Perché le immagini si rifiutano di lavorare?

Il cinema di Gilles Deleuze e il divenire rivoluzionario delle immagini

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Pubblichiamo qui un estratto dal libro Il cine-capitale. Il Cinema di Gilles Deleuze e il divenire rivoluzionario delle immagini, di Jun Fujita Hirose, appena pubblicato da ombre corte con una prefazione di Ubaldo Fadini. 

Uccelli di tutto il mondo, unitevi!

Nel primo capitolo di L’immagine-movimento, prendendo come esempio Ėjzenštejn, Gilles Deleuze fa notare che nel cinema la “produzione di singolarità (il salto qualitativo) ha luogo per accumulo di ordinari (processo quantitativo)”1. Il cinema accumula immagini ordinarie per produrre singolarità. È una macchina che preleva il singolare dall’ordinario. Questa concezione deleuziana del cinema rinvia immediatamente alla tesi del “rapporto differenziale” che lo stesso filosofo trae dalla filosofia di Leibniz: “il rapporto delle piccole percezioni con la percezione cosciente non è quello di una parte con il tutto, ma tra ordinario e straordinario o notevole”2. La percezione cosciente non è una semplice somma aritmetica delle piccole percezioni. La produzione dello straordinario, nel cinema come nell’universo leibniziano, è prelevamento della qualità cosciente dal processo quantitativo delle piccole percezioni ordinarie.

Il cinema produce lo straordinario a partire dall’ordinario. In tutta la storia del cinema, Gli uccelli (1963) di Alfred Hitchcock è sicuramente uno dei film che meglio lo dimostra. Nella famosa conversazione con François Truffaut, Hitchcock spiega cosa l’ha attratto dell’omonimo romanzo di Daphne Du Maurier: “Non avrei girato il film se si fosse trattato di avvoltoi o uccelli da preda; quello che mi è piaciuto è che si trattava di uccelli comuni, di uccelli di tutti i giorni”3. La nuova specie di uccello singolare, che potremmo chiamare “uccello hitchcockiano” o “stra-uccello”, si produce attraverso una mobilitazione collettiva di uccelli ordinari come i gabbiani, i passeri o i corvi. Truffaut chiama questo principio di individuazione hitchcock-leibniziano “principio dal più piccolo al più grande”, principio dall’ordinario allo straordinario. Il cinema non conosce nessun individuo che di per sè sia feroce, singolare o straordinario. Ogni individuo, considerato in sè, è ordinario.

Questo ci fa pensare alla famosa frase formulata dal gruppo Dziga Vertov al tempo delle riprese di Vento dell’est (1970): “Non è un’immagine giusta, è giusto un’immagine”. Non è un uccello giusto, è giusto un uccello… Gli uccelli si organizzano e insorgono senza ricorrere a nessuna divisione gerarchica tra avanguardia e masse, tra il conscio e il preconscio. Il cinema non consente a nessuna immagine di affermare di essere una “immagine giusta” conscia, che rappresenta il preconscio di tutte le altre immagini, e di dirigere a tale titolo queste ultime. Per questo Hitchcock ha deciso all’ultimo momento, in fase di montaggio, di tagliare la scena in cui Melanie (Tippi Hedren) e Mitch (Rod Taylor) alludono al Manifesto del Partito comunista. Nell’intervista citata, il regista ricorda la scena eliminata.

Poi la scena continua con uno stile da comico sul tema: perché gli uccelli fanno questo? [Mitch e Melanie] avanzavano delle ipotesi scherzando e suggerivano l’idea che gli uccelli avessero un capo: era un passero che, in base a un programma, si rivolgeva a tutti gli uccelli, dicendo loro: “Uccelli di tutto il mondo, unitevi. Non avete nient’altro da perdere che le vostre piume”4. Hitchcock ha pienamente ragione ad aver tagliato questa scena. Perché l’ipotesi dei protagonisti si rivela infondata quando si sa che nel film non ci sono in effetti né un passero-Lenin né corvi bolscevichi. Tutta la forza degli Uccelli consiste proprio nella totale mancanza di un organo direttivo. Gli uccelli ordinari riuniti in folla eterogenea si dirigono autonomamente secondo il loro principio di individualizzazione collettiva. Se questo non ci impedisce di parlare di un bolscevismo ornitologico, si tratta comunque di una bolscevizzazione delle masse, in quanto gli stessi uccelli ordinari divengono bolscevichi, straordinari. Più precisamente, gli uccelli “di tutti i giorni” (passeri, gabbiani, corvi ecc.) divengono “ordinari” “unendosi” tra loro: è mobilitandosi collettivamente che perdono le loro “piume” specifiche, o i tratti distintivi della loro specie, e si individualizzano in un nuovo corpo comune trans-specifico.

Se il cinema può essere considerato un’“arte delle masse”, è perché è un’arte di bolscevizzazione delle masse. È per questo che Ėjzenštejn, che diceva di essere “il più ardente sostenitore dello stile epico di massa nel cinema”5, dovette affrontare le severe critiche degli stalinisti al 1° Congresso dei lavoratori creativi di tutta l’Unione Sovietica, tenutosi nel 1934. Ecco il passaggio in questione del discorso fatto dal rappresentante del Comitato centrale del Partito comunista russo:

In Ottobre, c’era era solo una folla […]. I personaggi individualizzati sono scomparsi dal nostro cinema, perché i registi non conoscevano il popolo e pensavano che i loro film dovessero centrarsi solo sulle masse…6

Ma il cinema non ha una natura leninista né stalinista. Ottobre per il cinema non è l’evento in cui uno o alcuni personaggi individualizzati, che si comportano come un’avanguardia, dirigono le masse verso la formazione di una classe o di un popolo. In Ėjzenštejn come in Hitchcock, sono le stesse masse di immagini ordinarie che si costituiscono immediatamente in avanguardia.

Il lavoratore parziale non produce merce

A proposito della colonna sonora della scena in cui Melanie, chiusa nella mansarda, è attaccata dagli uccelli, Hitchcock dice che “bisognava ottenere un’ondata minacciosa di vibrazioni piuttosto che un suono di un solo livello, al fine di avere una variazione di questo rumore, qualcosa di simile al suono irregolare prodotto dalle ali”7. Questa idea del regista inglese fa pensare a un passaggio fondamentale di La piega, dove Deleuze spiega come gli ordinari, mettendosi in rapporto differenziale, producano lo straordinario: “Bisogna che due onde almeno siano flebilmente percepite [petit-perçues] come nascenti ed eterogenee perché possano entrare in un rapporto in grado di determinare la percezione di una terza, che prevale sulle altre e diventa cosciente”8. Come se fosse permanentemente in sintonia con il Leibniz deleuziano, Hitchcock dirà anche, commentando la colonna sonora per la scena finale del film, scena in cui “gli uccelli di tutto il mondo” si radunano in un silenzio gravido di minacce:

[…] ho chiesto un silenzio, ma non un silenzio qualsiasi; Un silenzio elettronico di una monotonia che poteva evocare il rumore del mare che giunge da molto lontano. Trasposto nel dialogo degli uccelli, il suono di questo silenzio artificiale significa: “Non siamo ancora pronti ad attaccarvi, ma ci stiamo preparando. Siamo come un motore che sta per rombare. Stiamo per spiccare il volo”.9

Lo straordinario si produce attraverso una cooperazione degli ordinari. L’accumulazione degli ordinari produce lo straordinario come un salto qualitativo. Il cinema mette al lavoro le immagini ordinarie per farne emergere qualcosa di straordinario. Gli uccelli ordinari, pur rimanendo tali, divengono “uccelli hitchcockiani” nella loro produzione collettiva. Il cinema fa produrre un plusvalore alle immagini: lo straordinario si produce come plusvalore nel lavoro collettivo delle immagini ordinarie, allo stesso modo in cui il colore verde si produce come plusvalore nella cooperazione tra il giallo e il blu, messi in rapporto differenziale10. O anche, nello stesso modo in cui una terza visione si produce come plusvalore nella cooperazione tra i due occhi. Il cinema estrae plusvalore dal lavoro collettivo delle immagini ordinarie. È forse qui che si trova il rapporto più intimo tra cinema e capitalismo: cine-capitale (Cinema = Capitale). E per Deleuze, è questo la ragione per cui il cinema può essere chiamato “arte industriale”.

Citando le parole di Marcel L’Herbier, regista di Il denaro (1928), adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Emile Zola, il filosofo scrive: “poiché lo spazio e il tempo nel mondo moderno diventando sempre più cari, l’arte aveva dovuto farsi arte industriale internazionale, cioè cinema, per comprare lo spazio e il tempo come ‘titoli immaginari del capitale umano’”11. Ci vogliono i soldi per fare il cinema. Il cinema deve “comprare” tutte le immagini che impiega. Dato come il “metacinema”12, grande riserva di immagini ottiche e sonore, l’universo della materia (immagine-movimento) e della memoria (immagine-tempo) costituisce nella sua totalità un grande mercato del lavoro, in cui il cinema non cessa di reclutare le immagini-lavoratori. Girare in esterni, creare una scenografia, procurarsi gli attori…, tutto questo non è altro che reclutamento e acquisto di manodopera cinematografica. Il cinema acquista quindi le immagini ordinarie per metterle al pluslavoro e sfruttarle. Infatti, come non parlare di “sfruttamento” di fronte al cinema che produce gli spaventosi “uccelli hitchcockiani” a partire dai semplici uccelli di tutti i giorni?

In che modo il cinema fa pluslavorare le immagini? In cosa consiste il surplus straordinario di lavoro delle immagini ordinarie? La risposta non può essere data dalla teoria marxista classica, che definisce il pluslavoro come lavoro svolto nello iato cronologico, estensivo e misurabile tra il tempo di lavoro necessario e l’intera giornata lavorativa. Nella produzione di surplus straordinario nel cinema, non si tratta più di un tale iato orizzontale, ma di uno iato non-cronologico, intensivo e smisurato, che si apre in ogni momento in modo verticale lungo l’orizzonte del tempo cronologico. Il pluslavoro cinematografico si determina nello iato, non più tra il lavoro necessario e il lavoro giornaliero, ma tra “l’attuale” e “il virtuale”, vale a dire tra l’atto di lavoro effettivamente svolto e la forza lavoro impiegata come pura potenzialità – “l’insieme delle facoltà fisiche e intellettuali che esistono nel corpo di un uomo nella sua personalità vivente”, secondo Marx13 – di ogni immagine-lavoratore.

Quando il cinema compera le immagini, paga solo per il loro aspetto attuale, mentre sussume in aggiunta il loro aspetto virtuale al processo di produzione. In Gli uccelli, i gabbiani o i passeri vengono pagati solo per fare il gabbiano o fare il passero durante le riprese. Non sono pagati un solo centesimo per la loro capacità virtuale di diventare “uccelli hitchcockiani” nel loro lavoro collettivo.

Gli uccelli sono pagati solo per le loro azioni ordinarie, sebbene il cinema sovraconsumi la straordinaria potenzialità che giace sotto le loro “piume”, rendendoli “hitchcockiani” a loro insaputa. In questo divario tra atto e potenzialità, il cinema fa pluslavorare e sfrutta le immagini ordinarie. Simondon scrive: “Non è l’individuo che inventa, ma il soggetto, che è più vasto e più ricco dell’individuo, e che comprende, oltre l’individualità dell’essere individuato, un determinato carico di natura, di essere non individuato”14. Lo stesso vale per l’immagine cinematografica, che si mette al lavoro non come “individuo” ma come “più che individuo”.

Mentre essa riceve il suo salario solo come “individuo”. È precisamente questo “più”, la differenza non retribuita tra “individuo” e “soggetto”, che costituisce la fonte o il caput della produzione cine-capitalistica del plusvalore straordinario. Come fa il cinema a far funzionare le immagini ordinarie come “soggetti”, che contengono ciascuno in sé, oltre l’individuato, un carico di realtà non individuata o pre-individuale? “Che cos’è che caratterizza la divisione del lavoro di tipo manifatturiero? Che l’operaio parziale non produce nessuna merce. È solo il prodotto comune degli operai parziali che si trasforma in merce”15. La “merce” filmica di Hitchcock consiste nel raccontare, non la vita individuale di un singolo uccello, ma una vita collettiva degli “uccelli di tutto il mondo”. Quando questi si “uniscono”, la potenzialità eccedente che ognuno di loro porta sotto le sue piume viene mobilitata nel processo di invenzione di una nuova specie di uccello.

Come si uniscono le immagini ordinarie? Secondo Simondon, non è formando un “collettivo interindividuale”, che le mette in rapporto solo come individui, ma formando un “collettivo transindividuale”, che consiste nel “creare un collegamento tra le capacità inventive e organizzative di diversi soggetti”16. Nella fabbrica cinematografica, la catena di montaggio ha lo scopo di stabilire un rapporto transindividuale tra le immagini-lavoratori per far entrare in reciproca risonanza il loro “plus” pre-individuale. Il montaggio, come principale mezzo cinematografico di produzione, mette in rapporto differenziale le immagini ordinarie come “soggetti” per far loro produrre il surplus straordinario. Un gabbiano-soggetto, come “più che gabbiano”, porta sempre sotto le sue piume una carica di realtà “pre-gabbiano”; ed è questo “plus” pre-individuale del gabbiano-soggetto che si unisce con quello di altri uccelli-soggetti nel loro rapporto transindividuale, dando così luogo al processo di individuazione degli “uccelli hitchcockiani”.

Eppure, ciò nonostante, ripetiamolo, il gabbiano-soggetto viene pagato solo per il valore del suo aspetto individuale. “Il capitalista paga quindi il valore delle cento forze-lavoro autonome, ma non paga la forza-lavoro combinata dei cento operai”17. In altre parole, il capitalista paga a ciascun lavoratore il suo atto di lavoro individuale, ma non la sua forza lavoro pre-individuale, che consuma unendola con quella degli altri lavoratori nella loro cooperazione transindividuale. Sotto un apparente scambio di valori equivalenti, avviene uno scambio diseguale, asimmetrico, di sfruttamento.

Chi sono io, che sono contento pur essendo sfruttato?

Supponiamo che tu sia un passero, che vive a San Francisco. Un giorno, durante la tua passeggiata mattutina in città, scopri su un muro un manifesto che attira la tua attenzione: “Il signor Alfred Hitchcock sta cercando degli uccelli ordinari per il suo nuovo film”. Dici a te stesso: “Bene, finalmente è il mio turno! Prima si cercavano solo uccelli straordinari come aquile, falchi ecc.”. Prendi il cellulare e componi il numero indicato sul manifesto. La signora all’apparecchio ti dice gentilmente di recarti presso l’ufficio casting. Eccoti in
piedi davanti al signor Hitchcock e alla sua squadra, che ti dicono: “Perfetto. Stiamo cercando qualcuno come te. Vieni per le riprese, che si svolgeranno a Bodega Bay tra una settimana. Quando arrivi sul set alle nove del mattino, ci sono già una moltitudine di uccelli ordinari come te. Un assistente alla regia ti dice: “Sii te stesso. Fai il passero e nient’altro. Non devi essere cattivo. Se avessimo avuto bisogno di uccelli cattivi, avremmo convocato loro. Ma non è questo il caso. Va bene?”.

Quindi fai il passero davanti alla cinepresa. Alle diciassette finiscono le riprese e l’assistente alla regia inizia a distribuire le retribuzioni. Lui ti dice: “Grazie. Il signor Hitchcock è molto contento della tua partecipazione. Ecco cinque briciole, per il tuo lavoro formidabile, voglio dire, formidabilmente ordinario. Tre mesi dopo, incontri un amico per strada, che ti dice: “Ecco il mio grande attore! Ho visto il film! Sei stato grande!” Tu ti chiedi di cosa stia parlando. Dal momento che hai un cervello molto piccolo, non ricordi cosa hai fatto tre mesi fa. Ma poco a poco ti ricordi e ti dici: “Sì, è vero che ho partecipato al film. Ma non sapevo che fosse già nelle sale. È un po’ cattivo, il signor Hitchcock… Avrebbe potuto invitarmi alla proiezione… Ma lo capisco, in fondo: eravamo in molti alle riprese, un po’ troppi perché il signor Hitchcock potesse spedire a tutti l’invito…”. Decidi dunque di andare a vedere il film nel cinema sotto casa. Il film inizia e tu sei stordito. Ti scopri estremamente cattivo sullo schermo!

Allora ti dici due cose. Da un lato, ti dici: “Se è così, avrei dovuto essere pagato di più, dieci briciole invece di cinque, per esempio. Cosa ne è allora delle mie cinque briciole di differenza? Il signor Hitchcock le ha sicuramente intascate lui. Che imbroglione, questo presunto English gentleman!”. Dall’altro, ti dici: “Non sapevo di poter essere così cattivo, cattivo come un’aquila o un falco. Ora mi sento un po’ alla loro altezza. Non è una scoperta così spiacevole…”. E concludi con il chiederti: “Ma chi sono alla fine, io che sono contento pur essendo sfruttato!?” Ecco il sentimento assolutamente ambivalente condiviso da tutte le immagini ordinarie impiegate nel processo di produzione cine-capitalistica.

Note

Note
1Gilles Deleuze, Immagine-movimento. Cinema 1, trad. it. di J. Manganaro, Einaudi, 2016, p. 10.
2Gilles Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, trad. it. di V. Gianolio, Einaudi,
1990, p. 131.
3François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, trad. it di G. Ferri e F. Petitto, Pratiche, 1989, p. 235.
44 Ivi, p. 241.
5Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Le Film: sa forme, son sens, Christian Bourgois, 1976, p. 130.
66 Ivi, p. 128.
7Truffaut, Il cinema secondo Hitchcok, cit., p. 246.
8Gilles Deleuze, La piega, cit., pp. 131-132 (trad. mod.).
9Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, cit., p. 246.
10Deleuze, La piega, cit., p. 131.
11Gilles Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, trad. it. di L. Rampello, Einaudi, 2017, p. 92.
12Deleuze, Immagine-movimento, cit., p. 76.
13Karl Marx, Il capitale, Libro primo, capitolo 6.
14Gilbert Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, Aubier, 1989, p. 248, corsivo mio
15Marx, Il capitale, Libro primo, capitolo 12.
16Simondon, Du mode d’existence des objets techniques, cit., p. 253, corsivo mio
17Marx, Il capitale, Libro primo, capitolo 13.

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