Vita smeralda

Libera Mazzoleni, Narciso contro Narciso, 1979, cm 37,5x42,5
Libera Mazzoleni, Narciso contro Narciso, 1979, fotografie (4 elementi)

«Bottana industriale e socialdemocratica!». Era questa la «colonna sonora» delle vacanze nel 1974, era così che Gennarino, marinaio siciliano e comunista si rivolgeva alla padrona, la ricca milanese Raffaella Pavone Lanzetti arrivata in Sardegna per la vacanze in barca a vela, entrambi Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, secondo Lina Wertmüller.

Per marcare subito una distanza radicale si noti che allora «socialdemocratica» era un insulto da sinistra a destra, non da destra a sinistra come sarebbe accaduto dopo la controrivoluzione neoliberista, quando alternative non ci sarebbero più state, e peccato mortale e imperdonabile sarebbe diventata la difesa del welfare state keynesiano, il compromesso socialdemocratico appunto, che in altri tempi aveva salvato il capitalismo dalla rivoluzione d’ottobre. Erano, quelle, le vacanze della lotta di classe, durante le quali chi stava sopra andava sotto, e chi sotto andava finalmente sopra, un’estate di feroce vendetta della classe operaia che vedeva il conflitto spostarsi dalla fabbrica sulla spiaggia.

A raccontare un’altra estate, quella della sconfitta di qualsiasi conflitto e della vittoria della società dello spettacolo sarà invece, trent’anni dopo i «Trenta gloriosi» (1945-1975), la Vita smeralda di Calogero Calà, ex gatto di Vicolo Miracoli, in arte Jerry. Sono tutti lì gli effetti dei «Trenta infami» (1975-2005): tre giovani amiche arrivate sul traghetto in Sardegna lasciano il campeggio alla volta del Billionaire per conoscere i divi del piccolo schermo nella speranza di essere catturate e illuminate dalla polvere di stelle del modesto star system mediatico. E non è un caso che il film si chiuda dichiarando che «l’estate non è una stagione, ma uno stato d’animo». Certo, lo stato di un’anima sussunta dagli sponsor. Nessun conflitto, nessuna vendetta, nessun rovesciamento, ovviamente, ma solo infinita contemplazione e ammirazione per il luccichio dello spettacolo nella speranza che quell’«aureola» di qualità scadente illumini un po’ anche noi.

Nel mezzo, tra la Sardegna della Wertmüller e quella di Calà, ci sono le vacanze dei Vanzina, quelle dei liceali in America e quelle di Forte dei Marmi negli anni Sessanta nostalgicamente ricostruite dalla prospettiva degli Ottanta, quelle stracult e abbronzatissime a Riccione, e quelle bestiali sull’isola deserta dove il sunlover brianzolo spende un patrimonio in cerca del primitivo e dell’autentico e, con il cibo indigeno, finalmente si esalta.

In tutte queste narrazioni vacanziere però, dalla lotta di classe alla società dello spettacolo, al di là delle diversità e delle distanze, la vacanza coincide con un intervallo, con una sospensione del tempo ordinario, e in questo senso condivide una profonda affinità con il carnevale che sospende l’ordine costituito per aprire al suo rovesciamento. Eppure il carnevale, così come la vacanza, hanno il brutto difetto di finire, e una volta esaurito il loro ciclo finiscono per riconfermare l’ordine costituito e rafforzarlo, ristabilendo, dopo la festa, il tempo ordinario della fatica e del sacrificio. Il fatto è che l’ordine che il carnevale storicamente rovescia, il tempo che la vacanza tradizionalmente sospende, sono l’ordine e il tempo del nemico, l’ordine e il tempo del rapporto di capitale.

E quello che a noi interessa veramente, ripeterlo non guasta, è smontare gli orologi del capitale e tutta la loro organizzazione del tempo, compresa la vacanza come sospensione dal lavoro che pure, non va dimenticato, è stata una conquista. Intorno al tempo, e alla sua organizzazione, si gioca da sempre una battaglia decisiva, come sapevano molto bene gli ordini monastici che dopo la caduta dell’impero romano proprio intorno alla scansione del tempo iniziavano a organizzare forme di vita comune.

Più radicalmente allora, nella distanza storica, e forse ormai anche ontologica, che ci separa dalla lotta di classe di Gennarino, e nella distanza etica che ci separa dalla sussunzione della vita smeralda, quello che ci interessa è ricostruire un tempo nuovo, un tempo altro al di là del tempo vuoto della sospensione e del tempo pieno del comando e dello sfruttamento, il tempo di una vita organizzata liberamente nella cooperazione e nella produzione, nella conoscenza e nell’amore.

Quello che ci interessa insomma, al di là del carnevale e della vacanza, è il tempo dell’intelligenza collettiva e della sua felicità. Questa, e solo questa, sarà, e anzi è già ora, la nostra vita smeralda.

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