a quello che poteva essere, o avrebbe potuto essere, il film di Guattari. Ogni forma offre una porta d’accesso all’universo molteplice di UIQ. Questi progetti transdisciplinari (performance, pubblicazioni, workshop, un trailer radio, opere sonore e installazioni, il film In Search of UIQ…) sono membrane che si contaminano a vicenda a costituire una zona di indeterminazione in divenire, uno spazio di inoperatività fruttuosa. Per l’opera sonora polifonica UIQ: the unmaking-of, che è diventata anche una sorta di film invisibile, abbiamo organizzato una serie di incontri in vari paesi del mondo a cui abbiamo dato il nome di seeances. Ispirati da un saggio di Pasolini che analizza come la sceneggiatura di un film mai girato sia una potenzialità sempre sul punto di divenire film che invita continuamente le lettrici e i lettori a collaborare alla sua realizzazione virtuale, il nostro punto di partenza è stato leggere collettivamente frammenti di Un amour d’UIQ (che stavamo traducendo inglese) in varie parti del mondo e condividere le visioni di come il film avrebbe potuto essere. Le location, i personaggi, gli effetti e gli affetti… È stata una esperienza fantastica che abbiamo registrato e riassemblato in una composizione surround a 75 voci. In questo modo il film di Félix può esistere nelle molecole desideranti della sua non-produzione. Ed è un invito per chi ascolta a continuare con nuove visioni, all’infinito.
Vorrei adesso chiedervi a proposito del viso, della viseità. È uno dei piani di Mille piani, Anno zero, viseità. Qui ritorna nella volontà di un universo, UIQ, di possedere un viso.
SM: All’inizio del film UIQ non ha volto né voce, è un universo invisibile ma presente ovunque nella materia, una sorta di infra-mince. Tuttavia, per poter comunicare con gli squatters (definiti da Guattari naufraghi di una nuova catastrofe cosmica… gli anni Ottanta?), UIQ sente la necessità di crearsi delle forme di visibilità riconoscibili dagli umani. Questo bisogno di farsi un corpo, e come dici tu giustamente un viso, è anche il risultato di concatenamenti macchinici che coinvolgono quello che chiamiamo oggi l’infosfera. È interessante notare come UIQ sia destinato a deterritorializzarsi continuamente in una infinità di schermi, avatar, ologrammi, body-snatching… una caratteristica che condivide con la sceneggiatura e le sue diverse versioni irrealizzate.
Nel vostro film ponete una domanda che ci pungola e ci pungola ancora: Come destituire il potere del viso nella tirannia della visibilità?
SM: Fin dall’inizio, nel nostro modo di lavorare con la sceneggiatura abbiamo cercato di non sabotarne le qualità che derivavano proprio dalla sua mancata realizzazione. Come evitare di cadere nella tirannia della viseità, di dare alla sceneggiatura una forma definitiva trasformandola in opera chiusa? Come diceva Graeme, per noi l’unico modo di preservare le potenzialità di UIQ è stato lavorare per linee di désœuvrement secondo cui l’assenza di opera non è assolutamente una mancanza, ma una forza destituente che fa scaturire continui processi di intensificazione. Questo cinema dell’infra-quark ci fa sognare personaggi di fantascienza opachi, per usare un termine caro a Glissant (grande amico di Guattari), come le forze insurrezionali della costellazione zapatista, hacker o black-block. All’inizio del film UIQ si manifesta sotto forma di interferenze: l’infinitamente piccolo ha un immenso potenziale di sabotaggio mediatico.
Altro elemento che emerge e che ci riporta alla veggenza di Guattari è l’avvento di un virus che si muove nell’infosfera, anticipando il continente internet e tutto quello che oggi possiamo chiamare Impero virtuale. Virus, contagio, molteplicità delle informazioni…
GT: Negli appunti che accompagnano la sceneggiatura, Guattari spiega che il dramma di UIQ è «parallelo a quello che stanno attraversando le nostre società contemporanee oppresse da un aumento esponenziale di forme computerizzate di pensiero e sensibilità, e dalla digitalizzazione sempre più diffusa di operazioni materiali e mentali non facilmente riconciliabili con i territori esistenziali che delimitano la nostra finitudine e il nostro desiderio di esistere».
Il fatto che UIQ provenga da un batterio e si trasmetta per contaminazione virale attaccando i sistemi di comunicazione potrebbe essere letto oggi, con le dovute precauzioni, in relazione alla pandemia. Come scrive Bifo, se vogliamo comprendere gli effetti sociali e psichici dell’evento virale, pur senza negarne il carattere biologico, dobbiamo riconoscere l’importanza dello spazio in cui circola, vale a dire l’infosfera: i media ne sono invasi in maniera devastante, producendo un surplus di infezione psichica. Un po’ come accade nella pandemia inter-specie alla fine di Un amour d’UIQ, l’accettazione del new normal è stata alquanto rapida, in particolare per quanto riguarda il lavoro e la socialità, che sono stati completamente sussunti dal digitale, per non parlare dell’effetto che ha avuto sui corpi e sui processi di soggettivazione. Ma se si considera il virus come forza trasversale e intelligenza analitica, possiamo affermare che la pandemia ha reso ancora più evidenti le ingiustizie sociali, le contraddizioni del sistema capitalistico e la sua violenza necropolitica.
Per tornare al vostro film, In Search of UIQ: ad un certo punto, muovendovi al di fuori dalla sceneggiatura seguendo linee di fabulazione, decidete di incontrare una cartomante chiedendole di Uiq come si chiede di una persona cara, come si chiede di una persona morta. Negli spazi oscuri tra le stelle…
SM: La sequenza di cui parli si svolge a Los Angeles. Eravamo andati a Hollywood per filmare una conversazione con Michael Phillips, il produttore di Spielberg e di Coppola a cui Guattari aveva mandato la sceneggiatura di UIQ negli anni Ottanta. Parlando con Philipps, che sembra molto interessato al progetto, Graeme si è trovato a rifare il pitch del film in una sorta di re-enactment spettrale. Poi, vagando per Venice Beach, abbiamo sentito il desiderio di consultare una lettrice di Tarocchi…
GT: Si possono trovare molte similitudini tra una lettura di Tarocchi e lo sviluppo di una sceneggiatura classica. Nelle letture più convenzionali, le domande sono spesso legate al tentativo di un individuo di superare ostacoli o raggiungere obiettivi, dunque la trama suggerita dalle carte risponde a queste esigenze. Uno degli aspetti più comici dell’incontro con la cartomante è stata la difficoltà di farle capire che volevamo che leggesse la vita e il destino di un film incompiuto, e che Silvia era in un certo senso l’intermediaria de-individuaizzata di UIQ, entità molteplice, invisibile e senza forma predeterminata.
La cartomante si rivolge a Silvia parlando dell’universo infra-quark: L’hai mai visualizzata? L’hai mai vista? Devi averla intravista ma era come nascosta, puoi sentirla ma non puoi vederla. La percepisci quando sei nel dormiveglia quando stai per addormentarti è come se si potesse toccare… Una forma di spettro, di immagine ipnagogica, una sensazione che possiamo dire di aver vissuto quando entriamo in relazione con uno studio, con potenze non totalmente afferrabili che ci abitano fino alle viscere. Ma Uiq è un universo potentissimo, estremamente intelligente, a contatto con le emozioni umane però regredisce, trafitto dalle passioni tristi, ad uno stato infantile. Uiq sembra veramente non far altro che camminarci a fianco, sopra, sotto… attraverso. Cosa ci dicono i tarocchi? Cosa vi attira di questo mezzo per indagare il futuro?
GT: L’esperienza con la cartomante ci ha portato a riflettere più a fondo sui possibili rapporti tra tarocchi e cinema. Qualche anno dopo le riprese a Los Angeles, siamo stati invitati a partecipare a una mostra di Jodorowski a Bordeaux e, osservando le installazioni faraoniche delle scenografie e degli Arcani Maggiori da lui restaurati, ci siamo chiesti: Anziché realizzare immagini cinematografiche ispirate ai Tarocchi perché non realizzare dei Tarocchi che utilizzino le immagini cinematografiche? Così è nata l’idea di realizzare il Dark Matter Cinema Tarot, per sperimentare collettivamente come queste immagini, arcani dell’inconscio moderno, possano aprire nuove visioni, nuovi immaginari politici.
SM: E nuove forme di generosità e storytelling, in cui saperi e non saperi possono mescolarsi in modo inclusivo e non gerarchico attraverso la magia delle carte. In questa catastrofe che stiamo vivendo, abbiamo sempre più bisogno di strumenti che ci permettano di trovare nuove forme di reincanto, dialoghi con l’invisibile, relazioni inedite fra umani e non umani (è forse una delle lezioni di UIQ!), cosmologie dimenticate o soppresse… Zone liminali in cui prepararsi ad aprire al molteplice, ad accogliere i fantasmi.
GT: Si potrebbe pensare al Dark Matter Cinema Tarot come a una tecnologia vernacolare. La procedura è molto semplice. Organizziamo un Comitato Notturno e invitiamo una persona a porre una domanda importante che possa interessare la collettività, a burning question. Poi tiriamo le carte e procediamo a interpretarle collettivamente. Attraverso le descrizioni, le narrazioni e le ipotesi che emergono dalle immagini, si formano sorprendenti costellazioni di voci, gesti, situazioni, relazioni… elementi che resterebbero invisibili nei film da cui provengono. Abbiamo iniziato il progetto a Parigi nel 2016, durante una residenza d’artista. Ora il Dark Matter Cinema Tarot è diventato un progetto nomade e le letture che abbiamo organizzato in musei, spazi alternativi e festival (Barcellona, New York, Madrid, Atene, Bilbao, Rotterdam, Yerevan, Lecce, Bombay, Palermo…) ci confermano che si tratta di uno strumento estremamente potente.
Siamo arrivati alla conclusione di questa conversazione ma mi auguro ci saranno nuove occasioni, nuovi balbettamenti, quando porterete il libro, e magari anche il film, in giro per l’Italia. L’ultima domanda che vorrei porvi ha a che fare con la dimensione editoriale. Come si incontrano la vostra ricerca, il cinema mancato di Felix Guattari e la Luiss University Press ?
SM: Da tre anni circa viviamo (principalmente) tra Parigi e Palermo, una deterritorializzazione che ha creato le condizioni per lavorare all’edizione italiana di UIQ, dopo quella americana (Univocal/Minnesota Press) e argentina (Caja Negra). Abbiamo stabilito che ogni edizione dovesse essere singolare, diversa dalle altre, per cercare di risituare l’effetto-UIQ nel contesto politico e culturale in cui si manifesta. Ci piace pensare al cinema dell’infra-quark come un’archeologia del futuro. È stato Simone Arcagni, professore di cinema a Palermo e, tra i tantissimi altri progetti, co-direttore della collana Nautilus con Daniele Rosa per Luiss, a proporci la collaborazione. L’idea di Nautilus è pubblicare racconti senza tempo di un tempo ancora da venire. Ci è sembrata una costellazione adatta a UIQ che, come la caosmosi, si trova al crocevia tra attualizzazione di configurazioni finite e ricarica processuale, sempre ancora possibile, sempre da reinventare, supporto di biforcazioni inedite e di conversioni energetiche che sfuggono all’entropia delle stratificazioni territorializzate per aprirsi alla creazione di concatenamenti di enunciazione mutanti.
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