Un’analisi del risultato elettorale, dal trionfo del populismo al fallimento del renzismo.
Ogni inizio è difficile
Se il risultato politico di una elezione si misurasse solo nei voti ottenuti, allora dovremmo ammettere, a malincuore, che la prova elettorale di Potere al Popolo nel mezzogiorno è stata inferiore alle attese dei suoi promotori. Se prendiamo in esame i risultati ottenuti alla Camera, a Napoli, la città in cui tre anni fa ha preso forma l’esperienza dell’Ex OPG Je So Pazzo, Pap ha ottenuto il suo miglior risultato, circa 13 mila voti con una percentuale pari al 2,9%, raggiungendo in alcune zone in cui era più radicato (Napoli centro e Bagnoli) il 3,6 per cento. Nel resto della Campania, così come nelle altre regioni del mezzogiorno, i risultati sono stati nettamente inferiori alla soglia minima di sbarramento fissata, come è noto a 3%. Nell’intera circoscrizione Campania 1 (Napoli e provincia), Pap ha ottenuto l’ 1,78%, ottenendo poco più dell’1% nei comuni della provincia. Nella città di Pomigliano di Arco, dove ha sede lo storico stabilimento Fiat, siamo appena all’ 1,98%. Spostandosi la situazione non migliora, anzi. In Puglia, nonostante l’infaticabile lavoro di Eleonora Forenza, la percentuale regionale si è fermata ad un piccolo 0,97%. Non molto incoraggianti le restanti regioni del sud con dati che si fermano all’ 1%.
In un sud dove il Movimento 5 stelle ha raggiunto punte del 60%, Pap non ha saputo superare i limiti del proprio radicamento. Se a Napoli l’esperienza dell’Ex OPG è riconosciuta come una delle più belle realtà politiche, altrove non è stata percepita come elemento di novità. Non sono bastate una buona capacità di comunicazione anche nei media tradizionali e l’aver affrontato in campagna elettorale temi dimenticati e scomodi, come lo sfruttamento del lavoro e la tanto controversa abolizione del 41 bis. Anzi, proprio quest’ultimo tema è stato motivo di polemiche e contrasti anche tra potenziali elettori di Pap, preoccupati che questo potesse rappresentare un cedimento verso le mafie. Tutto questo dimostra come il lavoro politico è una semina che produce un raccolto che non si può affrettare. Ci ricorda anche che, seppure sembrano muoversi sullo stesso piano, l’agire politico e la creazione di consenso elettorale sono due cose diverse, La speranza che una presenza mediatica, nelle poche settimane di campagna elettorale, potesse essere sufficiente a colmare anni di assenza della sinistra dai concreti e reali bisogni di cittadini e lavoratori si è rivelata illusoria. Ormai a ridosso del voto, anche quella parte di elettorato che avrebbe guardato a Pap come una possibilità aveva già da tempo deciso di esprimere la sua preferenza per il Movimento 5 stelle.
Certo, il risultato in sé non è positivo, inferiore persino a quanto cinque anni fa ottenne Rivoluzione Civile, la non compianta esperienza di Antonio Ingroia, che si attestò attorno ad un 2,5%. Eppure questi numeri non hanno scoraggiato l’entusiasmo sin da subito messo in campo da chi ha promosso questa impresa politica, anzi. Viola Carofalo, tenace portavoce di Pap, ha commentato a caldo «ci siamo contati e non siamo pochi» (circa 100mila le preferenze nel Sud) e ha rilanciato l’assemblea del 18 marzo prossimo a Roma per dare seguito all’esperienza. Salvatore Prinzi dell’Ex Opg si dichiara soddisfatto e prova a essere più puntuale: «se siamo bravi, riusciremo in breve tempo a dare maggiore unità e forza ai nostri nodi territoriali; aumentare il livello di analisi e di dibattito culturale; aumentare il nostro impatto mediatico; far salire qualitativamente le nostre pratiche di mutualismo, sindacalismo sociale, controllo popolare; di metterci davvero al servizio delle masse ed essere riconosciuti da loro». Non sembra ottimismo di maniera, piuttosto il tentativo generoso di andare avanti a forza di volontà e di ragione. Pur mettendo assieme diverse anime e realtà di consolidata esperienza politica, in Pap prevale la convinzione che si partisse da zero quindi senza termini di paragone.
Potrà bastare? Riccardo Orioles, tra i più attenti osservatori delle dinamiche della Sicilia e del Mezzogiorno, poche ore prima della chiusura del voto si chiedeva «cosa farà Potere al Popolo? Se va bene (3%) saremo entusiasti per la vittoria. Se va male (sotto il due) piomberemo nel più profondo scoraggiamento e cominceremo a battibeccarci a vicenda». In entrambi i casi, aggiunge «perderemo di vista l’obiettivo reale, che è quello di raggiungere in tempi non troppo lunghi il 15-20% dei vari Sanders o Malencon; la lista elettorale, in questo senso, era solo un primo, assai limitato, passo in avanti, dai limiti prefissati, più un’esplorazione che una battaglia». A prima vista, se questi numeri non giustificano entusiasmo, nemmeno hanno provocato scoraggiamento. Anzi, l’esplorazione sembra continuare, impossibile dire dove arriverà e se diventerà un progetto politico di ben altra ambizione e dimensione. Ogni inizio è difficile, ricordava Marx. Questo è stato difficilissimo, purtuttavia un inizio.
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