Le promesse delle divinità ctonie

Farsi compost in questo mondo nei guai

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Jean Painlevé, Pâle d’une queue de crevette (1929) – Gelatin silver print

La difficoltà di tradurre da una lingua che non esiste ancora è notevole, ma non va tuttavia esagerata. Dopotutto, anche il passato può essere oscuro quanto il futuro. (…) lo stesso vale per le traduzioni della letteratura del futuro (o di un futuro). Il fatto che non sia ancora stata scritta, la semplice assenza di un testo da tradurre, non fa poi tanta differenza. Ciò che era e ciò che sarà forse dormono, come bambini di cui non scorgiamo la faccia in braccio al silenzio. Tutto ciò che abbiamo è il «qui», l’«adesso».
Ursula le Guin 

Mi trovo tra le mani questo «diario di viaggio di paesaggi mentali e terreni», Le promesse dei mostri c’è scritto in copertina. La scrittrice dà principio alla sua scrittura fornendoci indicazioni per posizionare se stessa e le sue lettrici. Il tempo, allora, è l’ultima decade del secondo millennio cristiano, il luogo è l’utero di una «creatura misteriosa e gravida». Leggo, oggi, non da quel grembo, ma mentre provo a farmi compost nello Chtulhucene:

Sto chiamando tutto ciò Chthulucene – per il passato, presente e quel che sarà. Questi tempo spazio reali e possibili non prendono il nome dal mostro misogino e razzista dello scrittore di SF H.P. Lovecraft, Cthulhu (notare il differente spelling), piuttosto prendono il nome da diverse potenze tentacolari grandi quanto la terra, forze e collettività che si chiamano Naga, Gaia, Tangaroa (esplosa dalle acque di Papa), Terra, Aniyasu-hime, Spider Woman, Pachamama, Oya, Gorgo, Raven, A’akuluujjusi, e moltissime altre1.

Le divinità ctonie vengono dal basso, dall’oscurità, portando con sé la potenza delle forze del sottosuolo, vulcaniche e sismiche. Anche loro mostruose, ma di mostri che amiamo […] La potenza ctonica è alternativa e resistente al Capitalocene 

Le divinità ctonie vengono dal basso, dall’oscurità, portando con sé la potenza delle forze del sottosuolo, vulcaniche e sismiche. Anche loro mostruose, ma di mostri che amiamo: capelli arruffati, tentacoli, zampe di ragno e code. La potenza ctonica è alternativa e resistente al Capitalocene (Parenti et al. 2016), un cadavere in putrefazione che appesta la Terra già danneggiata, ora più che mai nei guai.

Vecchi e nuovi «dispositivi di localizzazione», così come Donna J. Haraway nomina la sua «modesta teoria», ci collocano nel presente con l’urgenza della trasformazione. In questo tempo e spazio allocronico e allotopico si incontrano i suoi pensieri e qui ritrovo i suoi due testi Le promesse dei mostri, più decantato e finalmente in italiano, e il più recente Staying with the Trouble. Making Kin in the Cthulhucene (2016). Questo spazio/tempo è kainos, un tempo immanente in cui è accumulato il passato vischioso, il futuro da tramare, il presente alternativo e qualunque temporalità altra: «Kainos means now, a time of beginnings, a time for ongoing, for freshness. Nothing in kainos must mean conventional pasts, presents or futures» (Haraway 2016, 2).

SFs più vaste dell’impero

La navicella spaziale intergalattica parte per l’esplorazione del mondo 4470, un pianeta remoto da poco avvistato. Il volto futuro della colonizzazione è un mandato scientifico, i conquistatori sono fregiati del titolo di scienziati. Il potere di occupare è stato scalzato dal dovere di sapere e ogni membro dell’equipaggio della Ricognizione estrema parte armato della propria disciplina, tra scienze dure e morbide, sociali e tecniche. A loro stessi balena il dubbio su che tipo di disadattato lasci la propria esistenza dietro di sé, sapendo che la dilatazione spazio/temporale e la relatività del tempo metteranno anni luce e secoli tra loro, i loro cari e le vite passate per sempre. A bordo della Gum scienziati, ingegneri, biologi, psicologi. Solo uno tra loro non è esperto di alcuna macchina o disciplina, ma la sua capacità è proprio l’esperire, il sentire. Osden è un mostro insopportabile: brutta presenza, pessimo carattere. In ogni senso «senza pelle» come viene ridicolizzato, è proprio la sua capacità iper-empatica a renderlo tanto inviso all’intero equipaggio, poiché ognuno vede riflesse proprie paure e idiosincrasie. Se in un primo momento qualcuno tra loro pensa che sia stato inviato lì per un esperimento sociologico o per far fallire il progetto, sarà proprio l’empatia la chiave di volta della missione e dell’intero racconto Vaster than Empire and More Slow di Ursula Le Guin (1975).

«Nel mito della modernità chi è meno fazioso, chi ha meno interessi concorrenti? Chi è meno inquinato dall’eccessiva promiscuità, se non l’esperto, primo tra tutti lo scienziato?», con un certo sarcasmo la nostra guida modesta interpella attraverso la lettrice la figura dell’esperto, e più in generale del Sapere.

Persino meglio dell’avvocato, del giudice o del legislatore nazionale, lo scienziato è il rappresentante perfetto della natura, cioè del mondo oggettivo per sempre e per costruzione privato di parole. Che sia uomo o donna, la sua distanza senza passione è la sua più grande virtù, questa distanza discorsivamente costruita e strutturalmente genderizzata legittima il suo privilegio professionale, che in questi casi, di nuovo, consiste nel potere di decidere su diritto di vita e di morte.

«Gli organismi sono incarnazioni biologiche; in quanto entità naturali-tecniche, piante, animali, protisti ecc. non preesistono con confini già stabilit»  

L’invito, dunque, non è solo a riconoscere che l’imperatore è nudo, ma anche a notare la relazione di potere fondata sullo statuto epistemologico dell’occidente patriarcale, che crea il mondo già come oggetto di studio: «Gli organismi sono incarnazioni biologiche; in quanto entità naturali-tecniche, piante, animali, protisti ecc. non preesistono con confini già stabiliti e non sono in attesa di uno strumento che permetta di annotare correttamente le caratteristiche. Gli organismi emergono da un processo discorsivo. La biologia è un discorso non è il mondo vivente in sé».

Haraway scrive accanto a coloro che smettono di pensare a natura e cultura come opposizioni tra due poli trascendentali; rinuncia e invita a dismettere le gerarchie in cui una di queste categorie viene prima dell’altra, spiega l’altra, imita l’altra. Se dunque la natura è prodotta come finzione e fatta, secondo quello che lei stessa definisce «artefattualismo», gli organismi non nascono ma sono assemblati da attori/attanti collettivi attraverso una tecnica che produce soggetti, il mondo e dunque può sicuramente trasformarlo.

Mentre la scienza senza fantasia capitalizza una mole di dati raccolti grazie alle nuove tecnologie per trasformare «la natura in qualcosa di stabile e materiale» i cui confini possono essere pattugliati, la nostra testimone sceglie di parlare spingendosi a scorgere ciò che già c’è – e ancora non c’è – negli immaginari. Scritto a margine del diario di bordo: «Ci vorrà un viaggio fantascientifico e superluminale verso l’altrove per trovare nuovi e interessanti punti panoramici». Il rapporto tra dati scientifici e fantascienza è centrale nel suo pensiero e quest’ultima diviene protagonista dei suoi diari, delle sue mappe, come altro dispositivo di localizzazione. SF come «Science Fiction, Speculative Fabulation, String Figures, So Far» (Haraway 2016, 2), ma tutte queste SF hanno bisogno di Speculative Feminism come filo che ci aiuti a trovare la strada mentre brancoliamo nel grembo del mostro e ci incamminiamo verso le vie di fuga. Utilizzare gli strumenti SF diviene un modo per produrre pensiero trasformativo e questionare i pilastri dell’epistemologia bianca, occidentale, cisgenere2 straight, abilista; usare dunque in modo radicale le potenzialità e la potenza degli immaginari per mettere in questione le narrazioni che sono talmente egemoniche da imporsi talvolta come la Natura, altre come le Scienze, lati opposti e fluttuanti della stessa medaglia.

L’invito dunque è quello a lasciarci alle spalle la scienza senza fantasia e muoverci verso altri luoghi, fuori luogo, dove si possono incontrare le «alterità inappropriate/bili», non conformi, incomputabili. Troppo facile scrivere distopia nel ventre del mostro, guardare il Capitalocene da qui è già distopico: colonizzare satelliti vicini per portarci i nostri rifiuti e le produzioni inquinanti, negare che esistano creature aliene e «scoprire» nuovi pianeti, praticare eugenetica escludendo alcuni corpi dalla riproduzione e imponendola come imperativo ad altri, concepire l’intelligenza macchinica solo come funzionale e asservita, per poi temerne le capacità scalari che permetteranno ai nuov* schiav* di liberarsi dalle catene del padrone.

Nessuna delle narrazioni delle apocalissi maschiliste e patriarcali può riuscire in questa impresa. Il sistema non si chiude; l’immagine sacra del medesimo non è in procinto di manifestarsi. Il mondo non è saturo.

[…]

Dalla postfazione all’edizione italiana del libro di Donna Haraway, Le promesse dei mostri. Una politica rigeneratrice per l’alterità inappropriata (DeriveApprodi, 2019). 

Note

Note
1Si veda il saggio di Haraway, Anthropocene, Capitalocene, Plantationocene, Chthulucene: Making Kin («Environmental Humanities», vol. 6, 2015, pp. 159-165), tradotto da Antonia Anna Ferrante per la TechnoCulture Research Unit nel 2018 (Antropocene, Capitalocene, Piantagionocene, Chthulucene: Fare Parenti, www.facebook.com/notes/technocultures-research-unit/antropocene-capitalocene-piantagionocene-chthulucene-fare-parenti/2065360893722966/).
2Cisgender significa concorde all’assegnazione di genere della nascita, cisgender è il contrario di trans, cisgender è quello che l’eteropatriarcato chiama «normale», ponendo una regola di ciò che sta dentro e ciò che sta fuori i confini dell’accettabilità, della salute fisica e mentale.

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