La crisi siamo noi

Alcune riflessioni sul tempo sospeso

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Jeff Bark, Joy (2019) - Paradise Garage, Palazzo delle Esposizioni.

Lo sapevate che almeno il 75% delle malattie diffusesi negli ultimi decenni sono zoonotiche, cioè trasmesse dall’animale all’uomo? Ad esempio il coronavirus era ospitato dal pipistrello, portatore sano del virus poi passato all’uomo. Diversi studi hanno mostrato come i rapidi cambiamenti climatici ed ecologici prodotti dall’attività umana inneschino una serie di reazioni a catena che spingono gli animali al di fuori delle loro solite nicchie ecologiche favorendo il contatto umano coi vettori, spesso portatori sani di queste malattie. Deforestazione, aumento delle temperature, urbanizzazione e in generale tutte le alterazioni di equilibri naturali stabiliti nel corso di millenni aumentano il rischio del così detto spillover, ovvero del contagio dell’uomo da parte di agenti patogeni provenienti dagli animali. Nello stesso tempo, globalizzazione, traffico aereo e la tropicalizzazione del clima aumentano vertiginosamente le possibilità di diffusione epidemiologica1.

Gli stessi farmaci e pesticidi utilizzati per combattere le malattie degli uomini e della produzione agroalimentare possono accelerare la mutazione genetica dei microbi e indurne la farmacoresistenza. Il nostro genoma è coevoluto insieme agli agenti patogeni, lungo tutta la storia dell’umanità, permettendoci di convivere con i parassiti che abitano i nostri corpi. Ora semplicemente non sta al passo con i rapidi cambiamenti dell’antropocene. Più in generale, secondo molti esperti, i cambiamenti climatici saranno la principale minaccia per la salute del XXI secolo, causando a detta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità circa 250.000 morti aggiuntive ogni anno fra il 2020 e il 20502.

Facciamo bene dunque a preoccuparci per i rischi pandemici di quest’ondata virulenta a cui assistiamo nostro malgrado impotenti. Tuttavia, come al solito, ci concentriamo sugli effetti senza risalire alle cause. Siamo costretti a questo punto a investire un fiume di denaro per un partenariato pubblico-privato per fronteggiare l’emergenza e alla ricerca di un vaccino che sconfigga il Covid-19. Facendo così finanziamo un’industria con giganteschi interessi nelle monocolture responsabili della deforestazione dei paesi in via di sviluppo (le case farmaceutiche sono i maggiori produttori di pesticidi e concimi chimici). Farmaci e pesticidi sono inoltre i diretti responsabili di quella che l’OMS considera una delle maggiori minacce alla salute globale, e cioè l’emergere di agenti patogeni farmacoresistenti3.

Ci scagliamo contro mulini a vento che sordi ci restituiscono il colpo. Fatichiamo a discostarci da quella stessa forma mentis che ci ha cacciato in questo pasticcio. Viviamo l’ennesima emergenza, l’ennesima crisi, senza accorgerci che la crisi siamo noi. Il caos in cui viviamo è il disordine da noi causato che ci viene restituito. Ma fino a quando saremo disposti a vivere in un perenne stato di emergenza e crisi, con le sue inevitabili ricadute sulla qualità della vita e del pensiero pubblico? Perché continuiamo ad alimentare questa spirale di disordine in cui veniamo a nostra volta risucchiati?

Un’ipotesi, è che sia in atto un mutamento antropologico, inscritto nelle nostre reti neurali e virtuali, che semplicemente ci impedisce di «stare fermi», di accettare la realtà delle cose. Siamo affetti da una acuta anestesia, o indisponibilità estetica ad accogliere le esperienze che attraversiamo e che ci attraversano. L’intelligenza collettiva diviene così un sistema chiuso in cui la novità, i dati primari dell’esperienza, faticano ad entrare. La quarantena, a cui tutti, in vario grado ci stiamo abituando è una metafora azzeccatissima della condizione postmoderna: miliardi di lavoratori cognitivi segregati in casa o in ufficio, in ansia per un’economia globalizzata, ipercompetitiva e in crisi.

Parallelamente, la vita pubblica viene totalmente appaltata al mondo virtuale. In questo modo si continua a produrre evitando tutti gli imprevisti del contatto umano. Eppure, come già aveva intuito Spinoza: «è solo stando all’interno della relazione con gli altri che è possibile comprendere e relativizzare le nostre tristezze e le nostre paure»4. Incapaci di «accorgerci» del mondo in cui viviamo, di sorprenderci del dolore e della meraviglia che ci circondano, continuiamo a perpetrarne le logiche senza mai giungere ad una sana evoluzione emancipatrice. Questa incapacità circola, e continuamente viene rimessa in circolo, come atmosfera emotiva di minaccia5 che determina sul nascere il nostro percepire e agire6, seppellendone il potenziale trasformativo.

In breve, ci siamo fatti prendere dal panico. Anticamente panico era considerata una bella parola. Il dio Pan era il simbolo della relazione tra l’uomo e la natura, cioè di quel flusso esperienziale irrefrenabile in cui siamo immersi. La cultura moderna si basa sul desiderio della dominazione e addomesticamento della natura. Così, il panico, il sentimento di immersione nella realtà originale, si è col tempo trasformato in qualcosa di terrorizzante e distruttivo. Lo psicoanalista James Hillman, nel suo Saggio su Pan, sostiene che perché il dio della totalità delle cose possa operare in noi, perché il dio che rende pazzi possa anche guarire la nostra follia, bisogna che ritroviamo un livello di percezione e di esperienza a cui la nostra storia ha tentato in ogni modo di impedire l’accesso anestetizzandoci.

Forse oggi la storia ci restituisce l’opportunità di sentire che ci eravamo sbagliati, che ci credevamo più forti di quel che eravamo. Il tempo sospeso in cui viviamo ci permette di contattare la nostra fragilità, la paura di morire, il bisogno e la distanza dell’altro, la responsabilità verso l’altro.

Note

Note
1https://it.businessinsider.com/perche-crisi-climatica-consumo-del-suolo-inquinamento-e-coronavirus-sono-legati-a-doppio-filo/
2Aillon J-L., Bessone M., Bodini C., a cura di, Un nuovo mo(n)do per fare salute: Le proposte della Rete Sostenibilità e Salute, Celid (2019).
3https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/antimicrobial-resistance
4Francesca Bonicalzi, L’impensato della politica. Spinoza e il vincolo civile, Guida, 1999, pp. 57-71
5Miguel Benasayag, Gérard Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, 2014.
6Tonino Griffero, Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica patica, Guerini, 2017.

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