Cambiare le regole

Lo sguardo postcoloniale di Yto Barrada

Barrada
Yto Barrada, Objets indociles, Supplément à la vie de Thérèse Rivière (2016) - Slideshow (Photo: courtesy of the artist). FIG 1.

In Italia la ricerca di Yto Barrada (Tangeri 1971) è passata alla Biennale di Venezia nel 2007, e al MACRO di Roma, nel 20111, con lavori dedicati a Tangeri, città di confine nonché spazio antropico e naturale ridisegnato dall’area di libero scambio istituita attorno al porto. Lo sguardo di Barrada sull’impatto del capitalismo transnazionale sul territorio era lirico e sociologico insieme. Una duplicità che si ritrova anche nella personale al Museu Gulbenkian di Lisbona2, con lavori recenti incentrati, invece, sulle relazioni coloniali, in cui l’approccio formalista di critica al modernismo della storia dell’arte occidentale si intreccia con l’uso di documenti d’epoca e ricordi privati, secondo modalità tipiche delle ricerche postcoloniali.

Il titolo della mostra – Moi je suis la langue et vous êtes les dentes – è una citazione dai diari di Thérèse Rivière, etnologa incaricata negli anni Trenta dal Museo del Trocadero di studiare l’etnia berbera Chaoui in Algeria. Rivière sottolinea la centralità del linguaggio verbale nella costruzione dei rapporti di potere coloniali e di genere. Barrada seleziona alcuni frammenti di narrazione e descrizioni di oggetti e li monta in una sorta di museo immaginario, uno slide show (2016, fig. 1) con cui riporta alla luce il lavoro di Therese Rivière – sorella dimenticata del famoso museologo Georges Rivière – così come la studiosa aveva dato voce agli atti di insubordinazione femminile in una società patriarcale e colonizzata.

Yto Barrada, Tree Identification for Beginners (2017), video still (Photo: courtesy Calouste Gulbenkian Foundation). FIG 2.

L’approccio documentario prevale anche nei lavori in cui il colonialismo è affrontato dalla propria prospettiva familiare. Tree Identification for Beginners (2017, 16mm trasferito in digitale, fig. 2), infatti, è dedicato all’esperienza della madre dell’artista che nel 1966, a 23 anni, partecipa alla delegazione di 50 giovani leader africani invitati dal Dipartimento di Stato americano a visitare gli Stati Uniti. Attraverso un registro ironico, il sonoro del film racconta il contatto fra una nuova generazione consapevole dei movimenti anticoloniali e panafricani e uno Stato alle prese con le contraddizioni della Guerra in Vietnam e le tensioni dovute al superamento della segregazione razziale.

Lo spettatore di Tree Identification for Beginners, tuttavia, viene catturato soprattutto dall’ipnotica animazione in stop motion di alcuni giochi infantili diffusi nelle scuole Montessori, ovvero giochi volti a sviluppare precocemente nel bambino autonomia e indipendenza. Tale elemento iconico immediatamente riconoscibile diviene metafora potente della critica al paternalismo tipico delle relazioni coloniali, in cui il colonizzatore si erge a «tutore» della popolazione colonizzata, in virtù della presunta arretratezza e inferiorità di quest’ultima. Da questo punto di vista, Jeu de construction Thérèse (2018, fig. 3) – scultura dall’equilibrio precario, costruita con gli elementi di legno dei tipici giochi per l’infanzia, dipinti di bianco e di grandi dimensioni – sintetizza i vari temi affrontati dalla mostra.

Yto Barrada, Jeu de construction Thérèse (2018), legno dipinto. FIG 3.

L’attenzione al dato formale e coloristico, emerso già nella scelta dei giochi Montessori, diventa predominante negli Untitled after Stella (2018), una serie di tele astratte in cui Barrada «digerisce e vomita» – scrive Rita Fabiana – ovvero decostruisce, la narrazione storico-artistica prodotta in Occidentale, in particolare la narrazione modernista. Barrada riprende i pattern dei quadri che Frank Stella ha dedicato al Marocco negli anni Sessanta, ma ne fa una sorta di oggetto d’alto artigianato etnico, prodotto con il cotone tinto dalle donne con metodi tradizionali e pigmenti di origine locale. Sebbene questi siano i lavori più enigmatici fra quelli in mostra, anche l’osservatore meno avvertito rimane interdetto dal modo in cui le opere sono illuminate: l’area definita dalla luce, infatti, non coincide con il profilo delle tele (fig. 4). Tale incongruenza è talmente evidente da risultare subito voluta e quindi significante. Il mancato rispetto delle regole dell’arte rimanda ad altre regole e ad altri, ben più radicali, sovvertimenti: quelli in atto nel mondo negli anni Sessanta e quelli prodotti oggi dallo sguardo dei soggetti postcoloniali3.

 

Yto Barrada, Untitled after Stella (2018), veduta dell’esposizione. FIG 4.

Note

Note
1Cfr. Yto Barrada, Riffs. Deutsche Bank’s Artist of the Year 2011, catalogo della mostra, a cura di F. Hütte e M. Muracciole, MACRO, Roma, 2012.
2 Yto Barrada, Moi je suis la langue et vous êtes les dentes, catalogo della mostra, a cura di R. Fabiana, Fondacao Gulbenkian, Lisbona, 2019.
3Siobhán Shilton, Cubist Counterpoint: Transnational Aesthetics in Video, Sculpture and Installation Art by Mounir Fatmi, in Forum for Modern Language Studies, 1/2014, pp. 40–56, https://doi.org/10.1093/fmls/cqt025

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