Un’ecologia del possibile

Contro il riduzionismo ambientalista

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Marta Roberti, Natural assemblage 1 (2014-2019). Foto di Giorgio Benni.

Possiamo ammettere, ad oggi, che chiunque di noi sa, credendoci o meno, che è in corso una catastrofe ambientale. Tale catastrofe, analizzata puntualmente, ci mette comunque di fronte ad una impossibilità ad agire; la catastrofe è per definizione un «esito doloroso o luttuoso», e come tale viene concepita come un evento che mette fine alla situazione in atto. Calati in un tale paradigma proviamo così a schierarci ancora per la vita a-venire, quella post-catastrofica, dove pochi eroi, fortunati, sopravvissuti, dovranno aver a che fare con un ambiente, quello terrestre, proprio dopo l’evento funesto, quello che avrà provato ad espellere l’essere umano dal consesso vitale.

Per nostra fortuna però il pianeta, o quella che cent’anni fa avremmo chiamato natura, non funziona per negazione, funzione delegata alla pura logica umana, troppo umana, come Platone già ben descriveva; e la traiettoria di pensiero che ci porta a pensarci ancora come importanti alla vita (in fondo, l’umano si arroga il diritto di essere l’unico essere capace di riconoscerla) non è l’unica capace di pensare un futuro già presente, e più che concentrarci sulla costruzione di futuri – rubati o spariti che siano – possiamo ricordarci di essere ancora capaci di agire nel presente, e pensare è una delle categorie dell’agire.

Rifiutare il pensiero illuminista-progressista in toto, che ancora ci porta a tracciarci come tutti presenti e tutti verso lo stesso tempo, non significa però abbracciare la via reazionaria del tentativo di rallentamento, con tentativi di politiche ecologiche incapaci di affrontare il problema, enorme e catastrofico, che stiamo vivendo; esistono infatti ancora altre vie di pensiero, innumerevoli, ciascuna per ciascun pensante, se si vuole per di più sposare anche una posizione materialista, capace di esplodere il paradigma senza però renderlo atomico.

L’Ecologia del possibile (prefazione di Ubaldo Fadini, ombre corte, 2021) di cui ci parla Gianluca De Fazio è, in effetti, un tentativo di tracciare strategie attraverso le linee, vitali e di pensiero, già esplose: l’autore ci presenta sette mappe di pensiero, ciascuna delle quali non pretende di esaurire il reale, quanto piuttosto richiede di essere incrociata alle altre, sia che siano presenti in questo volume, che quelle già tracciate, qualunque sia stato il loro intento. Perché proprio abbandonando il piano inesplicabile dell’intenzione possiamo capire la funzionalità delle mappe, e i continui riferimenti a Merlau-Ponty e De Castro che attraversano i saggi servono da indici per riscontrarne l’ontologia fenomenologica e antropologica, in cui l’azione è necessariamente politica, e in cui emerge sempre più lucidamente come non è in atto una guerra fra l’essere umano e il suo catastrofico destino, quanto fra il destino di pochi e il destino di chiunque.

La catastrofe inevitabile sempre stata inscritta nel destino che l’essere umano si è tracciato da solo nel momento in cui ha concepito la propria identità, sempre in atto per chi ha precluso la possibilità di ritracciarlo. Un’ecologia politica propone all’umano proprio di ripensare tale identità, ripensarla a cominciare dalla propria posizione e compiere uno scarto laterale, forzare Kant a non avere giudizi sintetici a priori, e trovare altri tempi e altri spazi.

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