Il libro di Annalisa Sacchi «Inappropriabili. Relazioni, opere e lotte nelle arti performative in Italia (1959-1979)», appena pubblicato dalla Marsilio nella collana Incommon, ricostruisce, attraverso archivi dispersi, minori, dimenticati, la vita postuma >…
Tracce
Intorno a «Inappropriabili» di Annalisa Sacchi
Questo libro – «Inappropriabili. Relazioni, opere e lotte nelle arti performative in Italia (1959-1979)» – prima di essere ufficialmente «uscito» (curioso questo termine per indicare la disponibilità di un testo – come se quando il libro uscisse fosse già in una temporalità passata – esce di scena, sipario) ha visto con me luoghi e luminosità differenti. Nell’epilogo l’autrice scrive che «la storia (le storie) che ricostruisce è (sono) prevalentemente notturne», trame di vite che si sono espresse, consumate, date, realizzate e fallite, nella luce semioscura dei teatrini, nei cinema di seconda categoria, nei luoghi della follia, nelle fabbriche, nelle strade, nei luoghi delle piccole cose.
Questo libro prima di uscire ha visto con me una strana luce di un paese del nord Europa, una luce che non voleva spegnersi, neanche per indurci il sonno. Una perenne alba o un perenne crepuscolo, un tramonto e un’alba mai compiuta. Particolarmente evocativi dunque i passaggi in cui si nomina il fallimento come ipotesi non solo distruttiva, ma anche di una possibile condizione in cui poter stare senza la voce di rimbalzo della caduta dei grandi ideali. Se il sole non sorge, come fa a tramontare? Così l’ho letto, così l’ho studiato, così ho imparato qualcosa degli e delle artiste/poete/drammaturghi/musicisti/attori (quanti termini per dire una cosa sola) di cui Annalisa Sacchi ci fa il dono di illuminare le vite e le opere. Di nominare soprattutto gli intrecci, le trame sotterranee, i fili che si raccordano o di cui si è perso il capo. Carmelo Bene, Luigi Nono, Giuliano Scabia, Leo de Berardinis, Perla Peragallo, Alberto Grifi, Patrizia Vicinelli, Aldo Braibanti, questi e altri tantissimi i nomi evocati: i/le non protagonisti di delle storie intrecciate, convocate da un lavoro che muove i passi da strade laterali, strade non disciplinate, strade non archiviate e poco musealizzate, strade che spesso sono state grandi mulattiere senza un traguardo; strade, più di ogni altra cosa, percorse con il passo incerto e oscillante che il femminismo ci costringe a percorrere: le relazioni tra, le amicizie di, le opere minori per. E così via.
Mi ricordo, grazie a questo libro, che è esistito un teatro fatto insieme e con le persone internate nei manicomi, che si è fatto rito collettivo mosso da celebranti assai poco convenzionali, con gli operai, con le carcerate. E che se poco di tutto ciò ha costituito «tradizione» o canone, ha invero modificato le esistenza concrete, simboliche e immaginifiche di ognuno e ognuna e di tutti e tutte. Basta saperlo. Basta un solo spettatore, una sola spettatrice. Basta poter leggere che quella piccola esperienza dentro un carcere femminile, di una Cenerentola che rompe gli schemi, è esistita, qualcuna l’ha vista, qualcuna l’ha messa in scena, e questa cosa ha un valore.
Sono andata a scovare on line i video di Vicinelli che stirava le lettere con quella potenza performativa e sonora capace di accadere così fortemente in quel momento da lasciare stordite le persone presenti, il pubblico, gli altri poeti, consapevole che nessuna registrazione avrebbe mai reso veramente la consustanziazione laica di un fatto inaudito. Accanto, ho frugato nelle interviste fino a intercettare una signora che era stata in carcere con lei e che con lei aveva rappresentato La Cenerentola, uno stare in scena «indimenticabile».
Mi sono commossa pensando come tutti i tentativi di piegare le lettere sul foglio, farne altra cosa da quella sequenza nota fatta di regole e lettere, costituisse uno sforzo enorme, una perversione che ogni tanto da poete tentiamo di fare, finché interviene una ragione superiore, una ragion di stato, per cui il senso di quello che si sta facendo deve superare la forma, l’intelligibilità la ricerca: così forse moriamo tutte un po’, ma accettiamo quel compromesso che alcune altre non hanno accettato. A favor di lettrici, di lettori. A volte a favor di un finto mercato miserrimo, a favor di un circolo non più critico ma cieco, ci rammolliamo, ci prosciughiamo e perdiamo la linfa che tiene insieme forma e contenuto, ci separiamo dall’origine.
Un libro con poche immagini, ma quelle poche tutte straordinarie. La foto scattata da Lisetta Carmi a Nono, Scabia e Pestalozza, a Genova, durante l’audizione dibattito per La fabbrica illuminata, un fotogramma ridente di Alberto Grifi e Patrizia Vicinelli del film In viaggio con Patrizia, un frammento di Aldo Braibanti dal film Transfert per camera verso Virulentia di Alberto Grifi. Mi sembra che – e potrei sbagliare – l’autrice del libro abbia delegato alle immagini una funzione che di solito spetta al testo, alle didascalie o al coro delle tragedie greche: quella di narrare, contestualizzare, fare entrare dentro qualcosa solitamente imprendibile delle esistenze in scena. Ho passato molto tempo a guardare questi frammenti, i loro riflessi, le ombre, il carico di malinconia e di gioia che solo l’essere dentro di sé e dentro il mondo può conferire – quel distacco e quella presenza piena. Vivi e nella contraddizione.
Mentre leggo questo libro, muore Leila Maiocco, a Genova. Con lei ho conosciuto il responsabile della Galleria con le opere di Lisetta Carmi. Con lei ho conosciuto la storia delle operaie dell’Italsider, che proprio con lei, con quell’entusiasmo esasperante che si portava dietro, da giovane funzionaria del PCI nel 1985 aveva garantito la conversione da Centro civico in casa del comitato Donne Lavoro e Ambiente di Cornigliano. Mentre piango la dipartita di una persona che mi aveva aperto una nuova storia, leggo di Nono e Scabia, penso alla Fabbrica illuminata, a Technically Sweet, e ancora una volta capisco che questa convocazione di tanti e tanti nomi, di tanti rimandi, di tante vite, possa essere una possibilità non solo metodologica per trafiggere il cuore dell’etica ed estetica del Genio individuale, così falsa dall’aver destituito anche l’intelligenza e l’illuminazione a un fatto di banale esaltazione, ma anche sostanziale nelle vite di noi nel presente. Il libro esce, se ne va, entrano questi corpi, queste opere. Possiamo esistere così un po’ di più anche noi.
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Il libro di Annalisa Sacchi «Inappropriabili. Relazioni, opere e lotte nelle arti performative in Italia (1959-1979)» , Marsilio (2024), verrà presentato oggi 6 Settembre nell’ambito di Short Theatre. L’appuntamento è alle ore 18.00 al Mattatoio.
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