Per salutarti ci vorrebbe una rivoluzione

Ma, Giovanna!, questo no! Morire non è proprio da te. Scrivo qui, qui, perché sono lontana migliaia di chilometri, ma anche perché hai fatto di questo luogo un luogo di epifanie improvvise. Impressioni, folgorazioni, pensieri ancora accartocciati e luminosi, di quella fretta di chi, però, non ha troppo tempo da dedicare perché deve vivere, vivere, con tutta la dedizione e l’attenzione possibile. E infatti mentre ora piango, nel frattempo rido, ripensando a qualcuna delle cose irresistibili che hai scritto o detto. Affetti che si mescolano, come vuole Spinoza, che amiamo, amavi, di cui ci scrivevamo. Hai trasformato Cava in un luogo mitico dell’immaginazione.

Ti sei presa cura di un sacco di cose nostre, dei nostri spettacoli, dei nostri libri, trovando parole, aprendo prospettive. Hai sempre parlato al plurale, noi, noi, noi, perché le lotte vanno riconosciute non solo dove emergono ma anche in quei legami più nascosti che le alimentano, e che vanno sempre nutriti. Anche nelle cose più intime, anche per la malattia, hai sempre detto: noi. Un noi dai confini larghi, per me, che intorno a OperaViva si è negli anni radunato. Che dolore, che rabbia, non sembra possibile. Dovremmo trasformare questo dolore in un atto gioioso e collettivo, come piacerebbe a te.

Chissà come si fa, ci vorresti tu! Ciao biografa dei platani, cantrice di Cava e delle coste del sud, agitatrice di parole e di desideri, scompigliatrice di tutte le carte sul tavolo, e anche di tutti i tavoli. Ci vorrebbe una rivoluzione per salutarti. Intanto vivere con intensità, promesso, à bout de souffle, fino all’ultimo respiro, ogni respiro ti è dedicato, e ogni caipirinha o gin tonic o raggio di sole. Sei una meravigliosa matta incasinata, piena di idee, che bella confusione, ciao. Ciao Gió.