Che cos’è uno sciopero nell’epoca della vita al lavoro? Quando il lavoro di riproduzione, di cura, di linguaggio, d’affetto esce dalla scena domestica e si piazza al centro dei dispositivi della subordinazione >…
Ceci n’est pas une masculinité
Marea vs Moltitudine
1. Che cos’è una maschilità
Sono a mio (dis)agio nel genere assegnatomi alla nascita; ne porto i segni e li performo; li uso e li gioco come sono stato educato a fare da un’educa(stra)zione eteropatriarcale. Il genere è epidermico, ma come performare l’orientamento? Metto in mostra due basette à la Lupin, un baffo à la John Holmes, un pizzetto à la Jafar. Composizione tecnica della maschilità: non mi libero dell’aspettativa sui caratteri secondari, ma posso giocarli riassemblandoli in un eccesso parodico. Ceci n’est pas une masculinité, è la sua parodia: infesta questo corpo, organizza questo spazio, attraversata da una perturbazione appena percepibile. La mia educazione da padre-padrone confligge prima di tutto con la situazione presente dell’ordine binario dei generi: non posso ordinare o comandare, «l’altro genere» – scriveva un suicida – «non ha bisogno di me»1; posso disporre il comando ma la truppa è insubordinata, la soggettivazione femminile travalica i confini dei movimenti femministi e in tutto il corpo sociale ha disposto e prodotto nuovi modi di «essere donna». «Ironia di questo dispositivo: ci fa credere che ne va della nostra “liberazione”»2.
Fin qui il mio privilegio e i suoi limiti: sono assegnato al genere dominante, posso aggredire lo spazio pubblico e prendere parola, parlare a lungo, interrompere, zittire; posso ottenere credibilità ed essere ascoltato
Eppur comanda un ordine dei generi che rimane insostenibilmente binario; comanda la presenza o assenza di utero – non posso parlare di «maternità» – o di pene: è il limite del discorso di Lacan, prontamente rintuzzato da generazioni di femministe in lotta. Non abbiamo distrutto l’eteropatriarcato: Lui parla ancora, la voce flebile e invecchiata, stanca e un po’ più frivola, un po’ piagnucolante elemosina pietà dalla guerra dei generi. Il Padre parla, il Padre mi parla: ogni Edipo ha il suo Antiedipo e la spartizione è sempre fra fratelli. Le sorelle hanno operato il taglio, ma la ferita si è rimarginata3. Certo, resta la cicatrice. È questa l’ontologia politica del post-patriarcato: il Padre parla, Amleto fugge e non prende il trono (ma Ofelia non è interpellata). Fin qui il mio privilegio e i suoi limiti: sono assegnato al genere dominante, posso aggredire lo spazio pubblico e prendere parola, parlare a lungo, interrompere, zittire; posso ottenere credibilità ed essere ascoltato; sono supposte mie competenze informatiche, manuali, tecnico-pratiche, oltre a una grande capacità teorica e l’occultamento necessario della componente personale ed emotiva: boys don’t cry. Si suppone che io scopi tanta fica, e se non lo faccio sono uno sfigato che non sa prendersela, o la fica è troppo tenace, troppo libera, il femminismo è andato troppo in là, il femminazismo sta esagerando. Ma la mia educazione da padre-padrone confligge anche col mio orientamento sessuale. E su quel punto non c’è mascolinità fragile che tenga.
2. Questo non è un maschio
La mia comunità di riferimento cambia a seconda della componente della mia identità che scegliamo di considerare. È la comunità gay prodotta come bacino di consumo di un circuito definito di locali notturni? È l’omosessualità politicizzata esclusivamente a partire dal tema dei diritti omosessuali? È il movimento, il partito, l’associazione – maschile ed eterosessuale anche quando agito da donne – che porta avanti la lotta di classe
A me piace il cazzo, e mi piace anche nel culo. Non è epidermico, ma lo è diventato nel momento in cui ho deciso di giocare politicamente il mio orientamento sessuale (o almeno la sua componente che a oggi risulta prevalente nelle pratiche). E per quanto l’habitus del genere non sia un abito intercambiabile4, il coming out resta un atto politico di rottura nei termini in cui modifica il regime di visibilità5. Questo corpo in questo spazio (in uno spazio maschile, cisgender ed eterosessuale) è un corpo educato al maschile e ne parla la lingua, magari con un accento vagamente estraneo: è continuamente attraversato dalla differenza di una declinazione al femminile, di una gestualità frocia in parte costruita, in parte ri-costruita: non ero abbastanza maschio, anzi, ero una checca, e dai quindici ai vent’anni ho dovuto imparare a parlare il maschile eterosessuale; ho dovuto poi imparare nuovamente a disfarmene e a parlar frocio, a rendermi partecipe della costruzione collettiva di una gaia scienza6. A divorziare dal patriarcato, che ancora mi deve gli alimenti: datemi un reddito di autodeterminazione anche come risarcimento di un lavoro politico. E tutto questo con che alleati? Qui tutto il rischio della lotta intersezionale: la mia comunità di riferimento cambia a seconda della componente della mia identità che scegliamo di considerare. È la comunità gay prodotta come bacino di consumo di un circuito definito di locali notturni? È l’omosessualità politicizzata esclusivamente a partire dal tema dei diritti omosessuali? È il movimento, il partito, l’associazione – maschile ed eterosessuale anche quando agito da donne – che porta avanti la lotta di classe o per lo meno le rivendicazioni sul welfare?
E badiamo bene che non sono in salvo dal mio privilegio: la situazione è ancora quella descritta da Mieli nei suoi Elementi di critica omosessuale. Non c’è favolosità che tenga: «per quanto più elastica e gaia di quella dei racket politici tradizionali o ultrasinistri», la struttura dell’associazionismo o del movimento LGBT «rimane sovente […] sostanzialmente gerarchica»; le figure dei suoi leader, spesso, «sono patriarcali, anche sotto le piume e i lustrini, e reazionarie»7. Basterà pensare al percorso politico innescato dalla legge sulle unioni civili. Certo, adesso c’è il queer, c’è un movimento queer (inteso, però, all’italiana: e i limiti e i confini del «movimento» così inteso sono ancora quelli del Settantasette), ma non è detto che sia esente da retaggi patriarcali, e in ogni caso la sua separatezza rischia di non contaminare il mondo eterosessuale. Resta però un fatto: come soggetto che usa il proprio coming out nello spazio eterosessuale, agisco come soggetto imprevisto8. La dialettica del genere all’interno degli spazi misti coincide con l’esclusione del soggetto queer9, di volta in volta costretto ad assumere la parte dell’uomo o la parte della donna – non essendo alcuno dei due. E d’altro canto, chi di voi due fa la femmina?
3. Né classe, né massa, né popolo, né moltitudine: Marea
Sputiamo su Hegel di Carla Lonzi non va letto come un’ingiunzione all’estromissione accademica di Hegel10. Persino lo stesso Foucault era disposto ad ammettere – per quanto mal volentieri – che Hegel attende sempre dietro l’angolo11, e Michael Hardt ha voluto ricordare quanto più complesso sia il rapporto del post-strutturalismo con l’alfiere bianco (in tutti i sensi) della filosofia tedesca12. Ci stiamo perdendo più di qualcosa se leggiamo Lonzi – sostenendola o opponendoci a lei – in questi termini e a queste condizioni. La constatazione di Lonzi è storica e politica (lo comprende lo storico educato su Marx): dalla dialettica servo-padrone come dalla lotta di classe è di fatto estromesso il soggetto femminile, che agisce dunque da soggetto imprevisto producendo un taglio. Se vogliamo, per tener buono il sonno degli hegeliani, moltiplicando la dialettica. La dialettica scritta dagli uomini non prevede le donne, la dialettica scritta dai bianchi non prevede le/i ner*, la dialettica scritta dagli eterosessuali cisgender non prevede l’omosessualità, la transessualità, la bisessualità – anche quando cerca di tenerne conto e di includerla. Il soggetto imprevisto, operato il taglio, riarticola la dialettica – sta alle gambe su cui questa cammina di produrne la teoria, sta agli imprevisti soggetti plurali l’onere della formulazione teorica oltre che pratica. È per questo che la Marea non è classe, per quanto la lotta di classe sia inclusa nel processo; né massa indistinta, perché è distinta dalla connotazione di genere; né popolo, perché non cerca sovranità e non si scaglia contro «la casta» per prendere «lo Stato»; né moltitudine, perché ha un suo centro determinato. La Marea è donna, si auspica che sia una donna trans. Questo implica, naturalmente, un’analisi più serrata dell’ordine eterosessuale che dispone l’ordine dei generi e la sua gerarchia, l’individuazione delle sue lacune, falle, errori, altrettanti punti di resistenza su cui far leva per la sovversione dell’eterosessualità – mi pare questo il modo in cui si può interpretare e incarnare, nella situazione presente, l’impostazione del problema data da Federico Zappino13.
Ora, cosa vuol dire operare il taglio femminista che rompe il giochino dell’Edipo e dell’Antiedipo nella contingenza presente? Significa Non Una di Meno: uno sciopero globale delle donne nell’era del post-patriarcato, la riapertura della storica cicatrice in una fase diversa
Ora, cosa vuol dire operare il taglio femminista che rompe il giochino dell’Edipo e dell’Antiedipo nella contingenza presente? Significa Non Una di Meno: uno sciopero globale delle donne nell’era del post-patriarcato, la riapertura della storica cicatrice in una fase diversa. Vi appaiono all’interno i soggetti prodotti dall’ontologia storica di questo presente: le persone trans e non binarie, intersex, gender fluid, un tempo (e ancor oggi spesso) considerate agenti infiltrati del patriarcato; vi appaiono le lesbiche e i maschi omosessuali – i «narcisisti» che su base psicanalitica venivano considerati «maschi al quadrato», con un desiderio a circuitazione esclusivamente maschile. Compaiono sulla scena (o meglio, sulla bocca: evocate verbalmente e scarsamente presenti) le donne (cisgender e trans) migranti. Vi compaiono anche le mascolinità plurali, le mascolinità riformate, fragili, beta. Le metto all’ultimo. E non perché non ritenga importante la partecipazione in massa di maschi cisgender eterosessuali: ma perché per quanto detto sopra apparirà chiaro che al contrario delle froce, che non sono maschi solidali ma soggetti imprevisti dalle dinamiche eterosessuali (le stesse che dispongono la binarietà di genere che comporta la subalternità del genere femminile), dispongono di un privilegio che raramente mettono in discussione. È ciò che puntualmente è successo nelle assemblee di Non Una di Meno. Da questo punto di vista, l’analisi e il posizionamento adottati da somMovimento nazioAnale prendono plasticamente tutto il loro significato e rilevanza: dire che la violenza è maschile ed eterosessuale significa proprio denunciare quell’impossibile distinzione da una violenza maschilista ed eteropatriarcale, secondo il lessico che preferirebbe Eretica di Abbatto i Muri14. Distinzione impossibile finché quelle maschilità cisgender ed eterosessuali non si mettono in gioco politicamente, scioperando dal loro privilegio – dalle competenze supposte, dall’onere e onore della direzione politica, dall’ordine maschile ed eterosessuale che informa ancora le dinamiche di struttura. Se queste maschilità non si mettono in discussione fuori dallo spazio sicuro delle proprie strutture politiche, esponendosi al rischio di essere flutti nella marea, corriamo tutte e tutti il pericolo di sacrificare l’autenticità del gesto di rivolta all’organizzazione e al proselitismo15, col risultato di non conseguire nessuno dei due obiettivi (il rinnovamento delle organizzazioni, l’ampliamento del consenso e della partecipazione).
Note
↩1 | La lettera di Michele che si è ucciso a trent’anni perché stanco del precariato e di una vita fatta di rifiuti: «Messaggero Veneto – Edizione Udine», 07.02.2017 |
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↩2 | Foucault, Michel, La volonté de savoir. Histoire de la sexualité, 1 (Gallimard, 1976), ed. it. La volontà di sapere. Storia della sessualità, 1, trad. a cura di Pasquale Pasquino e Giovanna Procacci (Feltrinelli, 1978), p. 142. |
↩3 | Dominijanni, Ida, Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi (Ediesse, 2014), cap. VI, in part. p. 166. |
↩4 | Mi permetto di rimandare all’intervento introduttivo preparato e concordato insieme al collettivo Queersquilie in occasione della presentazione (Pisa, 06.03.2015) della nuova edizione italiana di Butler, Judith, Undoing Gender (New York; London: Routledge, 2004) trad. it. Fare e disfare il genere, a cura di Federico Zappino, prefazione di Olivia Guaraldo (Mimesis, 2014). |
↩5 | Sedgwick, Eve Kosofsky, Epistemology of the Closet (Berkeley; Los Angeles: University of California Press, 1990), trad. it. Stanze private. Epistemologia e politica della sessualità, a cura di Federico Zappino, prefazione di Silvia Antosa, in part. il cap. IV The Beast in the Closet (in it. La bestia nel closet; Ardilli, Deborah, Zappino, Federico, La volontà di negare. La teoria del gender e il panico eterosessuale: «il lavoro culturale», 14.07.2015. |
↩6 | Mieli, Mario, Elementi di critica omosessuale, introduzione, disp. online la versione basata sull’ed. 77 curata da antagonismogay al sito http://www.mariomieli.net/wp-content/uploads/2014/04/Elementi_di_critica_omosessuale.pdf |
↩7 | Ivi, p. 92. |
↩8 | Lonzi, Carla, Sputiamo su Hegel e altri scritti (orig. pubbl. 1970-1974), postfazione di Maria Luisa Boccia (et. al., 2010), ma si veda anche come Vinzia Fiorino ha saputo mettere in connessione il concetto di Lonzi con l’elaborazione di Fanon nell’introduzione alla nuova edizione di Fanon, Frantz, Pelle nera, maschere bianche, tradotta da Silvia Chiletti (ETS, 2015). |
↩9 | È uno dei principali limiti dell’analisi di Tiqqun, La comunità terribile. Sulla miseria dell’ambiente sovversivo (Roma: DeriveApprodi, 2003), della quale indico per comodità esclusivamente l’edizione italiana facilmente reperibile anche online al sito http://bloom0101.org/wp-content/uploads/2015/02/ITALcommunita.pdf. |
↩10 | Come invece fa, ad esempio, l’autrice di un articolo apparso su «Contropiano» a commento della conferenza romana C17, del quale sarebbe per altro verso opportuno cogliere alcuni spunti critici (fermo restando che il problema principale di questo articolo è il non riconoscere l’eterogeneità – qualitativa e politica – delle proposte intellettuali fatte a C17): http://contropiano.org/interventi/2017/01/27/comunismo-avanguardie-raggiri-intellettuali-088293 |
↩11 | Foucault, Michel, L’ordre du discours (Gallimard, 1971), ed. it. L’ordine del discorso e altri interventi, trad. di Alessandro Fontana, Mauro Bertani e Valeria Zini (Einaudi, 20042), pp. 54-55. |
↩12 | Hardt, Michael, Gilles Deleuze. An apprenticeship in philosophy (UCL Press, 1993) tr. it. Un apprendistato in filosofia, a cura di Girolamo de Michele (DeriveApprodi, 2016). |
↩13 | Zappino, Federico, Sovversione dell’eterosessualità, in Il genere. Tra neoliberismo e neofondamentalismo, a cura di Federico Zappino (Verona: Ombre Corte, 2016), pp. 186-207. |
↩14 | Eretica, La violenza di genere non è maschile, è maschilista ed eteropatriarcale: «Abbatto i Muri», 02.02.2017, disponibile online al sito https://abbattoimuri.wordpress.com/2017/02/02/la-violenza-di-genere-non-e-maschile-e-maschilista-ed-eteropatriarcale/. |
↩15 | Rivolta Femminile, Manifesto di Rivolta Femminile (1970), in Lonzi, Carla, Sputiamo su Hegel cit., p. 11. |
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