Siamo tutti spettatori emancipati

Del possibile uso di un testo di Jacques Rancière

Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello Spirito - 4_Ritorno
Gian Maria Tosatti, Sette Stagioni dello Spirito (2013-2016) 4_Ritorno a casa, 2015 - Courtesy Fondazione Morra, Napoli e Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli.

Spettatori e spettatrici emancipati

Sono uomini e donne che riescono a imparare, decidere e guardare il mondo, a esserne incuriositi, assumendo rispetto alla vita un atteggiamento ironico, giocoso e inventivo. Gli spettatori emancipati sono capaci di lavorare per vivere e di mantenersi vivi lavorando, perché coltivano allo stesso tempo passioni non immediatamente remunerative.

Poiché hanno infranto, nella sfera intima del proprio sé, la frontiera che separa l’attività della decisione e della conoscenza concettuale, dalla passività della sensibilità e dell’intuizione, le spettatrici e gli spettatori emancipati possono avvalersi di entrambe, lasciando che queste capacità entrino tra loro in un rapporto paragonabile al gioco libero, privo di regole prestabilite.

Di conseguenza, il lavoro degli spettatori emancipati potrebbe consistere nella sovversione della divisione stessa del lavoro, o almeno, nella sospensione di quell’ancestrale gerarchia che oppone chi è considerato capace di occuparsi «attivamente» del comune, a chi non lo è, perché «passivamente» impegnato a guadagnarsi da vivere.

Finzione

Alle spettatrici e agli spettatori emancipati capita di essere produttori di finzioni. Sono infatti esseri duplici, desiderosi di proporre, a una comunità disseminata di altrettanti spettatori, il vacillare della frontiera che separa, nelle nostre società, quanti, pensando e decidendo, godono di una certa aura da quanti, lavorando o cercando lavoro, subiscono tali decisioni e restano nell’anonimato. L’emergenza della finzione come spazio del dissenso, insieme politico e poetico, a cui Engels si riferisce nel Manifesto del partito comunista del 1893 è quindi ancora oggi molto attuale. Questo spazio potrebbe continuare a essere la fabbrica di un sensibile comune. Il termine finzione coinvolge oggi l’ambito delle opere d’arte, l’ambito della politica e della ricerca teorica, che propone interpretazioni polemiche di queste pratiche. Lo spazio della finzione come comunità di pratiche diverse, che si realizzano attraverso capacità universalmente condivise, può quindi far saltare la suddivisione delle prassi, quelle recinzioni che delimitano le specifiche proprietà intellettuali. Visto in quest’ottica, lo stesso libro, intitolato Lo spettatore emancipato, può a sua volta essere considerato come una finzione.

La finzione è un modo singolare di cogliere e interpretare la realtà, la modalità di un pensiero la cui radice è il sensibile 

Lo scrittore, Jacques Rancière, entra dapprima in polemica con alcuni pensatori e artisti che hanno contribuito a costruire la figura dello spettatore come un povero ignorante, a cui va spiegato il senso nascosto delle immagini che contempla inebetito. Platone, Brecht, Artaud, Debord, Marx sono presi di mira, per aver assunto la posizione autoritaria dei saggi, capaci di svelare a una massa di spettatori ignoranti la realtà celata dalle immagini. La finzione non quindi è una sovrastruttura da decodificare, ma la revoca dell’opposizione tra cosa in sé e fenomeni, tra il motore nascosto che muoverebbe la storia e le forme ingannevoli che questo assumerebbe nei fenomeni reali. La finzione è un modo singolare di cogliere e interpretare la realtà, la modalità di un pensiero la cui radice è il sensibile; l’emancipazione è l’uscita da uno stato di minoranza. Ne La nuit des prolétaires e ne Lo spettatore emancipato Jacques Rancière interpreta le attività letterarie, artistiche e lavorative degli operai saint-simoniani; questi sono messi in scena, non più come spettatori ignari del processo storico ineluttabile, ma come spettatori del proprio tempo e sovvertitori attivi del ritmo della fatica e del riposo, dettato dal capitalismo. La critica dell’idea di un processo storico ineluttabile, il cui epilogo sarebbe una società senza classi, affonda le sue radici in una lettura in chiave kantiana delle esperienze comunitarie vissute dagli operai saint-simoniani. Invece di acconsentire al differimento temporale di una comunità giusta e alla logica della promessa a esso sottesa, Rancière fa emergere l’immanenza della comunità sensibile che i saint-simoniani sperimentano. Egli mette l’accento, non tanto sulle vicissitudini e sugli ostacoli con cui gli operai saint-simoniani si scontrano, quando dal 1848 iniziano a migrare verso il Texas per fondare Icaria, quanto invece su «quelle notti strappate alla successione normale del lavoro e del riposo», su quell’interruzione, certo, «impercettibile ed inoffensiva del corso normale delle cose», in cui tuttavia «già si prepara, si sogna, si vive l’impossibile»1. Viste nella prospettiva della scienza storica: «le forme di emancipazione di quegli artigiani che si costruivano un corpo nuovo per vivere hic et nunc in un nuovo mondo sensibile non potevano essere che mere illusioni, prodotte dal processo di separazione e dall’ignoranza di quel processo»2. Mere illusioni, prodotte dall’errata posizione che gli operai saint-simoniani avrebbero preso, in quell’ineluttabile processo storico che Marx teorizza, conferendo a tale teoria lo statuto di una scienza. La nuit des prolétaires è il racconto delle storie di operai e operaie che dipingono quadri, scrivono articoli, poesie e quant’altro, o più semplicemente, il resoconto dell’esperienza di uomini e donne che, avendo scelto una certa duplicità, decidono di rompere con la divisione del lavoro. La nuit des prolétaires è una «finzione», che contesta la «finzione» poliziesca secondo la quale la popolazione si suddividerebbe in persone capaci di pensare, vedere e raccontare il comune e in persone incapaci di farlo. Una finzione in cui la trascendenza di una comunità futura è scalzata dall’immanenza dell’esperienza condivisa di spazi, tempi e pratiche, e strappata al succedersi ripetitivo della fatica e del riposo.

Stile

Lo spettatore emancipato si nutre di una specifica modalità d’enunciazione: lo sdoppiamento della voce narrante. Da una parte lo scrittore si unisce alla comunità virtuale degli spettatori, raccontando ciò che alcune opere dell’arte critica potrebbero dirle, se parlassero, dall’altra egli polemizza con le loro ingiunzioni all’attivismo, attraverso argomenti taglienti. Questa soluzione stilistica crea un tensione dinamica tra posizioni avverse, senza che queste finiscano per annullarsi in una sintesi, ma soprattutto riduce in pezzi la figura dell’autore, come creatore unico e originale. Lo stile adottato crea, infatti, un dialogo concitato tra istanze che prendono le fuggevoli sembianze di personaggi che si affrontano, sostenendo opinioni diverse. L’invenzione di un acceso dialogo tra le immagini dell’arte critica, i discorsi teorici che esse convocano, e gli argomenti con cui la comunità degli spettatori potrebbe contestare lo stato di minoranza in cui entrambe la relegano, crea la scena di una ripartizione litigiosa di questo sensibile comune. Lo spettatore emancipato apre lo spazio della pagina a forme di democraticità, segnate dall’uguaglianza che la finzione permette di stabilire tra tutti soggetti di enunciazione. Attraverso quelle nominazioni collettive che disgiungono una comunità di persone dall’identità che il consenso attribuisce loro, la politica reinterpreta il sensibile comune e crea, a suo modo, finzioni che stabiliscono un rapporto d’ uguaglianza là dove c’era un rapporto gerarchico: siamo tutti ebrei tedeschi. Siamo tutti dei sans-papiers. Siamo tutti spettatori emancipati.

Lo spettatore emancipato è in corso di pubblicazione presso le edizioni DeriveApprodi, traduzione e cura di Diletta Mansella. 

Note

Note
1J. Rancière, La nuit des prolétaires. Archives du rêve ouvrier, Editions Fayard, Paris 1981, p. 8.
2Ivi, p. 48.

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