Verso sud

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Anna Oberto 1974, L'Utopico. Eanan nel flusso magico del colore, scrittura a inchiostro blu, polaroid, collage e oggetto su cartoncino Schoeller, cm 72x100

D’estate si ritorna al Sud, a casa, al sole, al mare, o comunque lontano dalla metropoli. L’estate è la corsa verso il sud, verso i tanti sud che popolano le nostre vite.

Sì, perché il sud costituisce una dimensione fondamentale dell’esistenza, una sorta di sostanza densa, di cui i vari nord che ci capitano durante l’anno sono solo degli accidenti, anche un po’ volgari. È dal sud che ci siamo spostati per trovare lavoro, per sfuggire alla dipendenza economica dalla famiglia e per diventare autonomi, in tutti i sensi. Non li odiamo del tutto i nord perché ci si presentano subito in questa ambivalenza senza scampo: il nord è disciplina e autonomia, lavoro ma anche svago, sviluppo ma anche libertà.

Insomma siamo stati noi ad andare al nord per liberarci dalla dipendenza, e il nord ci ha liberati sul serio, ma a prezzo di sacrifici, disciplina, razionalità. Il nord è, insomma, per noi, una forma di vita, ben impiantata nei ritmi capitalisti, che ti liberano dal ricatto della sopravvivenza assegnandoti un ruolo, rendendo la tua dipendenza razionale e dignitosa.

E l’abbiamo desiderato davvero, il nord, perché è sempre meglio una dipendenza razionale e garantita che la dipendenza personalistica, arbitraria, da chi ti cambia la vita a piacimento. Fino a che qualcosa non si è rotto, e anche la stabilità settentrionale, quella del sudore e del sacrificio, non ha cominciato a venarsi di incertezza, facendo saltare ritmi e previsioni, progetti e ruoli definiti. Siamo sopravvissuti solo perché quell’eccedenza, a tratti molto irrequieta, ai ritmi settentrionali, non ci ha mai abbandonato, anzi è stata un po’ il motore di ogni nostra decisione, lì, all’interno stesso dell’organizzazione del lavoro, nelle grandi fabbriche e aziende del nord. Di certo abbiamo capito che di razionale, in quell’ordine, c’era ben poco, e che la vita è un terreno di sfida aperto, che iscrive la nostra decisione in una rete di interessi contrapposti.

Questo campo di gioco, a cui ogni nostra decisione è irrimediabilmente rimessa, è oggi quanto mai ricco di tensioni, e la frizione esercitata da un capitale sempre più violento e onnipervasivo si scontra con una capacità soggettiva di costruire relazioni, condividere e cooperare in maniera sempre più autonoma. C’è una dose di meridionale irrazionalità in questa capacità di condivisione e autogestione che sempre più invade il mercato. Un’irrazionalità che non è spontaneismo o ingenuo volontarismo, ma consapevole rimodulazione e forzatura delle regole del gioco.

Le nuove forme di economia della condivisione, che attraverso le piattaforme digitali tendono negli ultimi tempi a investire ogni dimensione dell’esistenza, si muovono entro le contraddizioni del mercato, di cui subiscono costantemente i contraccolpi. Certo, restano la proprietà e la dipendenza salariale come condizione di sopravvivenza, e la cooperazione viene spesso piegata ad autosfruttamento, subordinazione, ricatto.

Scendere a sud, in questi giorni, non è allora una sospensione dello sfruttamento, un modo per ricaricare le pile prima di riprendere ad affannarsi. Scendere al sud è fare esperienza della libertà come eccedenza ai ritmi e alle pressioni che, dall’alto, piegano le nostre forze produttive alla dipendenza e allo sfruttamento. Le vacanze al sud sono un modo per sperimentare la vita come decisione, mai astratta o pacificata, ma affermata con forza in un campo di battaglia, in cui la partita è tutta aperta.

Mi sto tuffando in mare, in una spiaggia piena di scogli dalle parti di Molfetta. Mangio un bel piatto di frutti di mare, li ha appena pescati un mio amico pescatore. Organizza delle mangiate sul suo peschereccio. Non pesca più quanto prima, non è facile con l’Adriatico pieno di bombe. Ma queste cene, in cui la gente mangia allo stesso tavolo senza conoscersi, vanno forte e gli danno da vivere. Al sud capita di incontrarsi per caso e di mangiare, bere, scambiare chiacchiere e risate, cooperare, senza che nessuno te lo imponga. Stare insieme perché è bello, e perché, in quei momenti, hai la percezione che tutti possono stare bene e vivere con gioia, quasi per caso.

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